popolo; e però se tutti i Re del mondo accozzati insieme gli comandassero lo deponesse, mai lo deporrebbe. Ma se questo popolo volesse che lui se ne partisse, lo farebbe così volentieri, come volentieri lo prese, quando senza sua ambizione gli fu concesso. E per tentare l'animo dell'universale, come prima fu partito l'ambasciatore, ragunò tutto il consiglio, e notificò loro la proposta fatta, e offersesi quando al popolo così piacesse, e che essi giudicassero che dalla partita sua ne avesse a nascere pace, era per andarsene a casa, perchè non avendo egli mai pensato se non a beneficare la città, gli dorrebbe assai che per suo amore la patisse. La qual cosa unitamente da ciascuno gli fu denegata, offerendosi da tutti di mettere insino alla vita per la difesa sua. la Seguì in questo mezzo che il campo Spagnuolo si era presentato a Prato, e datovi un grande assalto, e non lo potendo espugnare, cominciò Sua Eccellenza a trattare dell' accordo coll' Oratore Fiorentino, e lo mandò a Firenze con un suo, offerendo di esser contento a certa somma di danari; e de' Medici si rimettesse la causa nella Cattolica Maestà, che potesse pregare e non forzare i Fiorentini a riceverli. Arrivati con questa proposta gli Oratori, e riferito le cose degli Spagnuoli deboli, allegando che si morrieno di fame, e che Prato era per tenersi, messe tanta confidenza nel Gonfaloniere e nella moltitudine, colla quale egli si governava, che benchè quella pace fosse consigliata da' savj, tamen il Gonfaloniere l'andò dilatando tanto, che l'altro giorno poi venne la nuova essere preso Prato, e come gli Spagnuoli rotto alquanto di muro, cominciarono a sforzare chi difendeva, e a sbigottirgli, intantochè dopo non molto di resistenza tutti fuggirono, e gli Spagnuoli occupata la terra la saccheggiarono, ed ammazzarono gli uomini di quella con miserabile spettacolo di calamità. Nè a Vostra Signoria ne riferirò i particolari per non gli dare questa molestia d'animo, dirò solo che vi morirono meglio che quattromila uomini, e gli altri rimasero presi, e con diversi modi costretti a riscattarsi, nè perdonarono a vergini rinchiuse ne' luoghi sacri, i quali si riempierono tutti di stupri e di sacrilegj. Questa novella diede gran perturbazione alla città, nondimanco il Gonfaloniere non si sbigottì, confidatosi in certe sue opinioni, e sulle grate offerte, che pochi di avanti gli erano state fatte dal popolo; e pensava di tenere Firenze, e accordare gli Spagnuoli con ogni somma di danaro, purchè si escludessero i Medici. Ma andata questa commissio. ne, e tornato per risposta come gli era necessario ricevere i Medici, o aspettare la guerra, cominciò ciascuno a temere del sacco, per la viltà che si era veduta in Prato ne' soldati nostri; il qual timore cominciò ad essere accresciuto da tutta la nobiltà, che desideravano mutare lo stato, intanto che il lunedì sera a dì 30 di Agosto a due ore di notte, fu dato commissione agli Oratori nostri di appuntare col Vice-re ad ogni modo, e crebbe tanto il timore di ciascuno, che il palazzo e le guardie consuete che si facevano dagli uomini di quello stato ; le abbandonarono, e rimaste nude di guardia, fụ costretta la Signoria a rilassare molti cittadini, i quali sendo giudicati sospetti e amici a' Medici, erano stati a buona guardia più giorni in palazzo ritenuti, i quali insieme con molti altri cittadini de' più nobili di questa città, che desideravano di ríavere la rẻputazione loro, presero animo tanto, che il martedì mattina vennero armati a palazzo, e occupati tutti i luoghi per sforzare il Gonfaloniere a partire, furono da qualche cittadino persuasi a non fare alcuna violenza, ma a lasciarlo partire d'accordo. E così il Gonfaloniere accompagnato da loro medesimi se ne tornò a casa, e la notte vegnente con buona compagnia, di consentimento dei Signori, si condusse a Siena. Essendosi in quel tanto in Firenze fatto certo nuovo ordine di governo, nel quale non parendo al Vice-re che vi fusse la sicurtà della casa de' Medici, nè della lega, significò a questi Signori, esser necessario ridurre questo stato nel modo era vivente il magnifico Lorenzo. Desideravano i cittadini nobili satisfare a questo, ma temevano non vi concorresse la moltitudine, e stando in questa disputa come si avessero a trattare queste cose, entrò il Legato in Firenze, e con Sua Signoria vennero assai soldati, e massime Italiani, ed avendo questi Signori in palazzo a dì 16 del presente più cittadini, e con loro era il Magnifico Giuliano, e ragionando della riforma del governo, si levò a caso certo romore in piazza, per il quale Ramazzotto co' suoi soldati ed altri presero il palazzo, gridando Palle Palle, e subito tutta la città fu in arme, e per ogni parte della città risuonava quel nome; tanto che i Signori furono costretti chiamare il popolo a concione, quale noi chiamiamo parlamento, dove fu promulgata una legge, per la quale furono questi Magnifici Medici reintegrati in tutti gli onori e gradi de' loro antenati. E questa città resta quietissima, e spera non vivere meno onorata con l'ajuto loro, che si vivesse ne' tempi passati, quando la felicissima memoria del Magnifico Lorenzo loro padre governava. Avete dunque, Illustrissima Madonna, il particolare successo de' casi nostri, nel quale non ho voluto inserire quelle cose che la potessero offendere, come miserabili e poco necessarie. Nell' altre mi sono allargato quanto la strettezza di una lettera richiede. Se io avrò satisfatto a quella ne sarò contentissimo, quando che no, prego Vostra Signoria Illustrissima mi abbia per iscusato ; Quae diu et foelix valeat (1). IX. A FRANCESCO VETTORI A ROMA. Magnifico Viro Francisco Victorio, Oratori Florentino dignissimo apud Summum Pontificem, * Come da Paolo Vettori avrete inteso, io sono uscito di prigione (2) con letizia universale di questa (1) Manca la data di questa lettera, e la direzione, essendosi così trovata in copia ne' MSS. di Giuliano de' Ricci, nipote del nostro Autore. In quanto alla data, essa dovè essere scritta nel mese di Settembre del 1512. Rapporto poi alla direzione, il predetto Giuliano coniettura che sia stata scritta a Madonna Alfonsina, Madre di Lorenzo de' Medici, che fu poi duca d'Urbino. (2) Fu preso come sospetto di complicità nella congiura ordita contro il Card. Giovanni de' Medici, per ucciderlo per via, mentre andava a Roma al Conclave. Ebbe la tortura, e fu liberato esso e gli altri nell'assunzione al Papato dell'istesso Cardinale, col nome di Leone X. Correva attualmente l'anno del suo coufino. città, nonostante che per l'opera di Paolo e vostra io sperassi il medesimo, di che vi ringrazio. Nè vi replicherò la lunga istoria di questa mia disgrazia ; ma vi dirò solo che la sorte ha fatto ogni cosa per farmi questa ingiuria, pure per grazia di Dio ella è passata. Spero non c'incorrere più, sì perchè sarò più cauto, si perchè i tempi saranno più liberali, e non tanto sospettosi. Voi sapete in che grado si trova messer Totto nostro. Io lo raccomando a Voi e a Paolo generalmente. Desidera solo lui ed io questo particolare, di esser posto intra i familiari del Papa, ed essere scritto nel suo ruotolo, e avere la patente, di che vi preghiamo. Tenetemi se è possibile nella memoria di Nostro Signore, che se possibil fosse mi cominciasse a adoperare o lui o i suoi a qualche cosa, perchè io crederei fare onore a voi, e utile a me. Die 13 Martii 1512. Vostro NICCOLÒ MACHIAVELLI in Firenze. X. AL MACHIAVELLI (1). Compare onorando. Da otto mesi in qua io ho avuto i maggiori dolori, che io avessi mai in tempo di mia vita, e di quelli (1) Dovendo pubblicare le lettere del Machiavelli a' suoi amici, ci è sembrato necessario il riportare anche alcune di |