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dono di aver de' diritti su una gran parte d'Italia, e per poco non gridano all'armi per venirne alla conquista. Convien dunque che ci rechiam noi pure sulle difese, e ci disponiamo a ribattere, se fia d'uopo, un si terribile assalto. Gli eruditi autori della sopraccennata Storia Letteraria di Francia parlando della letteratura de' Galli al tempo della repubblica e dell'impero romano (t. 1, p. 54) ci avvertono che, se volessero usare de' lor dritti, potrebbono annoverare tra' loro scrittori tutti que' che furon nativi di quella parte d'Italia, che da' Romani dicevasi Gallia cisalpina; perciocchè i Galli ch'erano di là dall' Alpi, occuparono 400 anni innanzi all'era cristiana tutto quel tratto di paese, ed erano lor di scendenti quei che poscia vi nacquero. E qual copia, dicon essi, di valorosi scrittori potremmo noi rammentare? Un Cecilio Stazio, un Virgilio, un Catullo, i due Plinj, e tanti altri uomini si famosi. Essi son nondimeno così cortesi che spontaneamente ce ne fan dono, e ci permetton di annoverarli tra' nostri; e si aspettano per avventura che di tanta generosità ci mostriam loro ricordevoli e grati. Ma noi Italiani per non so qual alterigia non vogliam ricevere se non ciò ch'è nostro, e nostri pretendiamo che siano tutti i suddetti scrittori della Gallia cisalpina. Di fatto, come allor quando si scrive la storia civile di una provincia, altro non si fa se non raccontare ciò che in quella provincia accadde, qualunque sia Il popolo da cui essa fu abitata, così quando si parla della storia letteraria di una provincia, altro non si fa che rammentare la storia delle lettere e degli uomini dotti che in quella provincia fiorirono, qualunque fosse il paese da cui i lor maggiori eran venuti. A qual disordine si darebbe luogo nella storia se si volesse seguire il sentimento dei mentovati autori? Che direbbono essi, se un Tedesco pubblicasse una Biblioteca Germanica, e vedessero nominati in essa Fontenelle e Voltaire? Eppure non discendono eglino i Francesi da' Franchi, popoli della Germania? Oltre di che, come proveranno essi che quegli scrittori discendessero veramente da' Galli transalpini? Eran forse essi i soli che abitassero que' paesi? Niuno dunque eravi rimasto degli antichi abitatori di quelle provincie? Non potevano fors' anche molti dall' Italia cispadana, o da altre parti esser passa→ ti ad abitare nella traspadana? Gli stessi Maurini non hanno

essi stesa la loro Storia a tutto quel tratto di paese che or chiamasi Francia? Permettan dunque a noi pure che, usando del nostro diritto, nostri diciamo tutti coloro che vissero in quel tratto di paese che or dicesi Italia. Ad essa appartengono similmente l'isole che diconsi adiacenti, ed esse perciò ancora debbono in questa Storia aver parte, e la Sicilia singolarmente che di dottissimi uomini in ogni genere di letteratura fin da' più antichi tempi fu fecondissima.

Gli stessi autori della Storia Letteraria di Francia si dichia rano (pref. p. 7) di voler dar luogo, tra' loro uomini illustri per sapere, anche a quelli che, benchè non fossero nativi delle Gallie, vi ebbero nondimeno stanza per lungo tempo, singolarmente se ivi ancora morirono. Ed essi hanno in ciò eseguita la loro idea più ampiamente ancora che non avesser promesso. Perciocchè hanno annoverato tra loro scrittori, come a suo luogo vedremo, anche l'imperador Claudio perchè a caso nacque in Lione, anzi ancora Germanico di lui fratello, solo perchè è probabile ch' egli pur vi nascesse. Nel che non parmi ch'essi saggiamente abbiano provveduto alla gloria della loro nazione. Troppo feconda d' uomini dotti è sempre stata la Francia, perchè ella abbisogni di mendicarli, per così dire, altronde, e di usurparsi gli scrittori stranieri. L'adornarsi delle altrui spoglie è proprio solo di chi non può altrimenti nascondere la sua povertà. Io mi conterrò in modo che alla nostra Italia non si possa fare un tale rimprovero. Degli stranieri che per breve tempo vi furono, parlerò brevemente e come sol di passaggio. Più lunmente tratterrommi su quelli che quasi tutta tra noi con

la loro vita, perciocchè se essi concorsero a rendere o migliore, o peggiore lo stato dell' Italiana Letteratura, ragion vuole che nella Storia di essa abbiano il loro luogo.

Nè in ciò solamente, ma in ogni altra parte di questa Storia io mi lusingo di adoperar per tal modo che non mi si possa rimproverare di avere scritto con animo troppo pregiudicato a favore della nostra Italia. Egli è questo un difetto, convien confessarlo, comune a coloro che scrivono le cose della lor patria, e spesso anche i più grandi uomini non ne vanno esenti. Noi bramiamo che tuttociò che torna ad onor nostro sia vero; cerchiam ragioni per persuadere e noi e gli altri; sempre ci sembrano convincenti gli argomen

ti che sono in nostro favore; e mentre fissiamo l'occhio su essi, appena degniam di un guardo que' che ci sono contrarj. Molti ancora de' nostri più valenti scrittori italiani hanno urtato a questo scoglio; e io mi recherò a dovere il confutarli, quando mi sembri che qualche loro asserzione, benchè gloriosa all' Italia, non sia bastantemente provata. Ma 'gli stranieri ancora non si lascian su questo punto vincer di mano; e i già mentovati dottissimi autori della Storia Letteraria di Francia ce ne daranno nel decorso di quest' Opera non pochi esempj. Qui basti l'accennarne un solo a provare che anche i più eruditi scrittori cadono in gravi falli, quando dall'amor della patria si lasciano ciecamente condurre. Essi affermano (t. 1, p. 53) che i Romani appresero primamente da' Galli il gusto delle lettere. L'opinion comune, che esamineremo a suo tempo, si è che il ricevesser dai Greci; e niuno avea finora pensato che i Galli avessero a' Romani insegnata l'eloquenza e la poesia. Qual prova recano essi di si nuova opinione? Lucio Plozio Gallo, dicono, fu il primo che insegnasse rettorica in Roma, come afferma Svetonio. Lasciamo stare per ora che non sappiamo se Plozio fosse nativo della Gallia transalpina, o della cisalpina, e se debba perciò annoverarsi tra' Francesi, o tra gl' Italiani. Ma come è egli possibile che si dotti scrittori, come essi sono, non abbiano posto mente al solenne equivoco da cui sono stati tratti in errore? Svetonio e Cicerone, come a suo luogo vedremo, non dicon già che Plozio fosse il primo professore di rettorica in Roma, ma che fu il primo che insegnolla latinamente, poichè per l'addietro tutti i retori usato aveano della lingua greca. În fatti Plozio visse a' tempi di Cicerone: e il gusto delle lettere erasi introdotto in Roma più di un secolo innanzi. Io credo certo che, se non si fosse trattato di cosa appartenente alla gloria della lor patria, avrebbero i dotti autori riconosciuto facilmente il loro errore; ma è cosa dolce il ritrovare un nuovo argomento di propria lode, e quindi un'ombra vana e ingannevole si prende spesso per un vero e reale oggetto. Forse a me ancora avverrà talvolta ciò che riprendo in altrui; ma io sono consapevole a me medesimo di essermi adoperato quanto mi era possibile perchè l'amore della comun nostra patria non mi acciecasse nè mi conducesse giammai ad affermar cosa

alcuna che non mi sembrasse appoggiata a buon fonda

mento.

A questo fine assai frequenti s' incontreranno in questa mia Opera le citazioni degli autori che servono di prova alle mie asserzioni, e posso dire con verità che ho voluti vedețe e consultare io stesso quasi tutti i passi da me allegati; poichè l'esperienza mi ha insegnato che è cosa troppo pe ricolosa l'affidarsi agli occhi, o alla memoria altrui. Ne io però mi sono punto curato di una cotal gloria di cui alcuni sembrano andare in cerca coll' affastellare citazioni sopra cifazioni, e schierare un esercito intero di autori e di libri, fae cendo pompa per tal maniera della sterminata loro erudizio ne. Io sarò pago di produrre gli autori che bastino a confermare ciò che avrò asserito. Le leggi che in ciò io mi sono prefisso, sono di appoggiarmi singolarmente agli autori o contemporanei, o il men lontani che sia possibile dai tempí di cui dovrò ragionare; ad autori che non possan cadere in sospetto di avere scritto secondo le loro proprie passioni; ad autori che non mi narrino cose che la ragione mi mostra impossibili; ad autori finalmente che non vengano contradetti da più autentici monumenti. Che mi giova, a cagion d'esempio, che molti autori moderni mi dicano che Pollione prima d'ogn'altro apri in Roma una pubblica bi- · blioteca? Se essi non mi recano in prova il detto di qualche antico, la lor autorità non mi convince abbastanza. Ma io veggo che ciò si afferma da Plinio e da qualche altro antico accreditato scrittore; e questo mi basta perchè il creda, Se in ciò singolarmente che a storia appartiene, l'autorità di uno, o più scrittori bastasse a far fede, non vi sarebbe errore che non si dovesse adottare. Il numero degli autori copisti è infinito; e tosto che un detto è stampato, sembra che da alcuni si abbia in conto di oracolo. Io dunque più alla scelta, che al numero degli autori ho posto mente, e nella storia antica ho allegati comunemente gli autori antichi, lasciando in disparte i moderni. Questi però ancora ho io voluti leggere attentamente quanti ne ho potuti aver tra le mani, che trattassero cose attenenti al mio argomento, e di essi mi son giovato assai, e si vedrà ch'io allego spesso il lor sentimento, e fo uso delle loro scoperte, e talvolta ancora rimetto il lettore agli argomenti che in prova di qualche

punto essi hanno arrecati. Ed io mi lusingo che niuno poarà rimproverarmi ch'io siami occultamente arricchito colle altrui fatiche, poichè quanto ho trovato di pregevole e d'ingegnoso negli altrui libri, tutto ho fedelmente attribuito a' loro autori.

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Il diligente studio ch'io ho dovuto fare sugli antichi scrit tori per trarne quanto potesse essere opportuno alla mia idea, mi ha necessariamente fatto scoprire molti errori e molte inesattezze degli scrittori moderni. Ma ordinariamente non mi son preso la briga di rilevarli; che troppo a lungo mi avrebbe condotto il farlo, e spesso avrei dovuto arrestarmi per dire che il tale e il tal altro hanno errato, senza alcun frutto, e con molta noja de' miei lettori. Se io comprovo bene il mio sentimento, cade per se stesso a terra l' sto. Allor solamente ho giudicato che mi convenisse di farlo, quando mi si offrisse o a combattere l'opinione, o a scoprire l'errore di qualche autore che fosse meritamente avuto in pregio di dotto e di veritiero. Le opere di tali scrit tori si leggono comunemente con si favorevole prevenzio→ ne, che facilmente loro si crede quanto essi asseriscono. E questo è il motivo per cui e in questa Prefazione e altre vol te nel decorso dell'Opera ho preso a esaminare e a confutatare alcuni passi della più volte mentovata Storia Letteraria di Francia, ne' quali mi è sembrato che senza ragione si vo lesse scemar l'onore alla nostra Italia dovuto. Ella è questa un' opera di una vastissima erudizione e di un'immensa fatica, e piena di profonde e diligenti ricerche; e troppo è facile ad accadere che l'autorità di si dotti scrittori sia cieca→ mente e senza esame seguita. Io mi son dunque stimato in dovere di confutare, ove fosse d'uopo, ciò che a svantag gio dell'Italia vi si afferma, singolarmente col toglierle al cuni uomini illustri che noi a buon diritto riputiam nostri. Ma nel combattere le opinioni di questi e di altri accredi tati scrittori io ho usato di quel contegno ch'è proprio d'uomo che si conosce inferiore di molto in forze al suo avversario, e che spera di vincere solo perchè si lusinga di avere armi migliori. Si può combatter con forza, si può ancora scherzare piacevolmente senza dire un motto onde altri a ragione si reputi offeso. Le ingiurie e le yillanie mal si confanno ad uomini letterati, e noi Italiani sia

po

trop

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