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BUONARROTI,

POETA.

È avvenuto delle rime di Michelagnolo Buonayroti quello che, nel quinto del Paradiso di Dante, così scritto si legge :

Si come 'l sol che si cela egli stessi

Per troppa luce, quando 'l caldo ha rose

Le temperanze de' vapori spessi;

voglio dire che l' immenso lume che spande quell' altissimo ingegno nei miracoli di scultura, di pittura, d'architettura, pare ch' abbia oscurato quello che nelle opere sue poetiche risplende sì, ch' egli abbaglia l'occhio che men trema; perciocchè, da quei pochi italiani in fuori i quali dal subbietto della loro vera e prima gloria non volgon viso, truovasi a fatica chi delle rime del Buonarroti abbia piena conoscenza; e sono pur isfuggite alla rapacità di coloro i quali a farsi ricchi delle altrui spoglie hanno l'occhio ben acuto, non già come api industri e feconde, sì come infingardi e sterili farfalloni. E se in Italia, dove ad alcun conforto del disonesto strazio di lei, quella che già fu donna di provincie, sogliono le anime belle e

a

amiche di virtù ricrearsi in quello che, nè per rivolgimento di fortuna, nè per impeto di nemica rabbia le potrà mai venir meno, era sì sconosciuto dall' universale questo inestimabile tesoro, tesoro, che dovrem dire di quei di fuori, dove dannosi a credere d'avere l'idioma gentil sonante e puro apparato, come, con quelle quattro regoluzze del Donadello, sonosi addimesticati quegli autori, le opere dei quali meglio sarebbero nei profondi abissi del non essere intombate; e dove coloro che trascorrendo con facilissimo e leggerissimo sguardo gli eterni volumi dei più sommi de' nostri scrittori, , per travedere quà e là in quelli alcun lampo, alcuna favilletta, alcun mal conosciuto splendore, credonsi tenere il campo; e, come s' abbattono in quello che colla loro natura, co' lor costumi, col loro vedere non si contempera, senza voler pur pensare le distinzioni che natura pone fra l' un popolo e l' altro, quasi fossero i sovrani giudici e correggitori dell' universo mondo letterario, menan la mazza a tondo, tagliano, e sfendono alla cieca, allogando a modo loro i nomi, e rimeritando improporzionalmente al loro vedere quei maestri reverendi, l' onorata nominanza dei quali si fa per tempo a più a più bella e più lucente?

Io dico per ver dire,

Non per odio d' altrui, nè per disprezzo.

Menato da volere, o fortuna, o destino, là dov' io adoperassi il mio poco ingegno e le fievolissime mie forze a quello a che i magnanimi d' Italia continua

mente s' affaticano, vale a dire a mantenere intera, e diffondere l' italica gloria, quella che, eccedente ogni altra antica e moderna, nel divinissimo e malagevolissimo nostro idioma sta riposta, sì come quella che, con profetico spirito dai secoli avverato, disse Dante luce nuova, sole nuovo, il quale aveva a surgere ove l'usato tramontava, (come che a' di nostri caduto sia tanto di sua natìa purezza e nobilità, colpa e vergogna di coloro i quali, non sapendo ponderare le forze loro, vogliono pur quello che loro niega il cielo) non mi sentendo a maggiori imprese naturato, pensai ch' io fossi per acquistare alcuna lode appo i miei, e alcun merito e conoscenza coi forestieri, se, additando in prima l' arduo e malagevole cammino il quale nei sacri penetrali del sermon nostro, sicuro e luminoso riesce (1), riproducessi in luce le opere dei più famosi nostri maestri, disvelando con opportune dichiara

(1) Intendo della mia Gramatica italiana, opera di lunghissime: veglie e fatiche, di caldi e freddi, e digiuni, la quale ridotta a nuova vita, come credo che sia nella quarta sua edizione, posso franco dire oramai mia; e perchè sa il mondo ch' io non mi muovo nelle mie imprese nè da van desio di lode, nè da ingordigia di vile guadagno, facendo scopo a' miei studj la gloria della mia lingua, e l'utile e il diletto degl' imparanti ; e sa ancora che, se posso ben per ignoranza o per troppo volere ingannarmi, non sarà mai per rea malizia; oserò pur dire, che chiunque vorrà da quì innanzi apparar bene l' italica favella, ed entrerà per altra via che per quella la quale nella Gramatica nostra si segna, non ha a sperare, se fosse un Sansone, di pervenire giammai a cogliere quel dolce pomo, che può solo porre in pace la sua fame.

zioni e comenti all' altrui sguardo quello che di quelle, o vuoi per imperfetto vedere, o vuoi per adombramento di ragione, o per falsa preoccupazione, a loro si celasse; nella quale fatica io sono per avventura non meno meritevole di chi ristaura le dipinte tele guaste dal tempo, o dissotterra alcuno antico monumento, e rendelo alla maraviglia del mondo.

Proseguendo, siccome son per fare mentre in me s'accenderà una scintilletta di vita, in così fatta impresa, pensai che fosse per esser cosa sommamente accetta al mondo letterario, se, nel riprodurre con nuovi e meno scarsi comenti i volumi di quei due la cui fama col moto si misura, io ponessi in terzo con quelli le rime di Michelagnolo Buonarroti, il quale così acconciamente con Dante e col Petrarca s' intrea, come stella con stella s'alluoga; perciocchè, non che sia questo nuovo splendore una emanazione di quelli, e'

mi

pare ch'essi sieno tre in uno e uno in tre, vale a dire tre stelle, anzi tre soli volgentisi d' un giro e d'un girare medesimo, ognuno del proprio lume, e di riflessa luce risplendente, e facendosi di loro mutui raggi più vivaci ognora, e più belli.

Del Buonarroti primeggiante fra gli antichi, e sì ancora fra' moderni, nelle tre nobili arti, pittura, scultura, architettura, nelle quali, non ch' egli le tornasse a nuova vita, segnò i riguardi da non oltrepassarsi giammai da uomo, se una, eterna, e però immutabile è natura, hanno molti chiari scrittori piene

molte carte; e i miracoli dell' arte sua propria, li quali in ogni parte del mondo sparsi sono per l'universo non che nel bel paese più al cielo diletto, ne fanno chiarissima fede, e faranno in perpetuo, vincendo le opere di lui i secoli correnti per le lor vie; e penso che, se a quelli far potesse oltraggio chi tutte sforma e dissolve consuma, cesserebbe per divino volere il moto, s' egli è che nei parti miracolosi di quell' ingegno sovrumano tanta parte di se ne dimostri l'onnipossente valore. Nè credo che vada oggi per terra uom sì rozzo, sì duro, che, udendo parlare del Buonarroti, non gli torni a mente alcuna delle tante opere di lui, le quali ingombrano la terra; o vuoi quella sì famosa Pietà di marmo, alla cui perfezione aggiunge a pena natura in carne umana e nelle sue pinture; o il giovanetto David colla frombola in mano lavoro di sì alto stile; o i due prigioni della sepoltura di Giulio II, che pongon l'occhio in discordia coll' udito; o quel Moisè, il cui volto tanto della incomprensibile divinità manifesta (1); o la cupola di san Pietro, e altri dei lavori immensi di quella gran mole

(1) Gio. Batista Zappi ricopiò nel seguente suo bellissimo sonetto quel vivo marmo:

Chi è costui che, in sì gran pietra scolto,
Siede gigante, e le più illustri e conte
Opre dell' arte avanza, e ha vive e pronte
Le labbra sì, che le parole ascolto?

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