XXIX. Offeso il cavalier da quefto oltraggio Diffe: romper convien la discrezione: Del fallo in ch'io sforzato adeffo caggio, Ella arà il torto, ed io arò ragione. Così dicendo la mena ad un faggio, E bene ftretta la lega al troncone Con rami lunghi e teneri, e ritorte; Poi le domanda dove son le porte. XXX. Ella non vuol rispondergli parola : Par che de' cafi suoi pigli diletto. Ah, diffe il conte Orlando, mariuola, Io lo saperò pure a tuo dispetto : Ch' or mi ricordo che vo a la scuola, E sento ch' io ho in seno il mio libretto Da cui dette mi fien tutte le cose. Così dicendo a leggerlo fi pose. XXXI. Guardando nel libretto ov'è dipinto Tutto 'l giardino e di fuori e d' intorno . Vede nel saffo ond' egli è tutto cinto, Una porta che s'apre a Mezzogiorno. Ma bisogna a l'uscir prima aver vinto Un toro bravo ch'ha di fuoco un corno, L'altro di ferro; ed è tanto bestiale, Ch'a le ferite sue null' arme vale. XXXII. Ma innanzi a quefto un gran lago fi truova Il qual molta fatica s' ha a paffare, Per una maraviglia ftrana e nuova, Sì come appreffo udirete contare. Il libro insegna a far queft' altra pruova ; Laonde Orlando non vuol più indugiare: Va di buon paffo per l'erba novella, Lasciando ivi legata la donzella. XXXIII. Via se ne va per l'erbe rugiadose; E poi che buono spazio ebbe paffato, S'empie l'orecchie e l'elmetto di rose De le quali era adorno il verde prato : E così pieno ad ascoltar fi pose Quegli ucce' che cantavan d'ogni lato. Muover gli vede il collo, e'l becco aprire ; Ma la voce non può nè i verfi udire ; XXXIV. Perchè chiuse s'aveva in tal maniera Ambe l'orecchie con le rose colte, XXXV. Non giunse Orlando in su la riva appena, E cominciò a cantar sì dolcemente, E moftra di dormir di buona sorte . XXXVIII. Per le chiome la presè ftretta Orlando, E fuor del lago la tira nel prato; Dipoi la tefta le tagliò col brando: Così gli fu dal libretro insegnato. Poi del sangue s' andò tutte macchiando L'armi, e la sopravvefta in ogni lato: L'elmo fi traffe, e cavonne le rose; E tinto anch' effo, in capo sel ripose. XXXIX. Tinto s'è con quel sangue in ogni loco; Perchè altrimenti tutta l'armadura Gli arebbe consumata a poco a poco Arde e consuma ciò che tocca appena; XL. Di lui poco di sopra vi fu detto Ch'era guardian di verso Mezzogiorno. Il Conte venne a la porta in effetto, Poichè fi fu aggirato un pezzo intorno, E quel saffo ond' egli era chiuso e stretto, S'aperse tutto del giardino adorno; E di bronzo una porta anche fu aperta. Ecco la fiera con la tefta a l'erta XLI. Mugghiando esce e zappando a la battaglia, E ferro e foco con la fronte squaffa: Nè contraftar vi può piastra nè maglia: Ogni armadura con le corna paffa. Il Conte con quel brando che ftrataglia, Gli tira un colpo a la tefta giù bassa: Proprio lo giunse nel corno ferrato, E glie l'ha tutto di netto tagliato; XLII. Ma di ferir per questo il tor non resta: Gli arebbe l'armi e 'l corpo infieme acceso. Combatte arditamente il franco Orlando, Che mai non ebbe in sua vita paura : Mena a due man soffiando e fulminando ; Non anno i colpi suoi modo o misura. Dentro ha la forza, e di fuori ha quel brando Al qual cede ogni cosa forte e dura. Tanto gli batte tefta spalle e fianchi, Chẹ forza è a la fin che'l toro manchi. |