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Daniotto Sc.

Star più teco non posso, e me ne duole.
Eccoti il libro, mettivi ben cura:
e dia buona ventura

Iddio t'ajuti

Orl inn C33.

ORLANDO INNAMORATO.

CANTO TRENTESIMOTERZO.

I.

Luce de gli occhi miei, spirto del core,

Per cui cantar solea si dolcemente
Leggiadre rime e be' verfi d'amore;
Spira quell' aura a l'affannata mente,
Che già spirafti, e mi facefti onore,
Quando cantai di te primieramente;
Perchè a chi ben di lui pensa o ragiona,
Amor la voce e l'intelletto dona.

II.

Amor prima trovò le rime e i verfi,
E suoni e canti ed ogni melodia;
E genti ftrane e popoli disperfi
Congiunse amore in dolce compagnia..
Non potria ne piacer nè pace averfi
Dov'amor non avesse fignoria.
Odio senz' effo, e dispettosa guerra,
Miseria e e morte disfarian la terra.

III.

Amor dà a l'avarizia, a l'ozio bando, E'l core accende a l'onorate imprese ; Nè tante prove mai fe' il conte Orlando, Quante nel tempo che d'amor s'accese. Di lui vi ragionai di sopra, quando Con quella donna da cavallo scese. Dove lasciai, mi convien or seguire; Che difiofi vi veggo d'udire.

IV.

La donna che con esso era smontata, Gli diceva: fignor, in fede mia, Se non che meffaggiera io son mandata, Dentro a questo giardin teco verria ; Ma perder non convienmi una giornata Del mio cammino; ed è lunga la via. Or a quel ch'io ti dico, attendi bene: Effer gagliardo e savio ti conviene.

V.

Se non vuoi effer di quel drago pafto Il quale ha divorata gente affai, Convienti almen di tre giorni effer cafto: Non camperefti in altro modo mai. Questo dragon sarà 'l primo contrasto; Perocchè ne l'entrata il troverai. Un libro ti darò, dov'è dipinto Tutto'l giardino, e ciò che dentro ha cinto.

VI.

Il serpente che gli uomini divora,
E l'altre cose tutte quante dice;
E descrive il palagio ove dimora
Quella regina falsa incantatrice .
Entrovvi jeri appunto; e vi lavora
Con sughi d' erbe e di certa radice,
E con incanti una spada affilata
Che tagliar poffa ogni cosa fatata.
VII.

In quella non lavora, se non quando
Volta la luna, e faffi tutta oscura .
La cagion de la fabbrica del brando,
E perchè vi fi mette tanta cura,

E ch'in Ponente è un ch'ha nome Orlando
Ch'è sì forte, ch'al mondo fa paura.

Coftei trova in sul libro del deftino

Che da lui dee disfarfi il suo giardino.

VIII.

Come fi dice, egli è tutto fatato
Quel cavaliero, e non si può ferire :
E con molti guerrier già s'è provato ;
E tutti quanti gli ha fatti morire.
Questa regina il brando ha fabbricato;
Che gli vuol far la vita ivi finire :
Bench' ella dica che pur sa di certo
Che'l suo giardin da lui sarà deserto.
IX.

Ma io m'ero scordata il più importante, Ed ho gettate via tante parole.

Non puoffi in quel giardin metter le piante,
Se non appunto quando leva il sole.

Or io ho fretta; che son viandante ;
Star più teco non pofso, e me ne duole.
Eccoti il libro; mettivi ben cura:

Iddio t'ajuti, e dia buona ventura.
X.

Così dicendo, dagli il libro in mano,
E da lui licenziandofi s'inchina.
Grazie le rende il senator Romano :
Monta a caval la donna peregrina.
Va paffeggiando su e giù pel piano
Il Conte ch'ha a 'ndugiare a la mattina :
Poi fatto sera, fi corca in sul prato
Col scudo sotto 'l capo, e tutto armato.

XI.

Dormiva Orlando, anzi ruffava forte,
D'ogni faftidio scarico e leggiero ;
Ma quella donna ch'è di mala sorte,
E d'ir dietro a Grifone avca pensiero,
Diliberò da se dargli la morte;

E per moftrar che vuol far daddovero,
Così pian pian se gli viene accoftando,
E da la cinta gli levava 'l brando.

XII.

Coperto è tutto il Conte d'armadura: Non sa quella malvagia che fi fare: Aveva pur di ferirlo paura;

Poi fi risolve di lasciarlo ftare,
E Brigliadoro piglia ch'è in paftura:
Saltagli addoffo, e lo fa galoppare;
E già più di due miglia s'allontana,
Portandosene seco Durlindana.

XIII.

Sveglioffi il conte Orlando al mattutino, E del caval s'accorse e de la spada, E diffe: or son io pure un paladino Di que' che vanno nettando la strada. Or su, ch' entrar bisogna nel giardino; E così detto, non istette a bada. Benchè non abbia nè caval nè brando, Non fi può sbigottire il conte Orlando,

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