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cose fatte nel suo regno in disfavore della libertà ecclesiastica, e dovesse acconsentire che qualunque suo soggetto potesse, volendo, appellare a Roma; le quali cose furono tutte da Enrico accettate, e sottomessesi a quel giudicio un tanto re, che oggi un uomo privato si vergognerebbe a sottomettersi. Nondimeno mentre che il papa aveva tanta autorità nei principi longinqui, non poteva farsi ubbidire dai Romani, dei quali non potette impetrare di potere stare a Roma, e ancora che promettesse d'altro che dell' ecclesiastico non si travagliare: tanto le cose che paiono, sono più discosto che d'appresso temute.

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Era tornato in questo tempo Federigo in Italia, e mentre che si preparava a far nuova guerra al papa, tutti i suoi prelati e baroni gli fecero intendere che l'abbandonerebbero se non si riconciliava con la Chiesa; di modo che fu costretto andare ad adorarlo in Vinegia, dove si pacificarono insieme; e nell'accordo il papa privò l'imperatore di ogni autorità, che egli aresse sopra Roma, e nomino Guglielmo re di Sicilia e di Puglia per suo confederato. E Federico non potendo stare senza far guerra, n'andò all'impresa d'Asia, per sfogare la sua ambizione contro Maumetto, la quale contro i vicarj di Cristo sfogare non aveva potuto; ma arrivato sopra il fiume Cidno, allettato dalla chiarezza delle acque, vi si lavò dentro, per il qual disordine mori. E così le acque fecero più favore ai Maumettisti, che le scomuniche ai Cristiani, perchè queste frenarono l'orgoglio suo, e quelle lo spensero. Morto Federigo, restava solo al papa a domare la contumacia de' Romani; e dopo molte dispute fatte sopra la creazione dei consoli, convennero che i Romani secondo il costume loro gli eleggessero, ma non potessero pigliare il magistrato se prima non giuravano di mantenere la fede alla Chiesa. Il quale accordo fece che Giovanni antipapa se ne fuggì in Monte Albano, dove poco dipoi si mori. Era morto in questi tempi Guglielmo re di Napoli, ed il papa disegnava di occupare quel regno, per non aver lasciati quel re altri figliuoli che Tancredi suo figliuolo naturale; ma i baroni non consentirono al papa, ma vollero che Tancredi fusse re. Era papa allora Celestino III, il quale desideroso di trarre quel regno dalle mani di Tancredi operò che Enrico figliuolo di Federigo fusse fatto imperatore, e

gli promise il regno di Napoli con questo che restituisse alla Chiesa le terre che a quella appartenevano. E per facilitare la cosa trasse di monastero Gostanza, già vecchia figliuola di Guglielmo, e gliene dette per moglie: e così passò il regno di Napoli dai Normandi, che ne erano stati fondatori, ai Tedeschi. Enrico imperatore come prima ebbe composte le cose della Magna, venne in Italia con Gostanza sua moglie, e con un suo figliuolo di tempo di quattro anni, chiamato Federigo, e senza molta difficoltà prese il regno, perchè di già era morto Tancredi, e di lui era rimaso un piccolo fanciullo detto Ruggeri. Mori dopo alcun tempo Enrico in Sicilia, e successe a lui nel regno Federigo, ed all' imperio Ottone duca di Sassonia, fatto per i favori che gli fece papa Innocenzio III. Ma come prima ebbe presa la corona, contro a ogni opinione diventò Ottone nimico del Pontefice, occupò la Romagna, e ordinava di assalire il regno: per la qual cosa il papa lo scomunicò, in modo che fu da ciascuno abbandonato, e gli elettori elessero per imperatore Federigo re di Napoli. Venne Federigo per la corona a Roma, ed il papa non volle incoronarlo, perchè temeva la sua potenza, e cercava di trarlo d'Italia, come ne avea tratto Ottone: tanto che Federigo sdegnato ne andò nella Magna, e fatte più guerre con Ottone, lo vinse. In quel mezzo si mori Innocenzio, il quale, oltre alle egregie sue opere, edificò lo spedale di Santo Spirito in Roma. Di costui fu successore Onorio III, al tempo del quale surse l'ordine di San Domenico, e di San Francesco nel mille dugento diciotto. Coronò questo Pontefice Federigo, al quale Giovanni disceso di Baldovino re di Gerusalemme, che era con le reliquie dei Cristiani in Asia, e ancora teneva quel titolo, dette una sua figliuola per moglie, e con la dote gli concesse il titolo di quel regno; di qui nasce che qualunque re di Napoli s'intitola re di Gerusalemme.

In Italia si viveva allora a questo modo: i Romani non facevano più consoli, ed in cambio di quelli, con la medesima autorità facevan quando uno, quando più senatori: durava ancora la lega che avevano fatta le città di Lombardia contro a Federigo Barbarossa, le quali erano Milano, Brescia, Mantova con la maggior parte delle città di Romagna, e di più Verona, Vicenza, Padova, e Trevigi. Nelle

parti dell'imperatore erano Cremona, Bergamo, Parma, Reggio, Modena e Trento. Le altre città e castella della Lombardia, di Romagna, e della Marca Trivigiana, favorivano, secondo la necessità, or questa or quella parte. Era venuto in Italia al tempo di Ottone III un Ezelino, del quale rimaso in Italia nacque un figliuolo, che generò un altro Ezelino. Costui essendo ricco e potente si accostò a Federigo II, il quale, come si è detto, era diventato nimico del papa; e venendo in Italia per opera e favore di Ezelino, prese Verona e Mantova, e disfece Vicenza, occupò Padova, e ruppe l'esercito delle terre collegate, e dipoi se ne venne verso Toscana. Ezelino intanto aveva sottomessa tutta la Marca Trivigiana. Non potette espugnar Ferrara, perchè fu difesa da Azone da Esti, e dalle genti che il papa aveva in Lombardia; donde che partita l'ossidione, il papa dette quella città in feudo ad Azone Estense, dal quale sono discesi quelli, i quali ancora oggi la signoreggiano. Fermossi Federigo a Pisa desideroso d'insignorirsi di Toscana, e nel riconoscere gli amici e nimici di quella provincia seminò tanta discordia, che fu cagione della rovina di tutta Italia, perchè le parti guelfe e ghibelline moltiplicarono, chiamandosi Guelfi quelli che seguivano la Chiesa, e Ghibellini quelli che seguivano l'imperatore; e a Pistoja in prima fu udito questo nome. Partito Federigo da Pisa, in molti modi assaltò e guastò le terre della Chiesa; tanto che il papa, non avendo altro rimedio, gli bandi la Crociata contro, come avevano fatto gli antecessori suoi contro i Saracini. E Federigo per non essere abbandonato dalle sue genti ad un tratto, come erano stati Federigo Barbarossa e gli altri suoi maggiori, soldò assai Saracini, e per obbligarsegli e per fare un ostacolo in Italia fermo contro la Chiesa, che non temesse le papali maledizioni, donò loro Nocera nel regno, acciocchè avendo un proprio rifugio, potessero con maggior securità servirlo. Era venuto al pontificato Innocenzio IV, il quale temendo di Federigo, se ne andò a Genova, e di quivi in Francia, dove ordinò un concilio a Lione, al quale Federigo deliberò di andare. Ma fu ritenuto dalla ribellione di Parma, dall'impresa della quale sendo ributtato se ne andò in Toscana, e di quivi in Sicilia dove si morì, e lasciò in Svevia Cor

rado suo figliuolo, ed in Puglia Manfredi nato di concubina, il quale aveva fatto duca di Benevento. Venne Corrado per la possessione del regno; ed arrivato a Napoli si morì, e di lui ne rimase Corradino piccolo, che si trovava nella Magna. Pertanto Manfredi, prima come tutore di Corradino, occupò quello stato, dipoi dando nome che Corradino era morto, si fece re contro alla voglia del papa e dei Napoletani, i quali fece acconsentire per forza.

Mentre che queste cose nel regno si travagliavano, seguirono in Lombardia assai movimenti intra la parte guelfa e ghibellina. Per la guelfa era un legato del papa, per la ghibellina Ezelino, il quale possedeva quasi tutta la Lombardia di là dal Po. E perchè nel trattare la guerra se gli ribellò Padova, fece morire dodici mila Padovani, ed egli avanti che la guerra terminasse fu morto, che era di età di anni ottanta, dopo la cui morte tutte le terre possedute da lui diventarono libere. Seguitava Manfredi re di Napoli le inimicizie contro la Chiesa secondo i suoi antenati, e tenea il papa, che si chiamava Urbano IV, in continue angustie; tanto che il pontefice per domarlo gli convocò la Crociata contro, e ne andò ad aspettare le genti a Perugia. E parendogli che le genti venissero poche, deboli e tarde, pensò che a vincere Manfredi bisognassero più certi aiuti, e si volse per i favori in Francia; e creò re di Sicilia e di Napoli Carlo d'Angiò, fratello di Lodovico re di Francia, e lo eccitò a venire in Italia a pigliare quel regno. Ma prima che Carlo venisse a Roma il papa morì, e fu fatto in suo luogo Clemente IV, al tempo del quale Carlo con trenta galee venne ad Ostia, ed ordinò che le altre sue genti venissero per terra; e nel dimorare che fece in Roma, i Romani per gratificarselo lo fecero senatore, ed il papa ló investi del regno, con obbligo che dovesse ciascun anno pagare alla Chiesa cinquanta mila ducati, e fece un decreto che per l'avvenire né Carlo, nè altri che tenessero quel regno, non potessero essere imperatori. E andato Carlo contro Manfredi lo ruppe ed ammazzò propinquo a Benevento, e s' insignori di Sicilia e del regno. Ma Corradino, a cui per testamento del padre s'apparteneva quello stato, ragunata assai gente nella Magna, venne in Italia contro Carlo, con il quale combattè a Tagliacoz

zo, e fu prima rotto, e poi, fuggendosi sconosciuto, fu preso e morto.

Stette l'Italia quieta, tanto che successe al pontificato Adriano V. E stando Carlo a Roma, e quella governando per l'uffizio che egli aveva di senatore, il papa non poteva sopportare la sua potenza, e se ne andò ad abitare a Viterbo, e sollecitava Ridolfo imperatore a venire in Italia contro Carlo. E cosi i pontefici ora per carità della religione, ora per loro propria ambizione, non cessavano di chiamare in Italia umori nuovi, e suscitare nuove guerre; e poichè eglino avevano fatto potente un principe se ne pentivano, e cercavano la sua rovina, nè permettevano che quella provincia, la quale per loro debolezza non potevano possedere, altri la possedesse. E i principi ne tremavano, perchè sempre o combattendo o fuggendo vincevano, se con qualche inganno non erano oppressi, come fu Bonifacio VIII, ed alcuni altri, i quali sotto colore di amicizia furono dagl'imperatori presi. Non venne. Ridolfo in Italia, sendo ritenuto dalla guerra che aveva con il re di Boemia. In quel mezzo mori Adriano, e fu creato pontefice Niccolò III di casa Orsina, uomo audace ed ambizioso; il quale pensò ad ogni modo di diminuire la potenza di Carlo, ed ordinò che Ridolfo imperatore si dolesse che Carlo teneva un governatore in Toscana rispetto alla parte guelfa, che era stata da lui dopo la morte di Manfredi in quella provincia rimessa. Cedette Carlo all'imperatore, e ne trasse i suoi governatori, ed il papa vi mandò un suo nipote cardinale per governatore dell'imperio, talchè l'imperatore per questo onore fattogli, restitui alla Chiesa la Romagna, stata dai suoi antecessori tolta a quella, ed il papa fece duca in Romagna Bertoldo Orsino. E parendogli essere diventato potente da poter mostrare il viso a Carlo, lo privò dell'uffizio del senatore, e fece un decreto che niuno di stirpe regia potesse essere più senatore in Roma. Aveva in animo ancora di torre la Sicilia a Carlo, e mosse a questo fine pratica segretamente con Pietro re d'Aragona, la quale poi al tempo del suo successore ebbe effetto. Disegnava ancora fare di casa sua due re, l'uno in Lombardia, l'altro in Toscana, la potenza de'quali difendesse la Chiesa da' Tedeschi che volessero venire in Italia, e dai Francesi che erano nel regno. Ma con questi pensieri si morì, e fu il

primo de' papi che apertamente mostrasse la propria ambizione, e che disegnasse, sotto colore di far grande la Chiesa, onorare e beneficare i suoi. E come da questi tempi indietro non si è mai fatta menzione di nipoti o di parenti di alcuno pontefice, così per l'avvenire ne fia piena l'istoria, tanto che noi ci condurremo ai figliuoli; nè manca altro a tentare ai pontefici, se non che come eglino hanno disegnato infino ai tempi nostri di lasciarli principi, così per lo avvenire pensino di lasciare loro il papato ereditario. Bene è vero, che per infino a qui i principati ordinati da loro hanno avuto poca vita, perchè il più delle volte i pontefici per vivere poco tempo, o ei non finiscono di piantare le piante loro, o se pure le piantano, le lasciano con sì poche e deboli barbe, che al primo vento, quando è mancata quella virtù che le sostiene, si fiaccano.

Successe a costui Martino IV, il quale per essere di nazione Francese favori le parti di Carlo, in favore del quale Carlo mandò in Romagna, che se gli era ribellata, sue genti; ed essendo a campo a Furli, Guido Bonatto astrologo ordinò che in un punto dato da lui il popolo gli assaltasse, in modo che tutti i Francesi vi furono presi e morti. In questo tempo si mandò ad effetto la pratica mossa da papa Niccolao con Pietro re d'Aragona, mediante la quale, i Siciliani ammazzarono tutti i Francesi che si trovarono in quell'isola, della quale Pietro si fece signore, dicendo appartenersegli per aver per moglie Gostanza figliuola di Manfredi. Ma Carlo nel riordinare la guerra per la ricuperazione di quella si morì, e rimase di lui Carlo II, il quale in quella guerra era rimaso prigione in Sicilia, e per essere libero promise di ritornare prigione, se infra tre anni non aveva impetrato dal papa, che i reali di Aragona fussero investiti del regno di Sicilia.

Ridolfo imperatore in cambio di venire in Italia, per rendere all'imperio la riputazione in quella, vi mandò un suo oratore con autorità di poter fare liberare tutte quelle città che si ricomperassero; ondechè molte città si ricomperarono, e con la libertà mutarono modo di vivere. Adulfo di Sassonia successe all'imperio; ed al pontificato Pietro del Murrone, che fu nóminato papa Celestino; il quale sendo eremita e pieno di santità, dopo sei mesi rinunziò al pontificato, e fu eletto

Bonifacio VIII. I cieli, i quali sapevano come ei doveva venir tempo, che i Francesi ed i Tedeschi s'allargherebbero da Italia, e che quella provincia resterebbe in mano al tutto degli Italiani, acciocchè il papa quando mancasse degli ostacoli oltramontani non potesse nè fermare nè godere la potenza sua, fecero crescere in Roma due potentissime famiglie, Colonnesi ed Orsini, acciocchè con la potenza e propinquità loro tenessero il pontificato infermo. Ondechè papa Bonifacio, il quale conosceva questo, si volse a volere spegnere i Colonnesi, ed oltre allo avergli scomunicati bandi loro la Crociata contro. Il che sebbene offese alquanto loro, offese più la Chiesa, perchè quelle armi le quali per carità della fede ayeva virtuosamente adoperate, come si volsero per propria ambizione ai Cristiani, cominciarono a non tagliare. E così il troppo desiderio di sfogare il loro appetito, faceva che i pontefici appoco appoco si disarmavano. Privò, oltre di questo, due che di quella famiglia erano cardinali del cardinalato; e fuggendo Sciarra capo di quella casa davanti a lui sconosciuto, fu preso dai corsari Catelani, e messo al remo; ma conosciuto dipoi a Marsiglia fu mandato al re Filippo di Francia, il quale era stato da Bonifacio scomunicato e privo del regno. E considerando Filippo come nella guerra operata contro ai pontefici o e' si rimaneva perdente, o e' vi si correva assai pericoli, si volse agl' inganni, e simulato di voler fare accordo col papa, mandò Sciarra in Italia segretamente, il quale arrivato in Anagnia dove era il papa, convocati di notte i suoi amici, lo prese. E benchè poco dipoi dal popolo di Anagnia fusse liberato, nondimeno per il dolore di quella ingiuria rabbioso morì. Fu Bonifacio ordinatore del giubbileo nel MCCC, e provvide che ogni cento anni si celebrasse. In questi tempi seguirono molti travagli intra le parti guelfe e ghibelline; e per essere stata abbandonata Italia dagl'imperatori, molte terre diventarono libere, e molte furono dai tiranni occupate. Restitui papa Benedetto ai cardinali Colonnesi il cappello, e Filippo re di Francia ribenedisse. A costui successe Clemente V, il quale per essere Francese ridusse la corte in Francia nell'anno MCCCV.

In quel mezzo Carlo II re di Napoli morì, al quale successe, Ruberto suo figliuolo; ed all'imperio era pervenuto Arrigo di Lucem

burgo, il quale venne a Roma per coronarsi, non ostante che il papa non vi fusse. Per la cui venuta seguirono assai movimenti in Lombardia, perchè rimesse nelle terre tutti i fuorusciti o guelfi o ghibellini che fossero. Di che ne seguì che cacciando l'uno l'altro, si riempiè quella provincia di guerra, a che l'imperatore non potette con ogni sforzo ovviare. Partito costui di Lombardia, per la via di Genova se ne venne a Pisa, dove s' ingegnò di torre la Toscana al re Ruberto; e non facendo alcun profitto se ne andò a Roma, dove stette pochi giorni, perchè dagli Orsini con il favore del re Ruberto ne fu cacciato, e ritornossi a Pisa; e per fare più sicuramente guerra alla Toscana, e trarla dal governo del re Ruberto, la fece assaltare da Federigo re di Sicilia. Ma quando egli sperava in un tempo occupare la Toscana e torre al re Ruberto lo stato, si mori, al quale successe nell' imperio Lodovico di Baviera. In quel tempo pervenne al papato Giovanni XXII, al tempo del quale l'imperatore non cessava di perseguitare i Guelfi e la Chiesa, la quale in maggior parte dal re Ruberto e dai Fiorentini era difesa. Donde nacquero assai guerre fatte in Lombardia dai Visconti contro i Guelfi, ed in Toscana da Castruccio di Lucca contro i Fiorentini. Ma perchè la famiglia de' Visconti fu quella che dette principio alla Ducea di Milano, uno de' cinque principati che di poi governarono l'Italia, mi pare da replicare da più alto luogo la loro condizione.

Poichè seguì in Lombardia la lega di quelle città, delle quali di sopra facem mo menzione, per difendersi da Federigo Barbarossa, Milano ristorato che fu della rovina sua, per vendicarsi delle ingiurie ricevute, si congiunse con quella lega, la quale raffrenò il Barbarossa, e tenne vive in Lombardia un tempo le parti della Chiesa; e ne' travagli di quelle guerre, che allora seguirono, diventò in quella città potentissima la famiglia di quelli della Torre, della quale sempre crebbe la riputazione, mentre che gl' imperatori ebbero in quella provin cia poca autorità. Ma venendo Federigo II in Italia, e diventata la parte ghibellina per la opera di Ezelino potente, nacquero in ogni città umori ghibellini; donde che in Milano di quelli che tenevano la parte ghibellina fu la famiglia de' Visconti, la quale cacciò quelli della Torre da Milano. Ma poco stettero fuori, che per ac

cordi fatti intra l'imperatore ed il papa furono restituiti nella patria loro. Ma sendone andato il papa con la corte in Francia, e venendo Arrigo di Lucemborgo in Italia per andare per la corona a Roma, fu ricevuto in Milano da Maffeo Visconti e Guido della Torre, i quali allora erano i capi di quelle famiglie. Ma disegnando Maffeo di servirsi dell' imperatore per cacciare Guido, giudicando l'impresa facile, per essere quello di contraria fazione all'imperio, prese occasione dei rammarichi che il popolo faceva per i sinistri portamenti dei Tedeschi, e cautamente andava dando animo a ciascuno, e gli persuadeva a pigliar le armi, e levarsi da dosso la servitù di quei barbari. E quando gli parve aver disposta la materia a suo proposito, fece per alcun suo fidato nascere un tumulto, sopra il quale tutto il popolo prese le armi contro il nome tedesco: Nè prima fu mosso lo scandalo, che Maffeo con i suoi figliuoli e tutti i suoi partigiani si trovarono in arme, e corsero ad Arrigo, significandogli come questo tumulto nasceva da quelli della Torre, i quali, non contenti di stare in Milano privatamente, avevano presa occasione di volerlo spogliare, per gratificarsi i Guelfi d'Italia, e diventar principi di quella città; ma che stesse di buono animo, chè loro con la loro parte, quando si volesse difendere, erano per salvarlo in ogni modo. Credette Arrigo esser vere tutte le cose dette da Maffeo, e ristrinse le sue forze con quelle de' Visconti, ed assali quelli della Torre, i quali erano corsi in più parti della città per fermare i tumulti, e quelli che poterono avere ammazzarono, e gli altri spogliati delle loro sostanze mandarono in esilio. Restato adunque Maffeo Visconti come principe in Milano, rimasero dopo lui Galeazzo ed Azzo, e dopo costoro Luchino e Giovanni. Diventò Giovanni arcivescovo in quella città, e di Luchino, il quale mori avanti a lui, rimasero Bernabò e Galeazzo; ma morendo ancora poco dipoi Galeazzo, rimase di lui Giovanni Galeazzo, detto conte di virtù. Costui, dopo la morte dell' arcivescovo, con inganno ammazzo Bernabò suo zio, e restò solo principe di Milano, il quale fu il primo che avesse il titolo di duca. Di costui rimase Filippo e Gio. Maria Angelo, il quale sendo morto dal popolo di Milano, rimase lo stato a Filippo, del quale non rimasero figliuoli maschi, dondechè quello stato si trasferi dalla casa de' Visconti a quella

degli Sforzeschi nel modo e per le ragioni che nel suo luogo si narreranno.

Ma tornando donde io mi partii. Lodovico imperatore, per dar riputazione alla parte sua, e per pigliare la corona, venne in Italia; e trovandosi in Milano, per aver cagione di trar danari dai Milanesi, mostrò di lasciarli liberi, e mise i Visconti in prigione; dipoi per mezzo di Castruccio da Lucca gli liberò, e andato a Roma, per poter più facilmente perturbare l'Italia, fece Piero della Corvara antipapa; con la riputazione del quale, e con la forza de' Visconti disegnava tenere inferme le parti contrarie di Toscana e di Lombardia. Ma Castruccio mori, la qual morte fu cagione del principio della sua rovina, perchè Pisa e Lucca se gli ribellarono, ed i Pisani mandarono l'antipapa prigione al papa in Francia, in modo che l'imperatore, disperato delle cose di Italia, se ne tornò nella Magna. Nè fu prima partito costui, che Giovanni re di Boemia venne in Italia chiamato dai Ghibellini di Brescia, e s' insignori di quella e di Bergamo. E perchè questa venuta fu di consentimento del papa, ancora che fingesse il contrario, il legato di Bologna lo favoriva, giudicando che questo fusse buon rimedio a provvedere che l'imperatore non tornasse in Italia. Per il qual partito l'Italia mutò condizione, perchè i Fiorentini ed il re Ruberto, vedendo che il legato favoriva le imprese dei Ghibellini, diventarono nimici di tutti quelli, di chi il legato e il re di Boemia era amico. E senza aver riguardo a parti guelfe o ghibelline si unirono molti principi con loro, intra i quali furono i Visconti, quelli della Scala, Filippo Gonzaga mantovano, quelli da Carrara, quelli da Este. Dondechè il papa gli scomunicò tutti, e il re per timore di questa lega se ne andò per ragunare più forze a casa, e tornato dipoi in Italia con più genti, gli riusci nondimeno l'impresa difficile; tanto che sbigottito, con dispiacere del legato, se ne tornò in Boemia, e lasciò solo guardato Reggio e Modena, ed a Marsilio e Piero de' Rossi raccomandò Parma, i quali erano in quella città potentissimi. Partito costui, Bologna si accostò con la lega, ed i collegati si divisero infra loro quattro città che restavano nella parte della Chiesa, e convennero che Parma pervenisse a quelli della Scala, Reggio a' Gonzaga, Modena a quelli da Este, Lucca ai Eiorentini. Ma nelle imprese di queste terre seguirono molte guer

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