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nostro i migliori libri de' forastieri; acciocchè si provegga a' bisogni, ed i giovani, che ora gli studiano in malvagie traduzioni, non corrano più il rischio di venire nell'abito di menare i pensieri con pessimo garbo e andamento nel discorso. Da poichè il male, o il pericolo oggidì non tanto è nelle parole, quanto nelle frasi, ne' costrutti e nella movenza, dove è la parte più vitale della lingua e dello stile. Il quale non pure dee manifestare l'indole propria dello scrittore, ma sommamente ancora quella natura di tutta la nazione, che, per rispetto a noi, chiamasi italianità.

§. 37. Medesimamente quantunque gentil donna, che si acconcia alla moda de' forastieri, mettesi a rischio di perdere assai di bellezza, potendo ella dispiacere in ciò, che non si mostra pur una, ma più. Perocchè l'esser suo ne' vaghi sembianti, negli atti convenevoli e nelle dolci parole è di donna italiana, ed il vestire di forastiera femmina, e dispiace per sè quello sconvenevole e diviso atto dell' arnese. Quanto le robe di moda degli strani sieno per lo più vane, elle per sè medesime lo mostrano; chè non avendo in sè pregio, nè ricevutolo dalla

mano dell' artefice; perocchè l'arte nel lavorarle non governa più la moda, ma è da lei governata, uscite presto di tempo, vengono in ridicolo con vergogna e impoverimento della famiglia. Nè sarebbe sì vile e lorda femmina, che se ne volesse acconciare, per non ricevere il danno e le beffe. Quando per contrario le nostre erano sì ricche e belle, e tanto dicevoli alla persona, che sebbene gli umani capricci e l'imperio de' forastieri le abbiano messe fuori di moda, pure se ancora si veggono su pe' teatri, ovvero dipinte, ci recano ad ammirazione. Allora i maestri più famosi lavoravano di finissima arte in oro e in pietre preziose, per mandare in più vago assetto d'avvenenti le donne italiane, che andavano commendate per tutto il mondo di bellezza. Ma i forastieri, quasi invidiosi delle nostre madri, a bello studio s'ingegnarono, col farci ricevere in pregio le loro usanze, e mandar figurini e modelli, di ridurre in loro servitù e piacere anche la bellezza delle donne d'Italia. Nell'onesta brigata di dame e cavalieri nel castello d'Urbino radunatasi a mostrare, alla presenza del serenissimo duca Guid'Ubaldo, la forma di cortegiania più conveniente

a gentiluomo, che usi in corte de' principi, per la quale egli possa e sappia perfettamente loro servire in ogni cosa ragionevole, acquistandone da essi grazia, e dagli altri laude, disse una volta fra le altre M. Federico al magnifico Giulian de' Medici: Io non so per qual fato intervenga che l'Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano; chè sebbene l'aver posto in usanza questi nuovi, faccia parer quelli primi goffissimi; pur quelli forse erano segno di libertà, come questi sono stati augurio di servitù, il quale ormai parmi assai chiaramente adempiuto. E come si scrive che avendo Dario, l' anno prima che combattesse con Alessandro, fatto acconciar la spada, che egli portava a canto, la quale era persiana, alla foggia di Macedonia, fu interpetrato dagl' indovini che questo significava che coloro, nella foggia de' quali Dario aveva tramutata la forma della spada persiana, sarebbero venuti a dominare la Persia; così l'aver noi mutati gli abiti italiani negli stranieri, parmi che significasse tutti quelli, negli abiti de' quali i nostri erano trasformati, dover venire a soggiogarci. Il che è stato troppo più che vero; chè or

mai non resta nazione, che di noi non abbia fatto preda.

§. 38. Tempo oggimai sarebbe che le nostre più autorevoli madri si levassero in solenne maestrato, e per pubblico editto comandassero che tutte le figliuole si vestissero delle nostre robe ed alla foggia nostra, non volendole mandare a marito che con que' giovani, i quali si mettessero in arnese uscito delle nostre fabbriche. Chè, desiderando tutti di piacer loro onestamente, niuno sarebbe tanto rozzo, o mal costumato, il quale non si recasse a ubbidienza, per non cadere in loro dispregio, pena giustissima a'trasgressori. Il nobile e caritatevole esempio, ne' di più solenni, dalle dame e da' cavalieri sarebbe condotto alle corti de' principi, che pure delle opere di nostre arti e mestieri si porrebbero in tutta la pompa, come fa la regina d'Inghilterra; la quale, ne'giorni ricordevoli, si mette in bello delle robe ora d'una fabbrica, ed ora d'altra del suo reame a incitamento dell' industria. I nobili e ricchi uomini con la grazia e le loro dovizie, traendo esempio de' gentiluomini inglesi, che sono mercatanti, tornerebbero a porgere ajuto a coloro, che poveri di averi, ma

d'ingegno ricchissimi, darebbero di mano a lavorare di arti, per mandare in belli arnesi le donne e i giovani leggiadri. Si dovrebbero bene ricordare che le ricchezze e le onorificenze vennero nelle loro famiglie per origine di quegli avi, che furono famosi in mercatanzia; della quale ancora mostrano i segni negli emblemi; che la nobiltà, secondo che dice l'ottimo poeta nostro, è come un bello e ricco manto, che adorna la persona di colui, che lo porta; ma se per arte e virtù novella non si rinfranca, viene di giorno in giorno con vergogna raccorciandosi. Dovrebbeci muovere il gentile e chiaro aspetto delle arti, onde sono bellissime di maravigliosa bellezza tante nostre loggie, tanti palagi, tante reggie, tanti templi, i quali ci ricordano la religione, il magistero, la potenza e la ricchezza degli avi, che gli posero con quel picciolo, il quale chi lavorava in opera di drapperia e di lanifici, metteva ogni sabato in serbo nel tesoro del comune, e ora quasi più non ci bastano le forze a reggerli in piedi. I forastieri, quantunque ci tengano in dispregio, traggono di lontano a vedere i nostri templi; ne' quali, maravigliati di tanta eccellenza in opere del

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