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e da lui sentito un prezzo bassissimo, le pattuì per cinquanla talenti, spargendo voce di comprarle con pensiero di rivenderle per sue. Questa cosa fece a' Rodiani conoscere il loro pittore; e se rivollero i quadri da esso fatti, bisogno ch'alzassero il prezzo.

CARLO DATE, Vita di Protogene

XXXVIII. Come una vedova si diportò verso l'uccisore dell' unico suo figliuolo

Nella città di Bologna v'è tuttavia una strada che chia

masi Strada Pia, per memoria di un miracolo di carità che quivi intervenne. Una signora riguardevole e ricca, era rimasta vedova con un figliuolo unico, nel quale ell' avea riposto tutto il suo bene. Ora avvenne un giorno, che giucando questi nella contrada alla palla, s' imbattè a passar di là un forestiere, il quale o a caso o per insolenza disturbógli il giuoco a segno, che il giovane montato in ira, se ne risenti gravemente. Ma il forestiere, quanto facile a fare ingiurie, altrettanto difficile a sopportarle, mise mano alla spada, e ferito il nobile giovanetto, lo lasciò subito quivi a terra morto. Indi cercando scampo, come è costume, massimamente dopo simili falli, prima incorsi che preveduti, col ferro insanguinato in mano, entrò (senza saper ove) entrò, dico, nella casa dell' ucciso medesimo, che all' usanza delle case più nobili trovò aperta; e tutto fanatico per tanto eccesso allora allora operato, non si ristette, finchè salite le scale, arrivò davanti alla signora, nulla a lui nota, e postosi ginocchione la pregò per amor di Dio, di ricovero e di ricetto. S' inorridì la signora a quello spettacolo sanguinoso: pure non sapendo che l' ucciso fosse il figliuolodelle sue viscere, promise all'omicida ogni sicurezza, e gliela mantenne, facendolo ritirare nelle sue stanze più interne, e quivi occultandolo. Frattanto sopraggiunse la corte chiedendo il reo, e cercando sollecitamente per tutto, ma non trovandolo. Quando al partirsi, uno degli esecutori disse a voce alta: questa signora non dee sapere che l'ucciso è il suo figliuolo; altrimenti ella stessa in cambio d'asconderne l'uccisore, saria la prima a darcelo nelle mani. Immaginatevi che freddo orrore corse per le vene di quella povera madre all'udir di queste parole. Fu in punto di seguitare

allora allora il figliuolo già trapassato, morendo anch'ella se non che riavutasi alquanto, e ravvalorata da quella grazia divina che avea nel cuore, si offerse a Dio, per onore della sua legge e per gloria della sua fede, di perdonare immantinente a chi tanto le avea cagionato di male: e quasi ciò fosse poco, si offerse, in segno di averli perdonato di cuore, a prenderlo per figliuolo in luogo del morto, costituendolo erede di tutto il suo. E in fatti l'eseguì, dandogliene fino allora caparra certa nella somministrazione di non poco danaro che gli sborsò per sottrarsi dalla giustizia, e di quello maggiore che gli promise: con un esempio sì eminente e sì eroico di cristiana pietà, che da indi in poi chiamossi quella contrada, come di sopra v'ho det to, la Strada Pia (516).

SEGNERI, Cristiano istruito Parte prima, Ragionamento XX,

(516) Circa il giucando che è verso il principio, vedi la nota 43 alla Fav. III. Dubito poi che verso la fine di questo luogo sia qualche errore di stampa in quante edizioni ho veduto, poichè nella linea quarta (inco minciando di fondo.), le parole e di quello maggiore che gli promise, parmi che non leghino bene colle precedenti. Che debba dire ed in quello? La correzione mi sembra sì chiara, che l'avrei messa nel testo, se l'abuso che si è fatto nel correggere i classici, non mi avesse posto in orrore somme il. correggere.

1. Il Sogno

A me pareva essere in una bella e dilettevol selva e in quella andar cacciando, e aver presa una cavriola tanto bella e tanto piacevole, quanto alcun' altra se ne vedesse giammai. E pareami che ella fosse più che la neve bianca, e in brieve (518) spazio divenisse sì mia dimestica, che punto da me non si partiva. Tuttavia a me pareva averla sì cara, che, acciò che da me non si partisse, le mi pareva nella gola aver messo un collar d'oro, e quella con una catena d'oro tener colle mani. E appresso questo mi pareva, che riposandosi questa cavriola una volta e tenendomi il capo in seno, uscisse non so di che parte, una vel

(517) Il bene e acconciamente descrivere, non è facile cosa. Troppo di leggieri può venir fatto di dare in vana pompa rettorica e in fanciullaggini. II che per vero agli sciocchi piace assai; ma non dee lo scrittore mirar cosi basso. Egli osservi bene il fine della sua scrittura; e le descrizioni (come tutto il rimanente) a quel fine diriga; e in tal maniera le foggi, che meglio al detto fine servano. A chi unicamente scrive per dar sollazzo, è lecito un poco più di far gala; ma chi di gravi cose tratta, bisogna che si temperi, e che badi bene di non mostrarsi più sollecito degli accessorj che del principale, e di non distrarre gli ascoltanti o i leggitori con inopportune o troppo lunghe e appariscenti descrizioni, e con altri vani ornamenti. Colui, diceva il Parini, che cammina a solo fine di sollazzarsi, vagando per le ridenti campagne può a sua voglia soffermarsi, e qui cogliere un fiore, colà un' erbetta, qui mirare un bell'albero, colà odorare un soave pomo. Ma quegli che cammina per suoi affari, non bada altrimenti a simili cose, se non quando spontaneamente se gli presentano sotto a' sensi; e solo ha cura di scegliere la via più conosciuta e la più corta, e di affrettarsi e rinvigorirsi per giugner più presto al luogo destinato.

(518) Brieve, oggi più comunemente breve. Così a facc. 16 lin. 10, vedemmo usato dal Caro lievino, per levino. È l'i che alcuni dicon liquido, altri raccolto, ed alcuni eziandio consonante, e che vediamo anche nelle voci debbia per debba, vadia per vada, splendiente per splendente, nidio (rimasto al popolo) per nido, nieve (pur viva nel volgo) per neve; e in mille altre, alcune delle quali novera il Salviati (Avvert. t. 2, facc. 208, ediz. Cl. Mil.) e il Bartoli (Ortogr. cap. VIII, 3. 2). Non diciamo anche oggi tiene, viene, fieno, lieve, cielo, fiele, cieco ec? Altre voci al contrario si trovano mancanti dell' i, come desidero per desiderio, solitaro per solitario. Vedi gli Esempi di Poesia, nota 144, Narr. IV, e il Repertorio in I.

tra (519) nera come carbone, affamata, e spaventevole molto nell' apparenza (520), e verso me se ne venisse. Alla quale niuna resistenza mi parea fare. Perchè (521) egli mi pareva, che ella mi mettesse il muso in seno nel sinistro lato, e quello tanto rodesse, che al cuore pervenia, il quale pareva (522) che ella mi strappasse per portarsel via. Di che io sentiva sì fatto dolore, che il mio sonno si ruppe; e desto, colla mano subitamente corsi a cercarmi il lato se niente (523) v'avessi; ma, mal (524) non trovandomi, mi feci beffe di me stesso che cercato v' avea.

BOCCACCIO, Decamerone

(519) Veltra, la femina del veltro, specie di cane da caccia. E il veltro, dice il Boccaccio nel commento sopra Dante, una spezie di cani maravigliosamente nemici de' lupi.

(520) Cioè nell' aspetto.

(521) Perchè, per la qual cosa. Vedi Narr. XIII, nota 303.

- Ne Che

(522) Di questo pareva, ben otto volte ripetuto in si breve passo, che diranno certuni, i quali si arretrano, quasi come la pastorella che abbia veduto il serpe, qualvolta s'incontrano nella ripetizione di qualche parola poco innanzi usata? Ma sappiano che molte ripetizioni sono virtù, e non vizio. Per es. l'Ariosto fa dire ad Olimpia: Se dunque da far altro non mi resta, si trova al suo scampo (cioè del suo sposo Bireno), altro riparo, per lui por questa mia vita; questa Mia vita per lui por mi sarà caro. Quanto affetto! Nè minore è in queste altre, che pure riguardano quella poveretta dall'infido consorte abbandonata in una deserta isola. E va guardando (che splendea la luna) Se veder cosa fuor che il lito puote; Ne fuor che il lito, vede cosa alcuna. Altre volte, come nella descrizione qui sopra, le ripetizioni offrono l'imagine del parlar familiare. Il che volle forse l'Ariosto quando alla stessa Olimpia fe dire: Io credea, e credo, e creder credo il vero. Poi non si ripetono ad ogni momento le congiunzioni, gli articoli, i relativi? Da fuggire è il ripetere senza motivo le parole un po' strane, perchè queste danno troppo nell'occhio; ma delle altre non bisogna prendersi tanta briga; e molto meno toglierle via quando il sostituire altra voce fosse con discapito o del sentimento, o dell' armonia, o della naturalezza. Nè i grandi scrittori, si greci, sì latini e sì nostri furono tanto fastidiosi. Del resto anche Dante in una visione della Vita Nuova ripetè il verbo parere sette volte, e in altra visione, quattordici volte. Vedi anche la nota 273, Narr. IX.

(525) Niente. Forse dovrebbe leggersi nient' i' (cioè, niente io) avendo l'edizione secondo il testo del Manelli nienti.

(524) Pare che gli antichi per ordinario pronunciassero con molta posatezza; come (per tacere qui di altre ragioni) potrebbe congetturarsi dal vedere che non fuggivano l'unione di sillabe simili, come qui il ma, mal, le quali male non suonano se si pronuncino staccate. Quando pure non vogliam dire (come io credo) che poco anche di queste minuzie curavano. È un eccesso la soverchia eura, come la soverchia incuria.

II. Altro Sogno

A me parea, dormendo io questa notte, esser sopra una bellissima riva d'Arno, ombrosa per molti allori, e tutta di erbe e di fiori coperta infino all'acqua, che purissima e alta, con piacevole lentezza correndo, la bagnava. E per tutto il fiume, quanto io gli occhi potea stendere, mi parea che bianchissimi cigni si andassero sollazzando; e quale compagnia di loro (chè erano in ogni parte molti) incontro al fiume (le palme dei piedi a guisa di remo adoperando) montava: quale col corso delle belle acque accordatasi, si lasciava da loro portare, poco movendosi; e altri ancora nel mezzo del fiume, o accanto le verdi ripe (il sole, che purissimo gli feria, ricevendo) si diportavano. Da' quali tutti useire si dolci canti si sentivano e si piacevole armonia, che il fiume e le ripe e l'aere tutto e ogni cosa d'intorno d' infinito diletto parea ripieno (525). E mentrechè io gli occhi e gli orecchi di quella vista e di quel concento pasceva; un candidissimo cigno e grande molto, che per l'aria da mano manca veniva, chinando a poco a poco il suo volo, in mezzo il fiume (526) soavemente si ripose; e ripostovisi, a cantare incominciò ancor egli, strana (527) e dolce melodia rendendo. A questo uccello molto onore parea che rendessero tutti gli altri, allegrezza della sua venuta dimostrando, e larga corona delle loro schiere facendogli. Della qual cosa maravigliandomi io, e la cagione cercandone; mi era, non so da cui (528), detto che quel cigno che io ve

(525) Quantunque non sia obbligo il farlo, pure i Classici costumarono le più volte di accoppiare ad ogni cosa l'aggettivo nou feminile (come vediamo qui) o sia che quasi lo considerassero come l'omne dei Latini, secondochè tiene il Corticelli, lib. 4, eap. 4, ossia un modo simile a quello di Dante: Dintorno a lui parea calcato e pieno Di cavalieri ec. e a quello del Davanzati, Ann. Tac. lib. 2, 3. 18: dieci miglia era pieno di cadaveri.

(526) In mezzo si usa col genitivo, coll' accusativo (come qui) e talora anche col dativo. Vedi Cinonio, cap. 175, 2. 3.

(527) Come si dice pellegrina una cosa straordinaria, inusata (Leggiadria singolare e pellegrina, disse il Petr.) così qui è detta strana (da estrano, o estraneo) quasi forestiera, e che fra noi non si sente, quella melodia. Altro esempio hai in fine al primo paragrafo della Descrizione seguente. Oggi per altro andrei adagio a usare in buon senso questa parola.

(528) Da cui, cioè da chi. Così G. Villani, lib. V, cap. 48: mettendovi cui a lui piaceva. E l'Ariosto nel Furioso, C. XI, st. 63: Narrò ad Ober

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