Immagini della pagina
PDF
ePub

SU' DIVERSI TEMPI DELLA LINGUA ITALIANA

I.

BUON SECOLO DELla lingua italiana (1)

Varie sono le opinioni intorno all'origine della lin

gua italiana, le quali tutte hanno in qualche parte del vero, e forse potrebbonsi di leggieri concordare (2). Ma comunque ella si nascesse (che ciò poco importa al presente mio intendimento) dirò che sul finire del milledugento e vie più nel secolo seguente, era ella pervenuta a sì gentil condizione, che quel tempo n'ebbe il nome di buon secolo o secol d'oro della lingua italiana.

II. Ma il bel parlare a quell' età non fu degli scrittori solamente, ma eziandio del popolo: anzi da questo gli scrit

(1) Essendo questo libro pe' giovinetti, farò un' osservazione utile a togliere quell'apparenza di contradizione che troveranno udendo dare al 1200, il nome di secolo decimoterzo; al 1300, il nome di secolo decimoquarto; al 1400 il nome di secolo decimoquinto ec. Eglino conoscono anche dalla grammatica che i nomi dei numeri dividonsi in CARDINALI, come uno, due, tre ec. cento, dugento ec. mille, duemila ec. e in ORDINALI O ORDINATIVI, come primo, secondo, terzo ec. centesimo ec. millesimo ec. tacendo qui, perchè non ci fa bisogno di parlarne, dei DISTRIBUTIVI (Corticelli lib. 1. cap. 8). Quando pertanto si conta cogli ordinali, si va sempre più innanzi che quando si conta coi cardinali. Di un bambino che ha 10, o 15 o 20 gorni, può dirsi che è nel primo mese, ma non può dirsi che ha un mese, poichè per dir primo basta che sia cominciata quella serie (qui di giorni) in riguardo della quale si dice primo, ma per dire uno, bisogna che sia finita. Così il secolo che corre, dicesi decimonono perchè veramente sono già scorsi 50 di quella serie di anni che formano il secolo; ma non si può dire 1900, finchè non siamo alla fine. Onde volendo chiamare il presente secolo con numeri cardinali, dovrà dirsi il 1800. Ecco perchè il secolo XIII chiamasi anche 1200, e così dicasi degli altri. Per brevità poi si tace alcuna volta il mille, e si dice il dugento, il trecento, il quattrocento ec. che scrivesi ancora il 200, il 500 ec.

(2) I principali scrittori intorno all'origine della nostra lingua, sono indicati da Cesare Lucchesini nella sua Illustrazione delle lingue antiche e moderne ec. Par. I. cap. 2. Vedasi ancora il cap. 6, dove parla della opinione sostenuta dal Perticari nella seconda parte della sua Difesa di Dante e da altri. Poco fa è uscita in Bologna un'opera con questo titolo: Origine della lingua italiana, opera di Ottavio Mazzoni Toselli. Di poi Giovanni Galvani ha dato su questo particolare utili scritti massimamente nei tomi 8 • 14 dell' Archivio Storico.

tori lo presero; e appunto si scrisse bene, perchè bene si parlò (3). Di qui segue che non ha scrittura di quei dì, la quale per la favella non sia da pregiare. Bisogna per altro distinguere gli scrittori di coltivato ingegno, da quelli che erano rozzi. Anco in questi è buona favella, vo' dire belle parole e graziosi modi, ma bisogna saperli trascegliere per entro quella rozzezza, come Virgilio dicea trar fuori perle dal fimo di Ennio. E questi sono i più, da lasciarli a

chi già è pratico nella lingua, e può e vuole in questa fare un peculiarissimo studio. Negli scrittori poi di maggior cultura non solo trovi di bei vocaboli e di belle frasi, ma più costanza nelle desinenze dei nomi e dei verbi, una costruzione che per ordinario procede limpida e regolata, e un maggior lume di concetti e di locuzione. Ma fra questi pure è da distinguere quelli che vollero far pompa di bello scrivere, dagli altri che non mirarono a questo. I primi credettero doversi scostare dalla favella del popolo, e fecero spesse volte uso di maniere latine, di ricercate metafore, di circonlocuzioni, di trasponimenti; e tanto meno riuscirono pregevoli e, dirò così, italiani, quanto più vollero allontanarsi dalla popolare consuetudine. Siano esempio le diverse opere del Boccaccio, tra le quali sono più stimate le meno studiate; ed anche in queste riesce più caro, dove meno arte usò. Laddove le prose del Passavanti, del Cavalca ed altre sì fatte, sono dagli intendenti avute in delizie perchè ci offrono, dirò così, vergine il bel favellare che a que' giorni vivea. Nondimeno la lingua di que' dì non sarebbe divenuta forse la lingua degli scrittori d'Italia, se non l'avessero usata quei tre gran luminari, Dante, il Boccaccio e il Petrarca. Questi misero in grido quella lingua: da questi, come vedremo, procurarono di ritrarre coloro che poi vollero scriver bene; e in grazia di questi principalmente si volsero gli occhi a quel secolo, quando si sta

(5) Salviati, Avvertimenti della lingua, lib. 2. cap. 41. Della qual purità si può ben dir sicuramente, che altrettanta fosse nella voce del popolo, o più, quant' ella era negli scrittori ec. E il Salvini nelle note alla Perfetta Poesia Italiana del Muratori, lib. 3, cap. 8: Quelle belle frasi, quelle maniere di dire toccanti, esprimenti, le raccoglievano sul suo le produceva il terreno a quella stagione da se, senza studio, senza fatica; perciocchè naturalmente e comunemente la lingua si parlava bene; e bene in guisa, che tutta la diligenza de' moderni non arriva (opera di lingua) a quella inaffettata diligenza degli antichi.

bilirono le regole della nostra grammatica. Ecco perchè quella età fu detta il buon secolo o il secol d'oro della lingua italiana.

III. Dunqne non fu detta così per la dottrina, che allora fu poca e in pochi, sebbene avuto rispetto ai tempi, debba in alcuni, e massime in quei tre, parer maravigliosa. Non fu detta così per l'eloquenza, poichè sebbene quei tre specialmente ne offrano esempi bellissimi, nondimeno l'oratoria fiorì dipoi. Non fu detta così perchè tutti i campi delle lettere fossero allora coltivati e queste pervenissero all'ultimo grado di pulitezza e di raffinamento; poichè quantunque chi sappia in quegli autori bene studiare, possa altamente giovarsene per ogni maniera di stile e di scrittura: quantunque ci diano, principalmente quei tre, delle cose tanto perfette e stupende, che forse invano cerchi delle somiglianti negli scrittori dipoi; e quantunque in parecchi tu ammiri una naturalezza così efficace e graziosa, che per poco a tutti i pregi dell' arte prevale: nondimeno la ricchezza dei componimenti d'ogni genere, e un certo che di regolare e finito si dee alla civiltà e alla dottrina dei posteriori tempi. Ma fu quell' età così detta perchè allora si parlò una lingua ricca de' più cari modi; e perchè questa lingua fu da tali scrittori adoperata, che meritarono di rendere costante l'uso fattone da loro e dai loro contemporanei: vale a dire, meritarono che la lingua, la quale in bocca del popolo a seconda dei tempi e dei luoghi si cambia, prendesse dalle loro scritture stabilità, e servisse di norma a quelli che volessero scriver poscia (4).

(4) Salvini, nelle citate annotazioni: Secolo XIV non glorioso e perfetto per la universalità della dottrina, dell' erudizione, delle notizie aggiunte dopo, di altri lumi, fiori, gentilezze, sublimità di comporre: ma glorioso e perfetto quanto a una incontaminata e schietta e semplice purità, e bontà, e bellezza di favella. E altrove: Il secol d'oro non tanto è delto dall' eccellenza degli autori, quanto dalla lingua la quale allora correva, e fu da quegli parlata e scritta. L' essersi trattate ne' secoli susseguenti le scienze e l'arti, non risuscita quella antica inimitabile purità, schiettezza e evidenza di dire. In altro luogo: Specchiamoci in Aulo Gellio, gramatico dottissimo. Era dopo i tempi de'Cesari, de'Salustii, de'Ciceroni; e pure fa questo elogio a Plauto. Plautus homo linguæ atque elegantiæ in verbis latina princeps. Non dice Cicerone, ma Plauto. Distingueva la lingua dalla eloquenza: il secol d'oro della lingua dal secol d'oro della eloquenza. E il Salviati, nei suddetti Avvertimenti lib. 2. cap. 13. I buoni scrittori che vissero in quel buon secolo, abbiamo noi per tanto singo

IV. I pregi dei trecentisti sono così maestrevolmente descritti dal Salvini: Contuttochè uomini grandissimi, dottissimi, eloquentissimi, in gran copia, di tutta Italia, abbiano conferito co' loro scritti divini ed immortali al bene ed accrescimento della lingua italiana, pure quell' aurea, incorrotta, saporitissima, delicatissima purità non agguagliano; quel candore natio e schietto di voci nate e non fatte; quella nudità adorna sol di se stessa ; quella naturale brillantissima leggiadria; quella efficace, animata, chiara, sugosa breviloquenza; quel colore ancora d'antico che i pittori chiamano patina, e gli Attici negli scritti æïvov (pinon) che è, mi sia lecito il dire, un vago sucido e uno squallore venerabile. Quanto essi dunque (i moderni) riconosceranno questa dote di favella in que' buoni antichi; e oltre al regolare su quelli il proprio parlare, sceglier sapranno le pure e nette voci, delle quali essi ne' loro componimenti han fatta conserva e tesoro, tanto più si potranno eternità di nome promettere (5).

V. Ma vuolsi fare avveduti gli studiosi non solo di scegliere, secondo che abbiam detto, fra gli scrittori di quel tempo i più regolati e colti, ma eziandio in questi pigliare i modi che oggi possono piacere, evitando gli altri; e perciò di non invaghirsi, come a certuni vediamo avvenire, delle voci andate in disuso, le quali sol di radissimo e a tempo e a luogo possono star bene: di fuggire le frequenti e noiose ripetizioni, i costrutti mal ordinati, il rozzo e il secco, l' ammanierato e il lussureggiante; in somma tutti que' difetti in cui qualche volta diedero quegli antichi o perchè affatto mancavano d'arte, o perchè facevano i primi esperimenti nell'arte (6).

lari, e sovrani, e per cotanto oramai dall'antichità confermati, la qual porta alle cose per se medesima autorità reverenda, che malagevole ci sembra a credere, che per altri che venissero, o per raffinamento della toscana lingua, la forma delle loro regole dovessimo abbandonare. Poichè si vede che Demostene e Cicerone, avvegnach' e' superassero ne' lor linguaggi tutti i passati favellatori, non però diede niun di loro novelle regole al volgar suo, ma seguì quelle che da' più vecchi, quantunque meno eccellenti, erano state osservate.

(5) Salvini nelle citate annotazioni.

(6) Salvini, nella cit. annot. Ogni lingua ha le voci basse, triviali, del minuto popolo, vili, sordide; e le maniere di dire oscure e plebee. E dall'altra banda le voci nobili, belle, grandi, illustri. E perciò è necessario la natural gramatica del Giudizio che ne faccia quella scelta giusta

VI. Conviene anche star sull'avviso circa le opinioni nel fatto delle scienze; poichè, come abbiam detto, quell'età fu povera di dottrina, e il fiorire delle scienze massimamente naturali fu assai dopo: conviene star sull'avviso circa i racconti di que' cronisti, i quali per lo più sono fededegni allorchè narrano cose ai loro tempi avvenute: nelle antiche poi, mancando essi di quell'arte per cui si scerne il vero dal falso, bevettero grosso, e presero infiniti abbagli. Ma sopra tutto importa che si avverta, doversi andare molto a rilente nel leggere gli scrittori di quell'età, perchè non pochi di essi (vizio principalmente dei tempi) non ebbero abbastanza rispetto al pudore, o alle cose e persone sacre. Il che vuol dirsi ancora di alcuni fra i più pregiati scrittori delle due età susseguenti (7).

[blocks in formation]

VII. Lo studio del greco e del latino che sin dall'età

precedente era cominciato in Italia (di che pure si dee non poca lode al Petrarca e al Boccaccio) crebbe per modo in questo secolo, che il nostro volgare ne scapitò. Poichè molti lo abbandonarono affatto: altri, credendo per avventura farlo di maggior pregio, lo riempirono stranamente di vocaboli e di maniere di quelle lingue e massimamente della latina, e lo renderono, dirò così, un gergo scolastico. Nondimeno

e propria, tanto lodata e raccomandata dai maestri di rettorica; e che si può ben dire, ma non si può insegnare.

(7) Gigli, Regole per la Toscana Favella, ediz. di Lucca 1734, a c. 229. Figuratevi che quel secolo, che dimandiamo il secolo buono della lingua, fu il secolo pessimo per la religione ec. Per questo motivo dunque, e per l'altro ancora di avere fra quegli scrittori i più regolati, dovranno scegliersi le edizioni fatte ad uso della gioventù. Fra queste sono da pregiare altamente la Scelta di novelle antiche, le Vite di Santi Padri e le Novelle scelte di ser Giovanni Fiorentino, impresse in Modena negli anni 1826, 1827, 4830. Cosa più bella e più utile in questo genere mi pare non possa farsi. Il testo è purgato scrupolosamente da tutto quello che potrebbe offendere il buon costume; è ridotto alla miglior lezione mediante il riscontro delle più pregiate edizioni e di antichi manoscritti. Belle prefazioni e note brevi e succose illustran quelle opere. La stampa ci par molto corretta, e di sì bella forma e in così buona carta, che invita proprio a leggere. Ci rallegriamo col professore Marcantonio Parenti cui devesi così bella e utile impresa, e ci rallegriamo ancora coi giovinetti, che potranno con questo mezzo più facilmente e con maggior sicurezza ed utilità studiar le opere di que' primi padri di nostra lingua.

« IndietroContinua »