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degli uomini vi recano innanzi, e non dubitate che voi romperete ogni laccio, e supererete ogni difficoltà. E se voi gli voleste fare una serenata, mi offro a venir costì con qualche bel trovato per farla innamorare.

io

Questo è quanto mi occorre per rispetto alla vostra. Di qua non ci è che dirvi, se non profezie, ed annunzj di malanni, che Iddio, se dicono le bugie, faccia annullare, se dicono il vero gli converta in bene. lo quando sono in Firenze mi sto fra la bottega di Donato del Corno, e la Riccia, e parmi a tutti dua esser venuto a noja; e l'uno mi chiama impaccia bottega, e l' altra impaccia casa. Pure con l'uno e l'altra mi vaglio come uomo di consiglio, e per insino a qui mi è tanto giovata questa reputazione, che Donato mi ha lasciato pigliare un caldo al suo fuoco, e l'altra mi si lascia qualche volta baciare pure alla fuggiasca. Credo che questo favore durerà poco, perchè io ho dato all' uno e all' altra certi consigli, e non mi sono mai apposto, in modo che pure oggi la Riccia mi disse in un certo ragionamento, che ella faceva vista avere con la fante: questi savi, questi savi, io non so dove si stanno a casa, a me pare che ognun pigli le cose al contrario.

Magnifico Oratore, vedete dove diavolo mi trovo. Vorreimi pur mantenere costoro, e per me non ci ho rimedio. Se a voi, o a Filippo, o al Brancaccio ne occorresse alcuno, mi sarebbe grato me lo scriverete. Valete.

A di 4 Febbrajo 1513.

NICCOLÒ MACHIAVELLI in Firenze.

XXX.

*

AL MEDESIMO.

Magnifico Oratore.

Io ebbi una vostra lettera dell'altra settimana, e sonomi indugiato a ora a farvi risposta, perchè io desideravo intendere meglio il vero di una novella, che vi scriverò qui da piè; poi risponderò alle parti della vostra convenientemente. Egli è accaduto una cosa gentile, ovvero a chiamarla per il suo diritto nome, una metamorfosi ridicola, e degna di esser notata nelle antiche carte. E perchè io non voglio che persona si possa dolere di me, ve la narrerò sotto parabole ascose.

Giuliano Brancaccio, verbi grazia, vago di andare alla macchia, una sera infra l'altre ne' passati giorni, suonata l' Ave Maria della sera, veggendo il tempo tinto, trar vento, e piovigginare un poco, tutti segni da credere che ogni uccello aspetti, tornato a casa si caccia in piedi un pajo di scarpette grosse, cinsesi un carnajuolo, tolse un frugnuolo, una campanella al braccio, ed una buona ramata. Passò il ponte alla Carraja, e per la via del canto de' Mozzi ne venne a Santa Trinita, ed entrato in Borgo Santo Apostolo andò un pezzo serpeggiando per quei chiassi che lo mettono in mezzo, e non trovando uccelli che lo aspettassino, si volse dal vostro battiloro, e sotto la Parte Guelfa attraversò Mercato, e poi Calimala Francesca, si ridusse sotto il Tetto dei Pisani, dove guardando tritamente tutti quei ripostigli, tro. vò un tordellino, il quale con la ramata, ed il lume,

e con la campanella fu fermo da lui, è con arte fu condotto da lui nel fondo del burrone sotto la spelonca, dove alloggiava il Panzano, e quello intrattenendo ...

gli riscuotè due penne della coda, ed in fine, secondo che li più dicono, se lo messe nel carnajolo al dritto. Ma perchè il temporale mi forza a sbucare di sotto coverta e le parabole non bastano, e questa metafora più non mi serve, volle intendere il Brancaccio chi costui fosse, il quale gli disse, verbi grazia, esser Michele nipote di Consiglio Corsi. Disse allora il Brancaccio, sia col buon anno, tu sei figliuolo di un uomo dabbene, e se tu sarai savio, tu hai trovato la ventura tua. Sappi che io sono Filippo di Casavecchia, e fo bottega nel tal lato ; e perchè io non ho denari meco, o tu vieni, o tu manda domattina a bottega, ed io ti soddisfarò. Venuta la mattina, Michele, che era più presto cattivo che dappoco, mandò un Zanni a Filippo con una polizza, richiedendogli il debito, e ricordandogli l'obbligo, al quale Filippo fece un tristo viso, dicendo: Chi è costui, o che vuole; io non ho che far seco; digli che venga da me. Donde che ritornato il Zanni a Michele, e narratogli la cosa, non si sbigotti di niente il fanciullo, ma animosamente andato a trovar Filippo, gli rimproverò i benefizj ricevuti, e gli concluse che se lui non aveva rispetto ad ingannarlo, egli non avrebbe rispetto a vituperarlo. Talchè parendo a Filippo essere impacciato, lo tirò dentro in bottega, e gli disse: Michele tu siei stato ingannato; io sono un uomo molto costumato, e non attendo a queste tristizie; sicchè egli è meglio pensare come si abbia a governar questo inganno,.... che entrare per questa via, e senza tuo

.

utile vituperar me. Però farai a mio modo; andraitene a casa, e domani torna da me, ed io ti dirò quello che avrò pensato. Partissi il fanciullo tutto confuso; pure avendo a ritornare, restò paziente; e rimasto Filippo solo era angustiato della novità della cosa, e scarso di partiti, fluttuava come il mare di Pisa, quando una libecciata gli soffia nel forame. Perchè e' diceva, s'io mi sto cheto, e contento Michele con un fiorino, io divento una sua vignuola, fommi suo debitore, confesso il peccato, e d'innocente divento reo. Se io nego senza trovare il vero della cosa, io ho a restare al paragone di un fanciullo, mi ho a giustificare seco, o a giustificare gli altri. Tutti i torti fieno i mia; se io cerco di trovare il vero, io ne ho a dare carico a qualcuno, potrei non mi apporre, farò questa nimicizia, e con tutto questo non sarò giustificato. E stando in questa ansietà, per manco tristo partito prese l' ultimo; e fugli in tanto favorevole la fortuna, che la prima mira che prese, la prese al vero brocco, e pensò che il Brancaccio gli avesse fatto questa villania, pensando che egli era macchiajolo, e che altre volte gli aveva fatte delle natte, quando lo botò a' Servi. Ed andò in su questo a trovare Alberto Lotti, verbigrazia, e narratogli il caso, e dettogli l'opinion sua, e pregatolo che avesse a se Michele, che era suo parente, vedesse se poteva riscontrare questa cosa. Giudicò Alberto, come pratico e intendente, che Filippo avesse buon occhio, e promessogli la sua opera francamente, mandò per Michele, e abburattatolo un pezzo gli venne a questa conclusione. Ti darebb'egli il cuore, se tu sentissi favellar costui che ha detto di esser Filippo, di riconoscerlo alla voce?

A che il fanciullo replicato di sì, lo menò seco in Santa Maria, dove sapeva il Brancaccio si riparava, e facendogli spalla, avendo veduto il Brancaccio che si sedeva fra un monte di brigate a dir novelle, fece che il fanciullo si accostò tanto, che l'udì parlare; e girandosegli intorno, veggendolo il Brancaccio, tutto turbato se gli levò dinanzi; donde a ciascuno la cosa parve chiara, di modo che Filippa è rimaso tutto scarico, e il Brancaccio vituperato. Ed in Firenze in questo carnasciale non si è detto altro, se non se'tu il Brancaccio, o se' il Casa; et fuit in toto notissima fabula coelo. Io credo che abbiate avuto per altre mani questo avviso, pure io ve l'ho voluto dare più particolare; perchè mi parve così mio obbligo.

Alla vostra io non ho che dirvi, se non che seguitiate l'amore totis habenis, e quel piacere che vi piglierete oggi voi non l'avrete a pigliar domani; e se la cosa sta come voi me l'avete scritta, io ho più invidia a voi, che al re d'Inghilterra. Priegovi seguitiate la vostra stella, e non ne lasciate andare un jota, perchè io credo, credetti, e crederò sempre che sia vero quello che dice il Boccaccio; Che egli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi . A di 25 Febbrajo 1513..

NICCOLÒ MACHIAVELLI in Firenze.

XXXI

A FRANCESCO VETTORI IN ROMA,

Sarà egli però dopo mille anni cosa reprensibile,

che io vi scriva altro che favole? Credo di no; e

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