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rano eziandio nel campo dell' arte. Come le arti sparpagliate si riunirono nella cattedrale, così le lettere scompigliate si ridussero in concordia nell'epopea, che dalla strettezza omerica ritornò alla grandezza di sua origine. L'epopea, che abbraccia ogni genere d'eloquenza e di poesia, imita il gran mondo della natura; onde invece di ristringersi dentro i termini d' un tempo e d'un luogo, va dilungandosi per tutti i paesi e tutte le età, e, corso il giro delle cose mondane, e bevuta tutta la vena del bello, si leva al sublime, ponendosi alle prove di ritrarre l'immenso, l'eterno e l'infinito. Il perfetto esempio, che si conosca, di questa magnifica epopea, è la divina Commedia. Il poema dell'Alighieri comprende la virtù ed il vizio, l'allegrezza e il dolore, la luce e le tenebre, la filosofia e la religione, la storia e la favola, l'Italia e l'universo, il passato e il futuro, il tempo e l'eternità. Quale osservatore di natura più attento e sagace di Dante? Qual maestro di stile più fino, più vario, più potente? Egli tiene in modo maraviglioso della semplicità, della naturalezza, della proprietà, della concisione, dell'eleganza, dell'evidenza, dell'efficacia e sublimità della frase, e

niuno per tutte queste doti gli può stare a paragone. Il suo divino poema al tutto mirabile nell' ordito, è ancora sì perfetto nel ripieno in tutte le parti più minute, che per quanto si legga e si studi, riesce sempre più nuovo. Non avrebbe potuto correre per tanta vastità, nè levarsi a tanta altezza, nè essere per tanti pregi il massimo poeta, se non fosse stato ad un tempo uomo filosofo e teologo cattolico. Egli è piuttosto da fare le maraviglie e le beffe dell'audacia d'alcuni interpetri, che riveder loro strettamente i conti; i quali vorrebbero dare ad intendere che l'Alighieri, nella fede, sentisse dello scemo, o fosse uno scrittore secondo la voga de' nostri tempi e l'andazzo degli spiriti. Nè è ancora da credere che l'anima della divina Commedia sia la politica. Ella vi tiene senza dubbio gran luogo, ma non è il soggetto, nè l'intento principale dell'autore. Sarebbe un peccato il voler ristringere nel comune di Firenze, od anche in tutta la sola Italia l'epopea dantesca. Se l'inferno, per un certo modo, serve d'allegoria per punire e sferzare la corrotta patria, divenuta quasi un inferno de' vivi, l'ingegno del magnanimo esule s'innalza a più alto concetto, e avvisa

nella scena del mondo un ombra della verità superiore. Dall' Alighieri si dee non pure imparare lo stile e la poesia, ma prendere le ispirazioni di maggior conto, e il perfetto modello dell' indole italiana. Egli accoppia la virtù e la prudenza del cittadino alla pietà dell'uomo religioso; e se alle volte, sviato dall' età e dalle passioni, che forte nell' animo gli bollivano, passò il segno, mantenne non ostante anche in mezzo agli errori, l'amore del vero, del bello, del buono e del santo, e fu cristiano sempre e cattolico. Mostrò sempre d'avere in gran conto la fede, la chiesa, il vero e sommo Sacerdozio; contro di cui le ire e le corruttele de' tempi nol fecero sì acerbo ed ingiusto, che non rendesse splendido omaggio all' autorità delle Somme Chiavi. Se, ad imitazione d'Omero, fece segno d'ira e di scherno i vizj e le ambizioni de'malvagi, più sagace del poeta greco, potè cernere dal loglio il divin seme, e, più sapiente di molti altri, ebbelo in pregio e se ne giovò. Al che non pongono mente coloro, che fanno di Dante un Lutero in erba, o un illuminato tedesco, un filosofo inglese, o francese del nostro secolo. Se non fosse stato pio e cattolico di cuore, non avrebbe potuto

levare le volgari lettere a tanta perfezione; perocchè l'ingegno non apresi a concetti grandi, se non è ispirato dalla religione. Lo stato, nel quale si era posto, il condusse a discernere il bene dal male, gli abusi dalle istituzioni, e su la parte rea menare il flagello. Ma niuno potrà mai trovare in lui un amico di quella bugiarda civiltà, contraria alle cose più sacre e venerande, che, da Lutero in poi, viene crescendo a danno gravissimo di tutt' Europa, contro della quale, se egli vivesse, mostrerebbesi uemico implacabile.

§. 53. Per le naturali attinenze, che ha l'intelletto con esso il cuore, sì la verità, come l'errore mettesi in atto co' fatti nelle consuetudini della vita. Laonde, poichè tra gli eretici si crede da chi in un modo e da chi in altro, ne seguita che in diverso modo eziandio si pone da loro ad effetto la fede. Così poco sta che i buoni, ovvero malvagi concetti, recati in filosofia o in divinità, indi entrino ancora nelle arti, che sono di più dilicati del vivere civilmente. Quando la filosofia principiò a raddrizzar gli animi, le arti, che avevano già, per grandezza di mole, condotti gli uomini rozzi a maravi

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glia, incominciarono a prendere la debita misura, e quell' aria e quelle forme gentili, che trassero a dolcezze di vita. Ma l'errore del paganesimo, il quale confondeva la cagion prima con gli effetti, se in antico giovò dall' un de' lati alle arti, dando perfezione alle forme, essendo state le divinità rappresentate all'umana, la cui bellezza stava solamente nell'egregia forma del corpo, e nelle qualità dell'animo in attinenza con la vita terrestre ; dall'altro lato, come dice il filosofo chiarissimo, un cotal difetto di fede nocque al sublime. Imperocchè il divino al tutto vi mancava, e quanto di più bello ed egregio vi era, non passava il concetto della nostra misera specie, migliorata bensì, ma non ancora sollevata dallo stato infelice, dove era caduta. Questo antico errore, tornato, non ha guari, in mostra dal seno dell'eresia con altre nuove forme, principiò ad entrare anche nella mente d'alcuno italiano artefice per la servile manìa d'aver solo per buono e bello ciò, che sa di forastiero, abbandonando lo studio e la scuola de' nostri maestri, che nelle immagini degli eroi del cristianesimo, oltre alla bellezza delle greche forme, seppero trasfondere un' anima, che

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