Immagini della pagina
PDF
ePub

che mi alteri, non per mio conto, che mi sono acconcio a non desiderar più cosa alcuna con passione, ma per vostro. Priegovi che voi imitiate gli altri, che con improntitudine ed astuzia, più che con ingegno e prudenza si fanno luogo; e quanto a quella novella di Totto, la mi dispiace se la dispiace a voi. Peraltro io non ci penso, e se non si può ruotolare, voltolisi; e per sempre vi dico, che di tutte le cose vi richiedessi mai, che voi non ne pigliate briga alcuna, perchè io non le avendo non ne piglierò passione alcuna.

Se vi è venuto a noja il discorrere le cose, per veder molte volte succedere i casi fuori de' discorsi é concetti che si fanno, avete ragione, perchè il simile è intervenuto a me. Pure se io vi potessi parlare, non potrei fare che io non vi empiessi il capo di castellucci, perchè la fortuna ha fatto, che non sapendo ragionare nè dell'arte della seta, nè dell' arte della lana, nè de' guadagni nè delle perdite, e' mi conviene ragionare dello stato, e mi bisogna botarmi di star cheto, o ragionar di questo. Se io potessi sbucare del dominio (1), verrei pure anch'io a dimandare se il Papa è in casa; ma fra tante grazie, la mia per mia stracurataggine restò in terra. Aspetterò il settembre.

Intendo che il Cardinale Soderini fa un gran dimenarsi col Pontefice. Vorrei che mi consigliaste se vi paressi che fusse a proposito gli scrivessi una lettera, che mi raccomandasse a Sua Santità; o se fosse meglio che voi faceste a bocca quest' ufizio per mia parte con il Cardinale; ovvero se fosse da non

(1) Accenna il luogo del suo confino .

far nulla nè dell' una nè dell' altra cosa, di che mi darete un poco di risposta.

Quanto al cavallo voi mi fate ridere a ricordarmelo, perchè me lo avete a pagare quando me ne ricorderò, e non altrimenti.

Il nostro Arcivescovo a quest'ora debbe esser morto, che Iddio abbia l'anima sua, e di tutti i sua. Valete.

*

In Firenze a dì 9 Aprile 1513.

NICCOLÒ MACHIAVELLI quondam Segret,

XIV.

AL SUDDETTO.

Magnifico Oratore.

Sabato passato vi scrissi, e benchè io non abbia che dirvi, nè che scrivervi, non ho voluto che passi questo sabato che io non vi scriva.

La brigata, che voi sapete quale è, pare una cosa smarrita, perchè non ci è colombaja che ci ritenga, e tutti i capi di essa hanno avuto un bollore. Tommaso è diventato strano, zotico, fastidioso, e misero di modo, che vi parrà alla tornata trovare un altro uomo; e vi voglio dire quel che mi è intervenuto. Ei comprò alla settimana passata sette libbre di vitella, e mandolla a casa Marione. Dipoi per parergli avere speso troppo, e volendo trovare chi concorresse alla spesa, andava limpsinando chi vi andasse a desinar seco. Pertanto mosso da compassione vi andai con due altri, i quali gli accattai ancora io. Desinammo, e venendo al far del conto

toccò 14 soldi per uno. Io non ne avevo a lato se non dieci; restò aver da me quattro soldi, e ogni dì me li richiede, e pure jeri sera ne fece questione meco in sul ponte vecchio. Non so se vi parrà ch' egli abbia il torto; ma questa è una favola alle altre cose che e' fa.

A Girolamo del Garbo morì la moglie, e stette tre o quattro di come un barbio intronato. Dipoi è rinvizzolito, e rivuole tor donna, ed ogni sera siamo sul panchino de' Capponi a ragionare di questo sposalizio. Il conte Orlando è guasto di nuovo di un garzone Raugeo, e non se ne può aver copia. Donato ha aperto un' altra bottega del covo dove faccino le colombe, e va tutto il dì dalla vecchia alla nuova, e sta come una cosa balorda, ed ora se ne va con Vincenzio, ora con Pizzochera, ora con quel suo garzone, ora con quell' altro, nondimeno io non l'ho mai veduto, che sia adirato col Riccio. Non so già d'onde questo nasca. Alcuno crede che sia più a suo proposito che un altro. Io per me non ne saprei cavare costrutto. Pier Filippo di Bastiano è tornato in Firenze, e duolsi del Brancaccino terribilmente, ma in genere, e per ancora non è venuto ad alcun particolare. Venendovi vi avviserò, acciò possiate avvertirlo.

Però se alcuna volta io rido o canto
Facciol, perchè non ho se non quest'una
Via, da sfogare il mio angoscioso pianto.

Se gli è vero che Jacopo Salviati, e Matteo Strozzi abbiano avuta licenza, voi rimarrete costì persona pubblica; e poichè Jacopo ci rimane, di questi che vengono io non vedo chi vi possa rimanere, e man

cosa,

darne voi; dimodochè io mi presuppongo che voi starete costì quanto vorrete. La Magnificenza di Giuliano verrà costà, e troverete la volta naturalmente a farmi piacere, e il Cardinal di Volterra quello medesimo; dimodochè io non posso credere, che essendo maneggiato il caso mio con qualche destrezza, non mi riesca essere adoperato a qualche se non per conto di Firenze, almeno per conto di Roma e del Pontificato; nel qual caso io dovrei esser meno sospetto; e come io sappia che voi siate fermo costì, e a voi paja, che altrimenti non sono per muovermi, e potendo senza incorrer qua in pregiudizj, io me ne verrei costì; nè posso credere, se la Santità di Nostro Signore cominciasse a adoperarmi, che io non facessi bene a me, ed utile e onore a tutti gli amici mia.

lo non vi scrivo questo perchè io desideri troppo le cose, nè perchè io voglia che voi pigliate per mio amore nè un carico, nè un disagio, nè uno spendio, nè una passione di cosa alcuna; ma perchè voi sappiate l'animo mio, e potendomi giovare sappiate che tutto il bene mio ha da esser vostro, e della casa vostra, dalla quale io riconosco tutto quello che mi è restato.

A di 16 di Aprile 1513.

NICCOLÒ MACHIAVELLI in Firenze.

XV.

* Io non voglio lasciare indietro di darvi notizia

**

del modo del procedere del Magnifico Lorenzo (1),

(1) Questo squarcio di lettera, che si è trovato scritto di mano propria del' Machiavelli, ma senza data, nè indirizzo,

che è suto fino a qui di qualità, che egli ha ripieno di buona speranza tutta questa città; e pare che ciascuno cominci a riconoscere in lui la felice memoria del suo avolo. Perchè Sua Magnificenza è sollecita alle faccende, liberale e grato nell' audienza, tardo e grave nella risposta. Il modo del suo conversare è di sorta, che si parte dagli altri tanto, che non vi si conosce dentro superbia; nè si mescola in modo, che per troppa familiarità generi poca reputazione. Con i giovani suoi eguali tiene tale stile, che nè gli aliena da se, nè anche dà loro animo di fare alcuna giovenile insolenzia. Fassi in somma ed amare e reverire, piuttosto che temere; il che quanto è più difficile ad osservare, tanto è più laudabile in lui.

L'ordine della sua casa è così ordinato, che ancora vi si vegga assai magnificenza e liberalità, nondimeno non si parte dalla vita civile. Talmente che in tutti i progressi suoi estrinseci ed intrinseci non si vede cosa che offenda, o che sia reprensibile; di che ciascuno pare ne resti contentissimo. E benchè io sappia che da molti intenderete questo medesimo, mi è parso descrivervelo, perchè col testimonio mio ne prendiate quel piacere, che ne prendiamo tutti noi altri, i quali continovamente lo proviamo; e possiate quando ne abbiate occasione farne fede per mia parte alla Santità di Nostro Signore.

parla di Lorenzo de' Medici, che fu poi duca di Urbino, e che giovinetto ancora non aveva sperimentati i favori del Zio Leone X.

Lo abbiamo collocato qui, perchè verisimilmente era diretto a Francesco Vettori.

« IndietroContinua »