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anche questo secolo non è tanto da tenere a vile, quanto comunemente si tiene (8). Perciocchè il popolo non perdette la sua favella, sebbene per la mutabilità dianzi notata, alcune desinenze di nomi e di verbi alquanto variassero. In quegli scrittori pertanto, che le scuole non usarono o il linguaggio delle scuole fuggirono, non veggonsi affatto spente le virtù de' trecentisti; e tanto più di questi tennero, quanto più si accostarono al linguaggio del popolo. E se coi trecentisti non si accordano del tutto nelle cadenze de' nomi e de' verbi (onde l'Alfieri disse che il quattrocento sgrammaticava) non è da farne loro colpa, perchè le leggi della favella non anche erano stabilite. Ma in questo secolo ebbe la nostra lingua principalmente obbligo a Lorenzo de' Medici perchè fece tornarla in onore, favorendone gli scrittori, e scrivendola anch' egli con eleganza (9).

Tornata

SECOLO XVI.

VIII. ornata in pregio la lingua italiana, si vide essere necessario il toglierla, per quanto era possibile, da quella instabilità cui di continuo andava soggetta col variare dei tempi, e da quella difformità che le veniva dall'essere parlata in diversi luoghi. Per ottenere questo fine, si credette dover guardare all'uso più costante fattone in quel memorabile secolo che diede un Dante, un Petrarca, un Boccaccio; e da quell'uso si trassero le regole della favella. Segnalato servigio che si deve ai grammatici, e in grazia del quale vuolsi loro perdonare se alcuna volta fu

(8) Vedi la lettera del nominato professore Parenti sopra alcune scritture italiane del quattrocento, impressa nel numero 10 della Continuazione delle memorie di religione, di morale e di letteratura.

(9) La famiglia Medici (una delle più illustri di Firenze e che poi n'ebbe il governo sino al 1737) si rendette così benemerita de' buoni studi, che il suo nome, dice uno scrittore, è divenuto come un sinonimo della restaurazione delle scienze e delle arti. Coloro che principalmente le acquistarono questa gloriosa rinomanza furono Cosimo detto il vecchio e padre della patria; Lorenzo nipote di lui, cognominato il Magnifico e ancora padre delle lettere; Cosimo I, che, dice l'Algarotti, fu per molti rispetti l'Augusto fiorentino; e Francesco I e Ferdinando Í figliuoli di lui. Da questa famiglia uscì pure Leon X, quel glorioso pontefice da cui il millecinquecento prese il nome di secol di Leone X. Merita finalmente onorevole ricordanza il cardinale Leopoldo fondatore della celebre accademia del Cimento in Firenze.

rono di soverchio importuni (10). Fra i quali grammatici, uno dei primi per tempo, come sempre sarà per merito, fu il Bembo, che perciò fu detto buono e amorevole balio di questa lingua (11) e quasi arbitro del parlar nostro (12). Ma perchè egli ebbe tanto in amore il Boccaccio, che non solamente le virtù dello scrivere di lui, ma eziandio i vizi ne imitò, e questi forse più che quelle (il che suole degli imitatori avvenire); così ne derivò una scuola che ebbe invero forbita lingua e di non pochi altri pregi fu ricca; ma per le costruzioni intralciate e pesanti, per la diffusione e stemperanza dello stile, per una certa ampollosità ed esagerazione in ogni cosa, per un allontanarsi quasi sempre da natura, riuscì molesta e alcuna volta eziandio strana. Onde i nomi di boccaccevole e di bembesco divennero quasi una beffa (13).

IX. Quello che il sottilissimo giudizio del Caro scriveva a Lionardo Salviati (uno dei caporioni di quella scuola) può dirsi, più o meno, di molti scrittori di quel tempo: lo lodo nel vostro dire la dottrina, la grandezza, la copia, la varietà, la lingua, gli ornamenti, il numero, ed in vero quasi ogni cosa; se non il troppo in ciascuna di queste cose: perchè alle volte mi par che vi sforziate, e che trapassiate con l'artificio il naturale di molto più che non bisogna per dire efficacemente e probabilmente. L'arte allora è più bella e più opera quando non si conosce. E dove si deve celare, mi pare che voi la scopriate..... Alcuni aggiunti o epite

(40) Se nor leggeremo nell' autore delle memorie di Brandemburgo che la lingua tedesca non è ancora ridotta alla sua perfezione perchè non è stabilita dalle grammatiche e da' dizionarj, loderemo infinitamente l'au tore di esso libro perchè abbia detto il vero. Così dice il Gozzi nel Giudizio degli antichi poeti sopra la moderna censura di Dante ec. E il Salvini loc. cit. Comincia prima il buon uso e 'l buon tempo d'una lingua; e quando ella ha preso buona formazione e per pubblico tacito accordo del popolo che naturalmente la parla, si è venuta a fare regolata e pulita, allora escono in campo gli scrittori che l'abbelliscono e le dan grido. Allora viene in soccorso la nazione de' gramatici, e sponendo e chiosando gli antichi, e quelli avendo in riverenza, le buone regole del parlare ne trae, e viene, in quel modo che si puote, a rinnovellare e perpetuare quel tempo, e fare che i successori godano al possibile bello. intatto il glorioso retaggio della migliore e della più pulita favella. (44) I Deputati a correggere il Decamerone nel 1573.

(12) Salviati, Avvertimenti della lingua, lib. 2. cap. 24. (43) Salviati, ivi, lib. 2. cap. 5.

ti mi ci paiono alle volte oziosi. Gli epiteti fanno il dir poetico e freddo..... La composizion delle parole, per bella, artificiosa e ben figurata che sia, mi pare alle volte confusa. E questo credo che proceda dalla lunghezza de' periodi, perchè alle volte mi paiono di molti più membri che non bisogna alla chiarezza del dire: il che sapete che fa confusione e si lascia indietro gli auditori (14). E ad un altro che gli aveva dato a vedere un'opera per averne il suo sentimento, così scriveva il medesimo Caro: lo desidero che se ne lievino certi trasporlamenti di parole e certi verbi posti nel fine talvolta per eleganza, che in questa lingua a me generano fastidio... Vorrei che la scrittura avesse del corrente più che dell'affettato (15). Anche il predetto Salviati dovè confessare che la leggiadra semplicità del buon secolo erasi all' età sua rivolta in una cotal tronfiezza e burbanza di favellare asiatico (16). E l'Alfieri disse che il cinquecento chiacchierava.

X. Ma in questo secolo pure, il vizio venne dall' insegnamento. Chi scrisse come parlava, peccò, è vero, talvolta in grammatica, nè sempre filò a dovere i periodi; ma scrisse con semplicità, con isveltezza, con grazia. Alcuni poi, seguendo il linguaggio del popolo e al tempo stesso badando alle avvertenze dei grammatici e all'uso dei classici, riuscirono corretti e nobili, e insieme facili, spiritosi, leggiadri. Fra questi fu il prenominato Caro, il quale mentre dicea del Bembo: E stato il primo che abbia insegnato a questi tempi e a quelli che verranno il vero modo di scrivere (17), dichiarava: Farò profession sempre, come ho fatto fin qui, di riconoscere tutto quel poco ch'io so di lingua, dalla pratica di Fiorenza (18). Del resto in questo secolo, tanto per le buone arti felice, furono distese scritture presso che in ogni sorta di belli ed utili argomenti, le quali potrai volgere con frutto, se tu sappia tenerti lungi da que' due difetti del troppo studio e del poco studio.

(44) Caro, Lettere, tom. 3, facc. 244. ediz. Class. Mil.

(45) Id. ib. facc. 35.

(16) Lettera del Salviati a Baccio Valori premessa alla edizione del Passavanti fatta dal Sermartelli il 1585.

(17) Caro, Lettera premessa alle Rime del Bembo.

(18) Caro, Lettere, t. 5, facc. 248.

XI.

SECOLO XVII.

Ma quanto possano le male scuole il dimostra,

più che altro mai, il secento. Crediamo noi che senza maestri, i quali pervertissero i giudizi fino dal primo loro sbocciare, potesse prender piede tanta stranezza di scrivere, quanta si vede in molta parte dei libri di quest'età? E infatti quelli che scrissero senza studio e seguirono la popolare consuetudine, non dettero in quelle mattezze. Per altro a bén definire il male di quell' età, è da notare che non tanto si peccò nella lingua, vale a dire, usando vocaboli non italiani, o non italianamente accozzandoli; quanto nello stile, che più dai concetti dipende che dalle parole (19). Il vero, il naturale più non si volle: si cercò lo strano; e ciò che più strano era, più si ebbe per bello. Si affastellarono le metafore; e ardite non bastarono, si vollero ridicole. Da ciò che si dicea figuratamente, si trassero conseguenze come se fosse detto in senso proprio; e per esempio, chiamati Soli gli occhi della Maddalena e Onde le chiome, si celebrava come prodigio, che ella a' piedi del Salvatore, lavasse coi soli ed asciugasse colle onde. Si cercarono a grande studio i contraposti; e quanto più le cose erano disparate,

(49) La lingua propriamente sta nella forma e terminazione delle parole, nel loro legamento, e nelle maniere di dire, o frasi. Onde è cosa diversa dallo stile, che non tanto dipende dalle parole (benchè eziandio l'aggiustata loro scelta e collocazione sia di momento) quanto dai concetti colle parole espressi. Onde uno scrittore può aver lingua eccellente, ed essere vizioso nello stile, e può al contrario esser lodato per lo stile e appuntato per la lingua. Nondimeno ogni nazione ha una tal sua maniera di sentire e di pensare, che dà allo stile un colore ed un sapore diverso a seconda delle diverse nazioni, e rende in una lingua cari e lodevoli alcuni modi, che in altra lingua danno noia e son biasimati. Onde, per esempio, alcuni hanno il Facciolati per non buono latinista, perchè sebbene usasse parole latine e costrutti latini, non pensava, secondo essi, latino. Il che se per avventura non è vero del Facciolati, potrebbe per altro dirsi a buona ragione di molti scrittori italiani. E in questo senso la parola lingua si prende più largamente a significare anche quel sapore, quel colore dello scrivere, proprio d' una tal nazione; e in questo senso odesi dire l'indole della lingua. Sebbene poi a render perfetta la eloquenza sia bisogno e di buona lingua e di buono stile, pur essa è una qualità diversa del parlare e dello scrivere, la quale principalmente risulta dalla esposizione delle ragioni e dal maneggio degli affetti. Onde a taluno vediamo talora dar lode di eloquente, sebbene per la lingua e per lo stile non sia da lodare. Questa breve dichiarazione gioverà a intelligenza delle cose dette, e di quelle che più volte avremo occasione di dire nelle note agli esempi.

più si pregiava l'accoppiamento. Le cose più minute s' ingigantivano. Le descrizioni frequentissime, lunghissime, fanciullesche. Di erudizione fecesi uno scialacquamento, un guasto, una rovina. I sentimenti principali rimasero come affogati negli accessorj. Disse tutto in breve l'Alfieri: il secento delirava.

XII. Ma se il detto fin qui mostra di quanto pericolo sia nelle lettere un male inteso amore di novità, vediamo ora in contrario, quanto il tenersi all'antico giovi a conservamento di quelle. In Toscana l'Accademia della Crusca, fondata nel passato secolo, promoveva lo studio degli antichi nostri scrittori; ed in Toscana, e principalmente in Firenze, il contagio non penetrò, o vi fece piccolissimi danni. Anche altrove alcuni felici ingegni aiutati dallo studio dei buoni scrittori, se in mezzo ai corrotti non serbaronsi del tutto sani, tennersi per altro lungi da quelle stoltezze. E se in essi è più o meno da riprendere un certo abuso di metafore, di antitesi, di similitudini, di sentenze, di digressioni, di erudizione; il vizio per lo più sta nel troppo, non nello strano; e questo vizio è da ben altre doti compensato. Fra questi ultimi fu il Segneri, il quale solo basterebbe a fare perdonare a quel secolo i suoi delirj.

SECOLO XVIII.

XIII. La filosofia nell'età precedente ristorata, anzi crea

ta dal Galileo: l' esempio di que' valentuomini che nel general traviamento s' erano tenuti fermi sul diritto cammino: le sollecite cure della sopra lodata Accademia della Crusca in Firenze, di quella d'Arcadia in Roma e di altre in altre città d'Italia, bastarono finalmente a mettere in bando il mal gusto che signoreggiava. Uomini in buon numero fiorirono, per ingegno e per dottrina prestanti. Si scrissero, forse più che in altro tempo mai, opere; e alcune, per la materia, lodevolissime. Le lettere ancora vantaggiaronsi di alcune maniere di componimenti, che prima o non avevamo, o di poco pregio avevamo. Nè pure mancarono affatto scrittori di vero stile italiano. Ma generalmente si scrisse male. Il soverchio amore posto nelle letterature straniere, e massime nella francese, venuta sotto Luigi XIV a tanta gloria: l'abbandono dei nostri antichi maestri che furono

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