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non era dagli uomini conosciuta. Effetto del cristianesimo, nell'arte, si fu pure la restaurazione del sublime, che principiò negli scrittori sacri, come in san Paolo, e in san Giovanni ed in alquanti padri della chiesa. Ma perocchè ne' libri di alcuni di loro il pregio della forma, il più delle volte, cede alla materia, e, massime ne'latini, il corrompimento della lingua nuoce alla semplicità e bellezza dello stile, le scritture di que'tempi vogliono essere piuttosto considerate come preparazione, che come perfezione delle lettere cristiane; la quale era riserbata ad altri idiomi, e prima di tutti al volgar nostro. L'Alighieri, che è l'autore più sublime, che abbiasi dopo gli scrittori sacri, fu il principe delle lettere e arti cristiane, e monta da un lato, per mezzo del magistero della cattolica fede, ad Isaia ed a Mosè, dall' altro, per via di Virgilio, ad Omero. Negli ordini del bello, il cristianesimo rifece e perfezionò la scala naturale de' tipi, dando a ciascuno il grado, che gli appartiene. Quello dell' uomo, principe e compendio di tutte le creature, è la cima del bello ideale; poichè egli è copia ed immagine del creatore. La quale maggioranza dell' uomo dee entrare nel

l'arte, e mostrare l'armonia delle cose e l'idea perfetta del mondo. Ma fuori della fede, il tipo dell'uomo non può avere il suo debito luogo nell' arte. Si ebbero già gli uomini da un canto, per la natia nobiltà, in conto di Dei, e loro si posero templi ed altari, e dall' altro, per la miseria, ove caddero di loro dignità, si fecero simili alle bestie; donde nacque la stravaganza de' simboli religiosi presi da'bruti. Il cristianesimo imparando all'uomo la divinità della sua origine, la felicità del primiero stato, la schiavitù, nella quale venne per sua colpa, il debito ed il modo, che egli ha per uscirne, e la beatitudine, che lo aspetta, ritrasse l'arte da que'due estremi, ne' quali dava di necessità, quando non era illuminata dalla luce della fede. Così l'ineffabile mistero dell' Uomo Dio, consolò anche l'immaginazione, che senza danno della fede, rappresenta sensibilmente e adorna di bellezze Iddio, mente infinita per essenza. Nella dottrina cristiana il concetto puro e sublime della divinità non è punto alterato, ma vi risplende nella sua pienezza. Quando rappresentaci Iddio affratellato coll'uomo nel più stretto consorzio, in nulļa si offusca l'immutabile perfezione del Creato

re; chè la mutazione accade soltanto dal lato dell'uomo. Come egli ricupera la sua corona di principe tra le creature, che lo corteggiano, così l'anima sua riacquista sul corpo l'antica signoria, e i doni soprannaturali recano i naturali a perfezione. Dalla quale maravigliosa armonia tra' concetti e tra le cose, che entra nell'arte, procede quella bellezza, che non ha niente del corporeo e del sensuale, e ci fa sentire la divinità in quelle sembianze, che mettono l'immaginazione a diletto di paradiso. La purità del costume è tanto congiunta e in accordo con questo genere di celestiale bellezza, che non si può scompagnare. Onde il cristianesimo purifica sì le arti, come il vivere privato e civile degli uomini. Quando un valente pittore, o scultore si studia di ritrarre l'Uomo Dio, quale gli evangelisti ce lo rappresentano, in tale aspetto, che paja di vederlo e udirlo, con quel volto ornato di grazia ineffabile, con quella dignità e maestà del sembiante, che all'altezza de' fatti e de' detti risponde, la sua divinità rendesi in certo modo sensibile e all'anima risplende di quel celeste lume, che è un riflesso della personalità divina, che la fede c'insegna, e riverbera negli atti e nelle pa

role di lui, raccontate dagli evangelisti; e però la bellezza, che ne deriva, è unica e impareggiabile. L'esaltazione della natura men nobile in tanto mistero, tornando a tutta l' umana specie, dà anche al semplice uomo una beltà particolare, che nasce da' celesti doni, onde è la carità, la quale è avvenenza soprannaturale dell' animo, come la gloria, suo guiderdone, sarà la bellezza soprannaturale di tutto l'uomo. Il tipo cristiano, oltre il sommo esemplare dell' Uomo Dio, contiene altri tre modelli. Il primo de' quali è quello della Donna, in cui la divina maternità è unita al privilegio di vergine. Imperò Nestorio e Gioviniano recarono danno sì all'arte, come alla religione; e se l'errore di costoro fosse entrato nelle scuole d'Italia, non avremmo avuto Raffaello. E siccome il divino lume della bellezza dell' Uomo Dio risplende su tutta l'umana natura, così quello della bellezza di Maria riflette su tutte le madri e su tutte le vergini, e produce quel concetto della donna cristiana, in cui le forme, ricreate dalla purezza e santità dell' animo, crescono maravigliosamente di beltà e di grazia. La seconda specie è quella dell' Angiolo, squisitissima è vero, ma di meno effetto, come

quella, la cui rappresentazione è fondata sopra d'un mero simbolo per la natura incorporea degli angioli. Per la qual cosa meglio che di principale, può tener figura d'accessorio ne' lavori dell' arte, e, bene adoperato, riesce pieno di grazia. L'ultima specie è quel la del Santo, che porge il destro ad assai varietà, tra cui signoreggia il soldato cristiano, cioè il martire, e il quieto contemplatore; nell'uno più si mostra il coraggio e la fidanza, nell'altro l'estasi beata, e traluce d'entrambi la carità eroica, la quale appartiene d'essenza alla santità cristiana sotto qualunque forma. Qual venustà può rinvenirsi in un vecchio di fattezze grossolane e volgari, rifinito dagli anni e dalle penitenze e poveramente in arnese? Non di meno un cotal personaggio, animato dall' amore di Dio e degli uomini, e ratto in estasi, può riuscire bellissimo; come si vede nel tipo italiano del poverello Francesco d'Assisi, ritratto da' nostri più chiari pittori del quattrocento e del cinquecento. Di che tanto è vero che, fuori del cristianesimo, non si trova quel divino, che ha virtù d'abbellire anche agli occhi profani le figure, che sarebbero umanamente non belle; così i miracoli della religione si ope

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