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un anno e non per sei mesi presso a qualunque popolo e chiamavasi Pretore, eziandio Pretore Massimo e non Dittatore.

La dittatura istituita per gli affari esterni si trovò buona per soverchiare i plebei; perchè fatto il Dittatore, veniva tosto a cessare l'appello dei plebei davanti al comune. Cajo Mario nel 599 fu il primo Dittatore plebeo; prima si prendevano tutti dall' ordine dei patrizi, ed il Senato conferiva l' imperio che da principio si conferiva dalle curie. Dopo bastò che il Console proclamasse Dittatore la persona eletta dal Senato. A' Dittatori s'innalzarono soltanto uomini pretorj, vale a dire uomini che avevano esercitato il consolato o la pretura. E al Dittatore davasi un magister aequitum che in principio era forse scelto dalle dodici centurie dei cavalieri plebei, ed era il protettore di loro.

Altre prepotenze dei patrizi. Occuparono soli il consolato e il governo della Repubblica e incominciarono a maltrattar la plebe., massime abusando le leggi dei debitori e dei Nessi.

Dei Nessi. Queste leggi racchiudevano due perniciosi effetti. Primieramente permettevano al plebeo debitore di un patrizio d'impegnare la propria roba, e le persone dei figli, onde non pagando erano obbligati di soddisfare con le proprie personali fatiche. E secondariamente il plebeo che non soddisfaceva veniva aggiudicato e fatto schiavo al patrizio creditore. Succedeva di più, che se al pattuito termine non era pagato il debito, il frutto cumulavasi al capitale, onde cangiarlo in un nuovo debito (versura ).

Tanta durezza di leggi e soverchierie dei patrizi fu origine di mille turbolenze e cagionarono la prima ritirata della plebe la remissione dei debiti, e la inviolabilità dei Tribuni.

Dei Tribuni. Erano in Roma, come s'è detto, 30 i Tribuni allorchè 30 erano le sue tribù; ma scemate a 20 per la guerra etrusca 20 erano i Tribuni ai tempi dei quali ragioniamo. Di questi 20 ogni 10 sceglievansi un capo, onde nelle storie soglionsi considerare come due soli. Erano sacri, e se non partecipavano al governo rappresentavano il comune, e ne proteggevano la libertà, Potevano proporre alla plebe, ma non imporre le multe, e interponevansi mediatori tra il console ed il plebeo condannato da lui. I Tribuni traevansi soltanto dalla plebe. Il patrizio poi che avesse offeso la plebe, poteva da loro tradursi avanti al comune. Non però valevano a tradurvi i consoli, ma potevano accusarli avanti alle curie. €. Licinio, e L. Albinio furono i primi due Tribuni. Il numero dei medesimi variò di poi e prima ascese a 5 indi a 10, quando ciascheduno di loro, o due rappresentarono le prime cinque classi delle centurie. Ognuna delle classi un tribuno o due; la elezione dipendeva dagli auspici delle centurie i clienti vi prendevano parte, ed i patrizi avevano diritto di confermarla o rigettarla nelle curie. In principio le deliberazioni dei Tribuni prendevansi per maggiorità di suffragi; il veto di un Tribuno non ebbe forza di render vana la concorde proposizione dei colleghi se non quando i Tribuni ebbero ottenuto il veto contro alle deliberazioni dei consoli.

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Alcune considerazioni sulle opinioni del Niebuhr. E primamente diremo che è più felice quando abbatte che non quando riedifica. Però ne par lodevole il suo costume di perdonare quanto più può alle congetture, aprendo modestamente l'animo suo. Disvela con mano maestra la verità delle cose quando espone il gius delle italiane genti, l'origine e le vicende del civile reggi

mento di Roma. Lodevolissima è pure la sua parsimonia

rispetto ai primitivi popoli italiani per non ismarrirsi in un labirinto di congetture. Ed ognuno può giudicare se disse cose proprie ne' suoi sistemi intorno ai Pelasghi ed agli Etruschi, o se seguitò le opinioni dei Pontadera, dei Bardetti, dei Buonarotti. Anzi taluno gli saprà grado dell' opinione che porta intorno ai Pelasghi siccome quella che si dimostra favorevolissima alla precedenza dell' Italia nostra nella civiltà e nelle arti.

indi

Aggiungeremo che è indagata con molto acume di mente la primitiva natura delle colonie italiche, per trarne la latina origine di Roma. Dessa venne mano mano formando dalla riunione di tre città due eguali (Roma e Quirium), e la terza inferiore (Lucerum) perchè soggetta a Roma; onde furon poi nella città minori le case dei Luceri. Ma le tradizioni che riferendo a Lucero d'Ardea i Luceri li vuol Pelasghi; le tradizioni che guidando a stanza sul Celio coi loro toscani Cele Vibenna, o Locumone o Mastarna vedon colà degli Etruschi ; la leggenda che Tullio Ostilio vi collocasse le case d'Alba ; la favola del luco e dell'asilo; e il nome stesso di Luceri che molti spiegano avveniticci o raunaticci paiono argomentar piuttosto un miscuglio di varie genti vinte o venute da Roma, onde godervi della minore cittadinanza ; insomma un primitivo comune di plebei sparsi nei borghi e nei selvosi colli (luci) del territorio di Roma, dei quali si fece poi una tribù inferiore, a cui tra per essere un miscuglio di varie genti e perchè abitando fuori di città non ne godevano gl' auspicii sariasi negato parte alle magistrature ed ai sacerdozi i; per essere insomma come estranei, avveniticci da lucus, onde lucer, lucares, lu ceres abitatori del luco. Se il Niebuhr non pensò a que

sta definizione la ragione è chiara. Egli vede le tribù cognominate da un eroe, da un eponimo. E il nome di Luceri derivandolo da lucus non sarebbe da un eponimo. Oltrechè il Niebuhr non avrà creduto che una città, una tribù potesse formarsi negl' antichi tempi da cosiffatti miscugli. In ogni modo preghiamo ad avvertire che non par detto a caso da Properzio (4. 1. 31.)

Hinc Taties, Ramnesque viri, Luceresque coloni.

Ne più sembra assentirsi al Niebuhr, quand' egli vuole che Tarquinio Prisco raddoppiasse le tribù dei cavalieri, onde riparare ai vuoti che per natura d'ogni chiusa aristocrazia sarebbonsi operati nelle 300 case patrizie. Parendo lui scordarsi che quelle 300 civili case, le quali racchiudevano parecchie e tra loro diverse naturali famiglie e parentele formavano una vera e popolosa città onde nel breve spazio che dove correre tra i tempi che diconsi di Tullo e di Tarquinio Prisco non poterono avvenire quei grandi vuoti che presto s' operano in una chiusa aristocrazia, ma si quei ben piccioli e comuni ad ogn' altra città, la quale o per uso o per legge non abbia connubbio cogl' altri popoli. Onde le centurie dei patrizi sariansi piuttosto raddoppiate dall' accorto re per la solita necessità di rinforzarli contro una plebe ognor crescente e bilanciare le parti. Infatti se le leggende attribuiscono a Tarquinio d'aver accresciuto il Senato, gl' attribuiscono meglio d'aver cresciute le centurie, termine proprio della milizia e adatto per dimostrare che questo cangiamento mirò soltanto agl' ordini della milizia. L'origine dei cavafieri plebei come ordine della milizia e non più sembrami avvalorare questa congettura. Massime che nei tempî precedenti ǎ Servio il nervo della guerra reputavasi reputavasi o a

dritto o a torto nella cavalleria, onde si dove credere più sicuro accordare il cavallo e le armi di cavaliere a coloro i quali venivano separati dai plebei ed introdotti nell'ordine dei celeri che non a centurie di cavalieri plebei.

Maravigliosa è poi la dottrina e la sana intelligenza delle antiche cose civili con la quale il Niebuhr viene ad aprire qual fosse l'origine del comune dei plebei e la costituzione di Servio Tullio.

Acutissima congettura del Niebuhr è pure che Roma dal regno d'un solo non venne nell' aristocrazia se non dopo essere passata per la dinastia, e che la gente Valeria la tenne pei Sabini. E immensa è pure la luce da lui diffusa sulla legge dei Nessi.

Ma non pare che si debba sentir con lui che le romane leggi o costumanze vietassero al patrizio impegnare la propria persona e lo permettessero al plebeo e da siffatta provvisione nascesse che i debitori plebei si trovassero obbligati o a prestare le proprie personali fatiche per volontario contratto, o ad essere aggiudicati schiavi al creditore patrizio. Assai più ragionevole essendo da riputarsi l'opinione del Vico, che in principio i plebei tenessero come in feudo una parte delle terre dei patrizi con l'obbligo di render loro un anntio canone, non pagato il quale essi patrizi (nel popolo dei quali stava la sovranità) potessero ripeterlo con braccio regio e farsi aggiudicar schiavi i debitori morosi. Provvisione che dovette esser facile ai prepotenti d'allargare a qualunque altra sorta di debiti. Nè quest' opinione sconvolge punto il sistema del Niebuhr ma gli accomoda e lo conforta; essendo naturalissimo che i patrizi rilasciassero per un annuo canone le terre pubbliche delle quali godeano l'usufrutto ai plebei

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