(972) Il professore Francesco Orioli stampò nel 1826 a Bologna un discorso Intorno l'epigrafi italiane e l'arte di comporte, che è la miglior cosa che io mi abbia veduta in questo genere. Qua e là ne prenderò alcuni dei più principali avvertimenti. Le iscrizioni sono per consentimento de' dotti il più modesto genere di componimento rettorico, e sono contente le più volte di adornarsi soltanto della semplicità, della chiarezza, della brevità, della efficacia, e di un certo tal quale numero che grato venga nell'orecchio, e vi porti una dolcezza, la quale si paia tutta naturale e spoglia d'arte. Ogni iscrizione contiene per ordinario due principali parti; e ciò sono la Narrazione la Clausula. Molte hanno ancora un Antefisso, che tien luogo di esordio. In moltissime la clausula manca. La narrazione non suol mancare, o nol dovrebbe, eccetto forse rarissimi casi. L'obbietto principale di presso che tutte le iscrizioni è dare avviso con brevi e perspicue parole d'alcuna cosa la quale chi scrive si propone di far conoscere a chi leggerà, in modo che ne resti memoria; e questo è l'ufficio della narrazione. Ma in far ciò si vuole ancora talvolta muovere l'affetto in chi legge, e tal altra volta si vuole risvegliare considerazioni morali o filosofiche, o generare alcuna persuasione, o dare alcun brevissimo ammaestramento; e questo è il dovere della clausula: non tanto però che non possa ancora tentarsi d' operarlo mentre si narra. L'antefisso rade volle usurpa gli uffizi di quella. Più spesso è spezie di formola invocatoria, o dedicatoria, ovvero d'intitolazione che ci fa avvertiti della natura del Monumento: a'quali generi diversi appartengono appunto nel latino A Q (cioè alfa, Christus, omega) di alquante epigrafi sepolcrali, trasportato dal nostro signor Muzzi anco alle italiane (*); e il D. M. S. (cioè Diis manibus sacrum, usato dai Gentili) o simili. Se l'iscrizione vuol esser principalmente breve e perspicua, vede ognuno discendere da ciò, ch'essa nel generale debba essere semplice per una parte, e nemica delle perifrasi, e per l'altra dee preferire il parlare proprio al figurato, il periodo breve al prolisso, la sintassi diretta alla permutata, le parole di manifesta significazione alle dotte e poco intese o non intese che per istudio. Gli amatori di questo nuovo genere di componimento soprattutto non si lascino sedurre dal pensiero che l'epigrafe è componimento breve e semplice per natura, e non cavino da ciò il falso conseguente che sia facile il com (*) Avendo mandato al Muzzi l'edizione di questi Esempi fatta sul cadere del 4858, egli intorno alle sue iscrizioni mi fece per lettera alcune avvertenze, delle quali ornerò queste mie note. Qui cade la seguente: Essendomi ac- · corto non convenire a italiana epigrafe il mescolamento di parole lati ne nè lettere o sigle di greche, tralasciai di usare ile A₤ Q usando in vece CTO, Alfa e Omega, come disse Dante nel 26 del Parad. e registrato sol mezzo nel Vocabolario, perchè gli accademici notarono Alfa e non citarono Omega; e valendomi ancora d'A-Z per indicar più italianamente principio e fine, maniera pur registrata. FANCIULLI E VERGINETTE SPARGETE FIORI A PIENE MANI porne di belle e lodevoli. Al contrario appunto perchè l'epigrafe vuol esser semplice e breve, non soffre vizi, e perchè d'ogni maniera di bellezze non è capace, è più difficile il dargliene. Leggete il classico libro del Morcelli, e le grandi collezioni del Grutero, del Reinesio, dello Sponio, del Fabbretti, di Marquardo Gudio, di Lodovico Antonio Muratori, di Riccardo Pocockio, del Donati, del Marini, degli altri de' quali tanto grande è il numero. Studiate l'artifizio di que' maestri, e fatene applicazione, giusta i bisogni, e la natura della nostra favella. Ho preso gli esempi delle iscrizioni dal Muzzi e dal Giordani, perchè il primo è avuto quasi come il creatore dell' italiana epigrafia, essendo prima di lui non molte, nè per la più parte di molto pregio le italiane iscrizioni. Il secondo poi mi sembra il più compiuto di quanti altri abbiamo scrittori di epigrafi. (973) D' Enrichetta. Nell'edizione del 4858 era di Enrichetta (col di non accorciato per l'apostrofo). L'autore mi avvisò dello sbaglio; e certamente questo secondo modo serve meno a quell'armonia, di cui la seguente nota 974. In fronte poi a questa iscrizione fu scolpita una colomba. Il che mi dà occasione di allegare queste parole del solito discorso dell'Orioli: Nè giudicherei male di prendere dagli antichi, certi caratteri simbolici od emblemi, quali sarebbero appunto nella fronte o nella fine delle sepolcrali la colomba col ramo d'olivo, o le mani levate in atto di preghiera, o giunte, od il monogramma di Gesù e di Maria, che il signor Muzzi ha immaginato e adoperato più volte, o la figura del mistico agnello e del mistico pesce che ci simboleggia Cristo Salvatore e Vittima, o il serto de' fiori od altreltali. Quanto al mistico pesce, aggiugnerò qui che le greche lettere ΙΧΘΥΣ (che sono le iniziali di Ιησές Χριςός Θεῖ Υιός Σωτήρ Jesus Christus Dei filius Salvator) prese unitamente, significano pesce, Si veda il P. Mamachi De' costumi de' primitivi Cristiani, t. 4, face. 488. Qui aggiungo che nel 1845 uscì a Milano uno scritto dell'ab. Luigi Polidori, col titolo: Del pesce come simbolo di Cristo e de' Cristiani. III QUI FU POSTA LUISA MARINI MILANESE DI SEMBIANZE ANGELICHE FU UBBIDIENTE FU CARITEVOLE FU DIVOTA (974) MORI' NEL GIORNO DELLO SPIRITOSSANTO CELSO PADRE E GIOVANNA MADRE P. (975) Di Luigi Muzzi " (974) Fu caritevole. Nell' edizione del 1858, qui per isbaglio fu impresso caritatevole, invece di caritevole. Il Muzzi mi scrisse: « Nell'Iscr. III è tras« corso un errore non di lingua nè altro, ma per me come me un errore d'epigrafia, cioè caritatevole per caritevole, facendo io gran caso nel nuo«vo stile epigrafico del numero armonico. A rovescio, ma per la stessa ragio«ne, quando a Milano nelle iscrizioni per la Carmo fu stampato: Qui si squisiti lavori (in vece di lavorii) e come la bellezza la u vita e il ruscello - fuggono similmente (in vece di similemente) mi « parve tolta qua e là una sillaba necessaria ». " conservano (975) P. cioè Posero. I Latini usarono molto di mettere, invece di una parola intera, una o più lettere (e per lo più delle prime) della parola stessa, come S. T. T. L. ioè: sit tibi terra levis; EQ. R. eques romanus; COS. consul, e così altre moltissime, intorno alle quali puoi vedere, fra gli altri, l'Orsato o Ursato De notis Romanorum nel tom. XI del Grevio; Giov. Dom. Coleti Notæ et sigla quæ in nummis et lapid. apud Rom. obtin. explic. e le più principali si trovano spiegate anche nell' aureo libretto del Nieupoort Rituum qui olim apud Romanos obtinuerunt succincta explicatio. Essendo presso i Romani molto in uso, non costava loro certa difficoltà il decifrarle. Per la ragion contraria, nelle italiane iscrizioni darebbon noia e non sarebbono intese, se usate non venissero di rado e con molto giudizio. JV PER MEMORIA DI GIROLAMO ALLORI DI MODICO LUCRO CONTENTO PIETOSAMENTE LIBERALE VERSO LA POVERTA' VERGOGNOSA PERCOSSO DI FOLGORE GIOVANNI SANTINI LEGATARIO (976) Q. T. P. cioè: questo tumulo pose. Vedi la nota precedente. (977) L'Orioli dice questa iscrizione lodevolissima per semplicità e per affetto. La narrazione v'è combinata colla clausula; e nell'una e nell' altra s'è artificiosamente operato a mettere nell'animo di chi legge una dolce malinconia che non si parte. È indicata la cagion della morte (di caduta) perchè tanto più doveva essere quella povera madre dolente, quanto più inopinata, istantanea e non ordinaria fu la morte del figliolino. E tanto più vivo doveva essere il dolore di lei, quanto più vicina al duro caso fu la posizione di questa lapida: e perciò è notato il tempo (ieri). Le quali circostanze molto fanno a quella malinconia qui lodata dall'Orioli: VI QUESTO MARMO CHIUDE LE ONORANDE SPOGLIE DI GUGLIELMO LANDUCCI NELLO AMORE DI DIO E DEL PROSSIMO MORI PIENO DI ANNI E DI MERITI NON SI DEE RIPUTARE MALA MORTE A RAFFAELLO DI BERNARDO GUERRIERI OFFICIOSO NEGLI AMICI IL PRIMO DELL' ANNO MDCCCXXII BATISTA E GUGLIELMO FRATELLI Dello stesso (978) « lo trovo una semplicità ingenua, che sopra ogni altra qualità epigrafica m'incanta sempre, nella iscrizione sepolcrale per Guglielmo Landuc« ci». Così l'Orioli nel suo Discorso. (979) Questa l'Orioli pone fra quelle lodevolissime per naturalezza e proprietà che da dignità e da numero non van disgiunte, comechè queste cose paiano sommamente difficili da combinarsi insieme. Vorrei si notasse la eccellenza dell' Antefisso: Non si dee ec. tutto appropriato al miserando caso del Guerrieri, che insieme è lode alla buona vita di lui, e bella ammonizione a chi legge. Nel detto Antefisso, innanzi ad alla quale si sottintende quella ellissi che i nostri classici, a esempio dei Latini, talora usarono. Ne vedeinmo un esempio alla Narr. X: io mi credeva che fusse un uomo grande e appariscente, del quale ec. cioè colui, o quegli, del quale ec. E in fine alla Narr. XXXI, a c. 153, lin. 7: il morire con cui mi fu sì caro il vivere, cioè con colui col quale ec. E Dante Purg. XX, 45. Quando verrà per cui questa discenda, cioè; colui pel quale. E il Petrarca comincia un sonetto: Fera stella .... fu, sotto cui nacqui. cioè quella, solto cui ec. E più singolarmente disse nel Trionfo della Morte, cap. 1: Qual è chi'n cosa nova gli occhi intende E vede, onde al principio non si accorse; dove onde è invece di cui, e così manca qui pure quello, o cosa, o altro simi |