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Tessalia; non però che abbia cercato l'origine dell' una o dell' altra conquista giacchè stimava che fra le migliaja di nuovi cittadini Romolo avea distinti i nobili ed i ricchi per farne dei patrizi mettendo sotto la loro protezione gli uomini del comune. Le sue idee sull' origine di Roma non gli permisero di fermarsi a questo paralello che certamente era fondato sopra una verità essenziale. I rapporti che in Tessalia erano duri e miserabili potevano essere addolciti in Roma per altri costumi e per un miglior spirito applicando al servo le relazioni esistenti fra il protettore ed il protetto che si era volontariamente sommesso. Presso i Greci vi erano simili rapporti di protezione in favore del méteque che era tenuto di scegliere un tutore (38) fra i cittadini per non essere senza diritto nelle più comuni relazioni; ma la qualità d' ilota e la penestia non perdettero. mai il loro odioso suggello. I Romani, ed i cittadini della città con cui Roma era in rapporto d' isopolizia, erano reciprocamente libere di mutar di soggiorno; forse sotto la condizione di aderire ad un patrono, o per lo meno col diritto di farlo. È così che bisogna intendere il jus aplicationis, che è legato al jus cxulandi; un gran numero di quelli che usavano di questo diritto, erano come lo prova l'esempio di accusati Romani dei colpevoli, ma dei colpevoli che non si potevano arrestare diritto interpretato in un senso malevolo dai plebei che spregiavano gli *uomini dipendenti ed odiavano quelli che tenevano la po tenza da loro; e questo serve di base alla tradizione rela tiva all' asila.

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In Grecia questo vincolo non riposava che sopra una utilità reciproca, e si poteva modificare o arbitrariamente rinunciare; e cessava dall'istante in cui il meteco otteneva il dritto di città o solamente i vantaggi dell' isotelia, ma

a Roma durava sempre per l'Aerarius ed anche trapassava a' suoi successori come il vassallaggio. Dionigi nota che per Fordinario si perpetuava di generazione in generazione ravvisandovi una continuazione volontaria. È assai probabile che egli s' inganni; perchè è certo per le città e per le comunità che la clientela era ereditaria, e qual che si fossero le opinioni che correvano ai tempi di Cicerone, sui rapporti dei discendenti degli affrancati con la famiglia dell'autore della loro libertà, la partecipazione alla sepoltura dimostra, come l' ho già indicato, che quand' anche vi fosse stato ingiustizia nella pretensione messa innanzi dai Claudj patrizj gli si contrasterebbe a torto l'opinione che gli affrancati partecipassero ai diritti gentilizj. Ora se è così la durata illimitata delle loro relazioni con la Gens permette di trarne una conclusione generale sulla clientela, e per verità come avrebbero ricevuto il nome di questa Gens ad esempio degli stranieri non italici che vi si ammettevano se non li avessero annoverati fra i suor membri? perchè non se ne sarebbero riputati degni quando lo schiavo che bene spesso non era che un italiano preso coll' armi alla mano, si accostava di modo al suo padrone che pranzava alla sua tavola come ce lo dimostrano i saturnali.

Quando i subordinati non esercitavano alcuna professione e non avevano ancora acquistato alcuna proprietà, i patroni gli assegnarono un'abitazione, e due arpenti sulle loro terre coltivabili non in tutta proprietà ma a titolo precario potendo retrocedere da questa beneficenza quando avessero avuto a dolersi di loro, del restó per quanto fossero differenti di grado e di considerazione, il patrono gli dovea la sua paterna protezione; e soccorrerli nelle loro urgenze difenderli in giustizia ed istruirli del diritto civile Niebuhr T. II.

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e religioso. I clienti poi dal canto loro aveano obbliga di mostrarsi amorevoli ed obbedienti verso il patrono; difendere l'onor suo pagarne le ammende, contribuire con gli altri membri della sua casa a sopportare i pesi e gli altri doveri nell' interesse pubblico. Ajutandoli eziandio a dotarne le figlie, e pagare il riscatto quando il patrono, istesso o qualcheduno de' suoi fosse caduto in potere del l'inimico.

L'illustre Blackstone che ritrovava gli usi e le istitu zioni dei tempi passati fiuo nei giuochi dei fanciulli si è ricordato di questi uffici dei clienti a proposito dei doveri dei vassalli del medio evo.

Se il cliente moriva senza erede il patrono gli succedeva (40) e questo diritto si conservò per gli affrancati, rispetto ai quali, senza dubbio la potenza del patrono era fondata sulle prerogative generali del patronato. Se Publio Menio potè far mettere a morte l'affrancata, che aveva mancato di rispetto alla sua casa (41) se si stimò questo atto di severità giusto e salutare noi ne potremo conchiudere, che non soltanto il patrono avea il diritto di infliggere al suo cliente delle lievi pene negli affari che lo spettevano, ma altresì di far giudizio delle querele che un vicino avesse recate contro un suo affrancato.

Il patrono ed il cliente non si citavano in giustizia nè rendeano testimonio, nè vuotavano nei Tribunali l'uno contro l'altro o pei loro nemici. E questo potrebbe essere una mitigazione della antica legislazione rispetto al giuramento. I doveri del patrono verso il cliente erano più sacri di quelli che lo legavano a' suoi proprj parenti (42). Chiunque si obbliava verso il cliente era tenuto colpevole di tradimento e fatto devoto agli Dei infernali cioè così escluso dalla protezione della legge che ciascuno lo poteva

uccidere impunemente. Senza dubbio l' imprecazione sulla testa del colpevole era proferita dal Pontefice che era l'immagine di Dio verso cui s' innalzavano le querele del cliente calpestato. La citazione dinnanzi ai giudici civili era impossibile, il loro intervento avrebbe disfatta non che falsata questa instituzione; convenia passarsene o comportare la possibilità di abusarne. Nulladimeno vi ha luogo. di credere che terribili pene minacciassero quest' abuso, perchè sarebbe una visione da pazzo spettante ad un'età d'oro che non si vide giammai, l'immaginarsi che dei patrizi che non rispettavano verso i plebei nè l' equità nè la fede giurata si fossero così lasciati frenare dalla voce della coscienza d'essere migliori padri dei loro clienti di quel che non lo siano molti uomini pei loro proprj figli. Per me non li stimo migliori dei cavalieri del medio evo abbenchè l' ignoranza e la menzogna gli abbiano dato vanto di virtuosi ; tanto più che sappiamo per l'accusa d'un contemporaneo degno di stima, che saccheggiavano i lavoratori peggio che non fossero schiavi, e non per altro se non perchè lo potevano fare impunemente, poichè Dio solo era giudice fra essi ed il povero. Dove perfino lo schiavo avrebbe dovuto trovar in essi dei benefattori.

Fra i privilegi che i Ranneti si davano il vanto di meritare sugli altri patrizj, si trovava, a quel che ne dice un' antica narrazione il diritto d' accogliere degli stranieri nel novero dei loro clienti (43). Dal che ne viene che si escludevano tanto più facilmente i plebei da un siffatto diritto. Però quando in questa classe sorsero degli uomini poderosi capaci di offrir protezione, e di concedere delle picciole abitazioni rurali, si videro i clienti aderire così facilmente ad essi come ai patrizi. Sino al

ľ epoca in cui i plebei ottennero una parte al consolato gli stranieri liberi, da qualche eccezione in poi, non avranno potuto indirizzarsi che alla prima casta, e forse anche in questa molti cittadini non avranno avuto per clienti che qualche individuo isolato; finchè le cose stettero in questi termini le parole patrono e patrizio ebbero la medesima estensione.

Forse erano sinonimi; perchè l' etimologia della parola patres in grazia della paternità di quelli che assegnano delle terre ai poveri come ai proprj figli (44) ha tutto affatto un colore antico, abbenchè forse sia un non so che ricercata. Potrebbe essere che non fosse che un mero titolo d'onore dato agli antichi cittadini, sia nel Senato, sia nelle assemblee delle curie (45). Questo nome non è per nulla ristretto ai senatori, anzi vi ha di più; i patres sono nominati da Tito Livio oltre il Senato, e quando fa menzione di juniores patrum (46), si è per opposizione coi senatori. Ben è vero che in progresso l'uso del discorso restrinse sempre più questo titolo ai Senatori, e fino gli scrittori che non escludono affatto la significazione più estesa, e che variano nell' uso che ne fanno, inclinarono sempre ad intendere in un senso men largo ciò che poterono cavare dalle loro fonti a questo rispetto.

Giulio Cesare, ed Augusto alzarono alcune famiglie al patriziato perchè fra le antiche case erano intervenute tante estinzioni e tanti trapassi allo stato plebeo in causa di miseria o di elezione che non si poteva più provvedere ai magistrati del sacerdozio secondo le antiche consuetudini. Le cinquanta famiglie che sussistevano tuttavia, costituivano senza contrasto un'antica nobiltà (47) e questi dominatori avendo scelto per aggiungerveli ciò che vi era ancora di più illustre fra i plebei, Dionigi e Tito Livio fu

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