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>> Scrittore al mondo, ci sarà di non piccolo sprone. >> Pertanto noi non mancheremo a noi medesimi, »> nè giudichiamo l'impresa difficile, perchè non >> resterà molto da fare, levati quei pochi luoghi, » dove alle volte con troppa licenza par che parli » de' pontefici; il che imputiamo più alla qualità di >> quei tempi, che a cattiva mente dello Scrittore, >> essendo che in tutte le sue azioni si mostrò sem>> pre pio ed osservante della religione; il che l'at>> testa l'essere da Papa Clemente VII in più di >> un negozio con non poco onor suo adoperato, da >>> cui anco gli fu dato il carico di scrivere le Istorie. >> Inoltre vivono ancor oggi persone degnissime >> di fede, che lo conobbero e seco conversarono, >> che sempre, bisognando, faran testimonianza, >> come spesso ad uso di buon cristiano ei frequen>> tasse la Confessione e Comunione. Ora a noi >> resta il supplicarla, che come nostro protettore >> presso a lor Sigg. Illustr. nel mandar che faremo >> la nostra emendazione, sia contenta fare, che >> senza romore, se alcuna cosa parrà che sia ri>> masta da levarsi, il che noi non crediamo, si » levi; perchè saremo contentissimi a quel solo che >> sarà confermato; desiderando che nè loro si ab>>bino a dolere di noi, nè noi a pentire di esserci >> indarno affaticati. Stia dunque sano, e coman» dici, che desideriamo servirla con ogni nostro >> potere; che Nostro Signore Dio la contenti ed >> esalti. » È da compiangersi la perdita del resto del carteggio, che avrebbe potuto darci la storia intera di questo trattato, e porre in chiaro quali erano precisamente le cose nelle opere del Machiavelli, che a Roma si trovavano da emendarsi; come pure il piano della emendazione progettata. Solo sappiamo che le correzioni furono fatte, che l'esito non fu conforme alle speranze, per il motivo che gli emendatori ricusarono prestarsi ad accordare la ristampa delle opere sotto altro nome che quello del Machiavelli, secondo che narra il citato Giuliano de' Ricci in un suo Zibaldone di Memorie, ove ei dice, che: « prima da Paolo IV, e poi dal >> concilio di Trento, gli anni 1557 (1) e 1564, fu

(1) Apostolo Zeno nelle note al Fontanini (T. II. p. 14) asserisce gl' Indici dati fuora da Paolo IV, esser due, che uno del 1556, e l'altro più copioso del 1559, e ciò contro l'opinione del cardinale Albizzi, di Van-Espen, e di molti altri, i quali convengono esserne stato dato l'ordine nel 1557, ma terminato l'Indice nel 1559. Egli lo prova dall' essere stato ordinato un altro Indice dal medesimo papa nel 1558. Vero è che a pag. 10 il medesimo Zeno dice di non avere la prima edizione di quest' Indice del 1557. Sembra che il fatto andasse così; cioè che Paolo IV desse questa commissione nel 1557, e che rimanesse adempita nel 1559, come tra i più moderni asserisce ancora il padre Gregorio Zallwein, Benedettino Bavaro, nel T. II. del suo Gius Ecclesiastico, p. 439, stampato nel 1763. Su queste notizie è di sopra asserito, che la prima proibizione del Machiavelli fu quella dell' Indice del 1559, non ostante che del 1557 la dia Giuliano de' Ricci, il quale può aver confuso l'anno, in cui si diede l'ordine di formare il Catalogo, con quello in cui fu effettivamente pubblicato.

>> rono proibite e dannate tutte le sue opere; e per>> chè levatene alcune poche cose, elle restano tali >> che si possono ammettere, fu dato cura l'anno 1573 >> a me Giuliano de' Ricci, e a Niccolò Machiavelli >> mio cugino, ambedue suoi nipoti, io figliuolo di >> una figliuola, e messer Niccolò di un suo figliuolo, >> come appare per una lettera scritta alli detti da>> gl' Illustrissimi signori cardinali deputati sopra >> la rivista dell' Indice, data in Roma alli 3 ago» sto 1573, sottoscritta da Frate Antonio Posi, >> allora segretario di detti cardinali; e sebbene si >> fatico attorno alla detta revisione, e si corressero » tutte, e a Roma si mandò le correzioni delle >> Storie, sino adesso che siamo nel 1594 non si è >> condotto questa opera a fine, perchè nello stri>> guere il negozio volevano quelli signori che si >> ristampassino sotto altro nome, al che si diede >> passata. » Il Bayle e con esso molti altri scrittori hanno creduto che il libro del Principe fosse la prima volta condannato sotto il papa Clemente VIII, dietro ai clamori del Possevino; ma la verità si è che esso con tutte le altre opere era stato proscritto molti anni avanti, come abbiamo poco fa veduto. È per altro notabile che questo gesuita sorse ad impugnare il Machiavelli nel tempo appunto, che con impazienza attendevasi il successo dell' affare della correzione. Questa circostanza rende molto verisimile, che siccome al Polo ed al Catarino pare da attribuirsi la prima proibizione, così l'opuscolo del Possevino abbia fatto abortire il progetto della espurgazione, ed abbia ancora caricato di un odio maggiore il nostro Segretario. Comunque sia, certa cosa è che da quel tempo in poi non è balenato più lampo di speranza di remissione per il nome del Machiavelli.

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Egli però non è rimasto affatto abbandonato e indifeso. In ogni tempo si è alzata la voce di valenti apologisti, che lo hanno vendicato. Senza rammentare tanti dotti uomini, che incidentemente ne hanno fatta onorata menzione, non poche sono le apologie fatteli espressamente. Una buona prefazione apologetica è l'avviso dell' editore premesso all' edizione intrapresa a Palermo nel 1584. Il conte Gaspero Scioppio non temè difendere il Segretario Fiorentino in Roma stessa (1) con un libro intitolato: «Gasparis Scioppii Cæsarei el Regii consiliarii Pædia politices, sive suppetia logica scriptoribus politicis latæ adversus àñaidevoiav, et acerbitatem plebejorum quorumdam judiciorum. Romæ 1623. » Questo celebre critico, scansando di nominare il Machiavelli, giustifica con sommo valore il soggetto

(1) Qual maraviglia? Roma, centro de' sommi letterati, ha avuto sempre dei grandi estimatori del Machiavelli. Basti per questi ultimi tempi il nominare il dottissimo cardinal Stefano Borgia, il quale al comparire dell' edizione del 1782 ne contestó agli editori la sua piena sodisfazione.

del libro del Principe, e i sentimenti di quello. Egli prova fino all' evidenza che uno scrittore politico non può, nè dee dispensarsi dal parlare de'governi tirannici. Aristotele e S. Tommaso suo commentatore sono intieramente la sua guida. In essi egli trova l'esempio della tirannia ridotta in arte, e le massime, anche più scellerate di quelle che si rimproverano al Machiavelli, con tutta la franchezza descritte e delucidate (1).

Altre cose aveva egli fatto sperare in difesa e concernenti questo grande scrittore; ed infatti il celebre Antonio Magliabechi in certe sue Memorie, intitolate Notizie Letterarie, esistenti MSS. nella Biblioteca Magliabechiana, asserisce avere presso di sè un' apologia dello Scioppio diversa da quella rammentata di sopra (2). Altra pure comparisce dal Magliabechi medesimo essere stata composta da Pietro Pietri Danzicano, e questa attesta egli di aver letta manoscritta, comunicatagli dal dottore Adamo Luciano da Rotenano.

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(2) Il canonico Angiolo Maria Bandini nel commentario de Vita et Scriptis Joh. Bat. Donii, » pubblicato colle stampe di Firenze nel 1755, dà ragguaglio a p. 36 di diverse opere dello Scioppio, esistenti in quel tempo manoscritte nella Biblioteca dell' erudito conte Gio. Michele Pierucci, e che si posseggono di presente dal sig. cav. Paolini. Noi ne riportiamo la nota di quelle soltanto relative al Machiavelli, ove i nostri lettori potranno probabilmente ravvisare le cose promesse, e nel primo scritto in special modo l' altra apologia rammentata dal Magliabechi.

G. Scioppi consiliarii regii Machiavellica, hoc est apologia duplex, quarum priore S. R. E. de Nicolai Machiavelli libris decreta defenduntur. Posteriore eiusdem Machiavelli innocentia adversus Calvinistas præcipue, Italici nominis hostes propugnatur. In utraque vero pseudo-politicorum Machiavelli Doctrina ad propriam utilitatem nullo honesti turpisque discrimine conficiendam abutentium improbitas, ipsius Machiavelli præceptis confulatur An. MDCXIX.

Methodus de scriptoribus politicis, ac proprie de Nicolai Machiavelli libris iudicandis; item synopsis libri de Principe eiusdem Machiavelli, Romanorum censorum judicio probata, eum pontificio, Cæsareo et regio privilegio.

Verba Gasp. Scioppi in libro, qui inscribitur Machiavellicorum operæ pretium, quem absolvit mense maio anni MDCXIX. De reipublicæ Cristianæ corruptelis, earumque causis, et remediis adversus Nicolai Machiavelli sententiam disputatio. Opus hoc incipit. p. 154.

Vincentii Cacatorici Moracesta Patricii Mediolanensis Margites Rhetoricus, hoc est Specimina Pansophiæ, seu sapientiæ Paganini Gaudentii omniscii literatoris in Athenco Pisano. Accesserunt caussæ dictio pro S. Augustini sententia de SS. Mortuorum statu, deque innocentia eorum qui simplici animo credunt hæreticis, proque honore Machiavelli, et Florentinorum, et Mediceorum principum, etc.

Anche il Conringio può annoverarsi fra gli apologisti del Machiavelli, specialmente per la sua dotta prefazione, premessa all' edizione latina del libro del Principe. In essa ei lo difende con tutto il valore e buon successo dalle false imputazioni del Giovio, del Gentiletto, del Possevino e di altri suoi impugnatori. Più onore assai avrebbe riportato da questa sua dotta fatica, se dopo averlo tanto felicemente vendicato dall' altrui malignità, tratto egli stesso dalla falsa comune opinione, non fosse caduto fino in contradizione con sè medesimo, per trovare di che riprenderlo. Ella è infatti cosa da far maraviglia, come dopo aver dato del ridicolo a chi credesse che dal Machiavelli alcuno abbia appresa la tirannia, dopo aver riconosciuto: « Leclam a Machiavello historiam fere omnis etiam veteris ævi, et lectam non ad voluntatem, nec in usum grammaticum ceu fieret plerumque, sed cum insigni civilis prudentiæ fructu, atque adeo lectam acri judicio adhibito, quod a paucissimis fieri vel soleret vel posset; gli sia uscito di bocca, in quam plurimis consiliis non modo improba, verum etiam plane vel inepta vel noxia suggessit ac suasit.» Non si saprebbe scusare il suo sbaglio a confronto di tanto giudiziosa difesa fattagli, che supponendo averlo indotto in errore il titolo del Principe, e che nulla avrebbe avuto da ridire, se il Segretario Fiorentino avesse intitolato il suo libro il Tiranno (1).

Giovanni Federigo Cristio, dotto professore nell' Università di Lipsia, pubblicò nel 1731 un' opera intitolata « Joh. Friderici Christii de Nicolao Machiavelli libri tres, in quibus de vita et scriptis, item de secla hujus viri, atque in universum de politica nostrorum post instauratas literas temporum ex instituto disseritur. » Noi non conosciamo una difesa pel nostro Autore più esatta e ampia di questa. Quanto mai era possibile ad uomo estraneo di sapere relativamente al Machiavelli, tutto vi si trova esaminato e dilucidato con una erudizione ed un criterio insuperabile; talmentechè, eccettuate quelle più speciali e recondite notizie somministrate dalla località, e che difficilmente potevano esser note e trovate se non nella patria dell' Autore, può dirsi che la difesa del Machiavelli sia in quel libro compiutamente esaurita. Dell'apologia del signore Ame

(1) Che il Conringio fosse nell' errore di credere che Machiavelli avesse inteso di dare indistintamente e dovunque lezioni anche per i principi legittimi e savi, ce lo dice nella sua introduzione alla politica di Aristotile lib. III. « Quin sua omnia vaferrimus hic nequitia doctor, dissimulato plagio, ex Aristotele fortasse transcriptis; eo tamen discrimine, quod hic impie ac impudenter omni principi commendet, quæ nonnisi Dominis ac Tyrannis convenire longe rectius ac prudenter scripserat Aristoteles. Ma se il Conringio avesse fatto attenzione alla espressa disapprovazione del Machiavelli che accompagna i precetti veramente riprensibili, avrebbe ravvisato che il Segretario Fiorentino indicava egli stesso quali sono i modi tirannici, e quali convenienti ai buoni e legittimi dominanti, e che percio egli è nella linea stessa di Aristotele, e di qualunque altro che abbia rappresentato il tiranno, come tiranno.

lot de la Houssaye ne è stato dato in altro luogo argomenti le più belle gemme di quegli autori immortali, l'aversegli convertiti in sugo, l'essersi investito del loro spirito, ed avergli anche talora superali.

un saggio, che può bastare per formarsene una
giusta idea. L'elogio appostogli nella raccolta degli
uomini illustri Fiorentini è una buona difesa, per
quanto porta la natura di quella specie di composi-
zione. Ottima pure è l'apologia pubblicata nel 1779
col titolo « Elogio di Niccolò Machiavelli, cittadino e
segretario Fiorentino, con un discorso intorno alla
costituzione della società, ed al governo politico, » la
quale dovevasi, per quanto si crede, porre in fronte
a una edizione, che si meditava di fare a Napoli (1).❘

VIII.-Vasta erudizione del Machiavelli. Suo profondo giudizio. Breve idea delle sue opere.

Il merito del nostro segretario, relativamente all' erudizione e sapere, non è stato meno controverso della sua morale. I suoi nemici, solleciti di trar profitto in suo discredito anche dalle cose le più inverisimili, si sono fatti forti sulla testimonianza del Giovio, che ei fosse totalmente ignorante della latina e della greca lingua, e rincarando sopra questo bugiardo scrittore, lo hanno anche tacciato d'imperito e di inesatto. La traduzione dell' Andria di Terenzio, alcune lettere latine, i titoli parimente latini da lui posti in fronte a ciascuno dei capitoli del Principe, come abbiamo trovato nel citato antico MS., le sue Commedie, tratte per la maggior parte da Plauto e da altri antichi Commediografi, il poemetto dell' Asino d'oro, ricavato da Luciano, da Apuleio e da Omero, un intero Epigramma greco di Posidippo (2) sulla statua dell' Occasione, tradotto in quel capitolo da lui dell' Occasione intitolato, sarebbero prove bastanti a decidere la questione della sua perizia in quelle due dotte lingue, tanto più che la scarsezza delle buone versioni a' suoi tempi rendeva indispensabile l'intendere gli originali; quando anche non ne avessimo delle più luminose nelle altre sue opere storiche e politiche. E tanta è la perizia delle antiche cose che in tutti i suoi scritti di tratto in tratto si riscontrano, e con tal sicurezza ed opportunità vi si vedono maneggiati gli autori classici greci e latini, da convincere ad evidenza che perfettamente ed a fondo ei conosceva di essi i pregj e le bellezze, poichè se non gli avesse studiati profondamente e sviscerati, ei non avrebbe potuto, se non con speciale miracolo, pervenire a rendersene naturale imitatore. Anzi se niuna cosa potesse rimproverarsi al Machiavelli, sarebbe il dire, ch' ei siasi arricchito delle spoglie degli antichi scrittori, e gli abbia soverchiamente imitati; seppure è lecito chiamar difetto l'aver fatte sue, e adattate a' suoi

(1) Posteriormente agli autori citati, ed alla prefazione e vita, premesse all' edizione dell' 1782 il sig. cav. Gio. Batista Baldelli ne ritessè un altro Elogio, che fu da lui recitato con molto applauso nell' Accademia Fiorentina, e dipoi dato alle stampe. (2) Antolog. b. IV.

Il libro primo delle Storie, in cui sono mirabilmente descritti nel più stretto compendio i grandi avvenimenti che scossero e rovesciarono il romano impero, la fondazione degli stati che si stabilirono sulle rovine di quello, e le rivoluzioni per le quali passò successivamente l'Italia, fino a stabilirsi in quel grado, in cui si trovava a' tempi dell'autore, suppone una cognizione immensa e perfetta delle storie dei primi, e de' tempi di mezzo, ed una penetrazione inarrivabile, non solo per rinchiudere in cosi stretti limiti una materia tanto vasta, quanto ancora per sviluppare i varj interessi e le ragioni, onde si andò a formare lo stato politico e civile dell' Europa. Questo solo libro fa conoscere la dottrina, il genio grande, e la penetrazione del Machiavelli, nè ci siamo riscontrati in alcuno che lo abbia letto, e non ne sia rimasto incantato (1). Nelle Storie poi tutte insieme egli è mirabilmente riuscito, per quello riguarda il piano e la condotta, a rassomigliarsi, più che ad ogni altro, al greco istorico Tucidide. Vi è pur tuttavia chi ha desiderato nel Machiavelli maggiore accortezza, specialmente nell'ordine de' tempi; ma se egli ha usato talvolta un ordine prepostero, piuttostochè chiamarlo un anacronismo, attribuir ciò si dee al metodo da lui preso di seguitare la progressione de' fatti, invece d'interromperli per una troppo scrupolosa osservanza di cronologia. Non si può negare che ciò non renda la narrazione più eguale, più continuata, e più interessante; oltre chè il metodo preso da lui è propriamente quello delle storie, l'altro è quello degli annali.

Le Storie sono senza dubbio l'ultima opera da lui scritta (2), come apparisce chiaramente dalla nota apposta all'originale, che si è di sopra riporta

(1) È tanta la maestria, con la quale in quel primo libro sono trattati quei vasti ed intralciati argomenti, che in una edizione di Argentina delle Storie, fatta nel 1610, sono presi per titolo di tutta l'opera in questo modo: Storie Fiorentine, nelle quali si racconta il passaggio e la mutazione dei popoli 'pontesettentrionali, rovina dell' imperio Romano, principio de'¡ fici, origine e fatti dei Fiorentini. » Girolamo Turlero, riguardando forse questo primo libro per una cosa nel suo genere compita, lo diede alle stampe nel 1564 tradotto in latino, separatamente dagli altri, e del quale Marquardo Frehero nelle sue annotazioni a Pietro de Andlò p. 147 cosi parla: « Idem argumentum de migrationibus populorum septentrionalium post devictos a C. Mario Cimbros, et de ruina Romani Imperii eleganter tractavit Nicolaus Machiavellus Lib. 1, Historia Flotinæ ; quod opusculum extat latine, interprete Hieronymo Turlero. »

(2) Se si parla delle opere grandi, è vero ciò che dice qui la prefazione. Del rimanente l'elegante Descrizione della Peste, che è uno degli scritti inediti, che per la prima volta comparirono alla luce nella edizione di Firenze in otto tomi nel 1796, si crede con tutto il fondamento posteriore ad ogni altro suo scritto, sembrando indubitato che fu da lui composta poche settimane prima della sua morte.

PREFAZIONE

ta, e per mezzo della quale si vede che ei le ter-

minò ne 1525, vale a dire due anni incirca prima della

sua morte; e possiamo congetturare, che altro non

scrivesse in questo intervallo di tempo, avendone

molto consumato nelle commissioni, che di nuovo

per la sua patria dovè subire. Egli aveva peraltro

in animo di continuarle, e di questo ce ne assicu-

rano i Frammenti che abbiamo di lui trovati, spe-

cialmente quei pochi caratteri di celebri personaggi

fiorentini che nell' originale sono intitolati in questa

forma: « Nature di uomini fiorentini, e in che luo-

ghi si possino inserir le laudi loro. » Sono per av-

ventura questi Frammenti quei commentarj ram-

mentati da Gio. Matteo Toscano, che ei dice avere

il Machiavelli donati in morte a Francesco Guic-

ciardini, e questi essersene valso nel tessere la sua

laudatissima storia (1). Erano essi in assai maggior

numero, ma fu giustamente creduto bene lasciarne

indietro molti, trovati pressochè affatto informi,

scegliere soltanto quelli che avevano una qualche

forma, i quali, quantunque si riconoscano per sem-

plici notizie prese, come suol dirsi, in punta di

penna, non mancano però di essere aspersi di al-

cune di quelle grazie, di quei sali, di quelle rifles-

sioni, che formano il carattere degli scritti del

Machiavelli. Avrebbero essi pure richieste molte

annotazioni per ischiarimento, le quali sono state

risparmiate, perchè non si trattava di farli servire

per l'istoria de' tempi, della quale si suppongono

bene a portata i lettori, e che può vedersi in tanti

altri autori contemporanei; ma di dare un saggio

dell'accuratezza del Segretario Fiorentino, e della

sua maniera di preparare i materiali delle sue

opere. Per l'istesse ragioni fu lasciato indietro il

Diario, che è stampato, e passa comunemente

sotto il nome di Biagio Bonaccorsi; ma che è in

parte una simile raccolta alquanto riordinata di

notizie istoriche del Machiavelli, come si ricono-

sce dal MS. autografo esistente nella Biblioteca

Riccardiana.

I Ritratti delle cose della Francia e della Ma-

gna, e gli altri scritti di simil genere, come il
Rapporto delle cose della Magna, il Discorso sopra
di esse e sopra l'imperatore, della natura de' Fran-
cesi, il Sommario della città di Lucca, sono le os-
servazioni fatte dall' Autore, specialmente nelle sue
legazioni, e distese per servigio e per utile della
Repubblica. Se in questi scritti non havvi una per-
felta eleganza, vi si ravvisa però l'accuratezza e
la capacità di un abile ministro. La vita di Castruc-
cio Castracani è uno scritto arbitrario, dove alcuni
pochi fatti storici servono di fondamento a un ro-
manzo, che il Machiavelli si è dilettato di tessere
sulle gesta di quel gran capitano. Alcuni scrittori
si sono affaticati soverchiamente per rinvenire le

falsità di questa vita, la quale a colpo d'occhio si
riconosce per iscritta a capriccio (1).

I sette libri dell' Arte della Guerra suppongono

nel Machiavelli una cognizione della scienza mi-

litare non dirò solo maravigliosa per un uomo di

toga, ma straordinaria anche per un vecchio co-

mandante. Che il Machiavelli l' avea appresa me-

diante una lunga e profonda meditazione sopra

gli antichi Romani, i quali senza controversia sono

stati i più eccellenti maestri nell'arte della guerra,

rilevasi ad evidenza dalla moltiplice combinazione

delle di lui teorie militari con quelle di Vegezio. Il

suo principale oggetto è di far valere i vantaggi

dell' infanteria, in un tempo in cui questo servizio

era generalmente dispregiato; e le sue teorie hanno

avuto un si felice successo, che a lui attribuir si

dee il risorgimento della buona tattica, e la perfe-

zione alla quale si vede giunta quest' arte ai nostri

giorni. È qui a proposito il riferire ciò che dice del

Machiavelli il dottissimo sig. dott. Gio. Lami nel

dare ragguaglio nelle sue novelle letterarie del 1763

della seconda edizione delle lettere militari del si-

gnor conte Francesco Algarotti: il sig. conte Al-

garotti nell'indirizzarle al principe Enrico di Prus-

sia, con molta erudizione, con sagge riflessioni, e

con studiosa diligenza, fa nella prima parte di que-

ste lettere risaltare mirabilmente la scienza mili-

tare del Segretario Fiorentino Niccolò Machiavelli,

il quale col suo vasto e profondo ingegno seppe trat-

tare felicemente diverse materie. Egli compose dun-

que un libro sopra l'Arte della Guerra, sopra il

qual libro quanto osservi il celebre nostro autore

l'addita nella lettera seconda al suo amico colle

seguenti parole: « Farvi un estrallo del libro sopra

» l'arte della guerra è quasi impossibile. Ben sapele

» che de' buoni libri mal se ne fanno gli estralli. Pure

» per adempire in qualche maniera al vostro deside-

» rio, alcune cose vi anderò notando qua e là di quel

» libro, acciocchè vediate quanto sia fondata l' opi-

» nione che io ne ho, e voi entriale maggiormente in

» voglia di leggerlo. » Le venti lettere adunque com-

prese nella prima parte si aggirano tutte nel far

vedere l'eccellente perizia che ebbe il Segretario
Fiorentino della guerra, benchè non fosse uomo mi-
litare, e quanti bei precetti e insegnamenti desse
per bene e prosperamente condurla. Il medesimo
signor conte Algarotti, nel Discorso IV sopra gli
studj di Andrea Palladio fatti da esso nelle cose
militari, vuol fare intendere, che questo celebre ar-
chitetto civile, studiò l'arte militare su quella del
Machiavelli. Il re di Prussia ha messi in eleganti
versi nel poema della guerra molti precetti del no-
stro Segretario; anzi ad osservare con qualche at-
tenzione la sua propria condotta nel governo e nella
direzione degli eserciti, vi si trova una conformità

tale colle regole date dal nostro Autore, che sola basta a farne l'elogio, ed a costituirne l'eccellenza ed il valore (1). Si è detto che Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, avesse voluto fargli porre in pratica le sue teorie alla testa d' un'armata, ma che egli fosse tanto savio da non cimentarvisi (2). Questo racconto non è che una mera favola, nè il Segretario Fiorentino ebbe altro disegno che d'istruire gli stati dell'Italia della maniera di fortificarsi, e rendersi capaci di sostenere colle loro proprie forze la loro libertà. Con questa mira avea egli fatto adoltare dalla repubblica di Firenze un piano per istabilire un corpo di milizie nazionali e permanenti, come si vede dalle due provvisioni, una per le fan

(1) Il merito di quest'opera fu conosciuto dagli stessi Oltramontani fino dal primo suo comparire alla luce. Guglielmo de Bellay, uomo pratico e versato assai nelle cose di guerra, pensò di riformare le milizie francesi, e d'istruirle secondo i precetti del Machiavalli. Fece egli dell' Arte della Guerra del nostro Autore un trattato suo proprio, copiandolo quasi a parola, colla sola mutazione di averne tolta la forma del dialogo, variati pochi vocaboli tecnici, e fattavi qualche trasposizione. Trovatosi questo trattato dopo la morte di lui fra i suoi scritti, fu pub blicato a Parigi col seguente titolo: « Instructions sur le fait de la guerre, extraictes des livres de Polybe, Frontin, Végèce, Machiavello, et plusieurs autres bons autheurs. A Paris, de l'imprimerie de Michel de Vascosan, demorant à l'inseigne de la Fontaine, Rue St. Jacques. Avec privilège du Roy, 1553. »

In un' altra edizione fatta a Lione nel 1592, di questo stesso trattato del Bellay, fu indiscretamente soppresso il nome del Machiavelli, che ne è il proprio e vero autore, essendosi pubblicato col seguente titolo: " Discipline militaire de Messire Guillaume du Bellay, chevalier de l'Ordre, et lieutenantgénéral du roy à Turin, comprise en trois livres ; premièrement faite et compilée par l'auteur, tant de ce qu'il a leu des anciens et modernes, comme Polybe, Végèce, Frontin, Cornacan, et autres, que de ce qu'il a veu et pratiqué des armées et guerres de son temps. A Lyon, par Benoist Rigaud, 1592. » In questa edizione vi sono alquante mutazioni e discrepanze, essendosi adattato l'editore all'espressioni ed all' ortografia della lingua francese del suo tempo, variando ancora l'ordine dei capitoli quando lo ha creduto opportuno.

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Meglio eseguita e più fedele è una traduzione in linguaggio tedesco escita alla luce nel 1613 in Mümpelgardt o sia Montbéliard, dedicata a Lodovico Federico principe di Würtemberg, col titolo Kriegs Kunst Nicolai Machiavelli. » Il traduttore, di cui ci spiace ignorare il nome, poichè non vi si scorge espresso che per le sole iniziali H. C. W. V. B., con altra sincerità che quella dei citati editori Francesi, non ha nè accomunato, ne taciuto il nome del vero autore dell'opera. Oltre l'esattezza e la fedeltà della versione, vi si osserva ancora la correzione di alcuni errori, che s'incontrano in quasi tutti gli stampati, quali noi pure abbiamo potuto rettificare mediante il riscontro dell'autografo. Un altro pregio particolare è la divisione fattavi per capitoli delle materie più interessanti, senza però alterare in alcuna parte nè la divisione dei libri, nè il dialogo, nè le parole, come per esempio « Dell'uso delle artiglierie; dell'utihità o inutilità delle fortezze, ec. » come pure è notabile l'altra diligenza usata di avere accennate in postilla le cose più rimarchevoli. In somma è questa una versione veramente corri spondente al merito dell'opera.

(2) Cardano. De utilitate ex adversis capienda lib. III. Bayle, artic. Machiavel.

terie, e l'altra per la cavalleria, delle quali era stato esso il consigliero, l'estensore e l'esecutore. I Discorsi sopra Tito Livio, che furono scritti insieme colla precedente arte della guerra, dopo la sua dimissione dall' impiego di Segretario, seguita nel 1512 nella cacciata del Soderini, sono superiori a qualunque lode. Vi è stato chi ha riguardato il libro del Principe come un compendio, o un estratto dei medesimi. Chi ha avuta questa opinione non aveva osservato che l'Autore in più luoghi dei discorsi medesimi si rimette al libro del Principe, come precedentemente scritto. L'epoca del Principe l'abbiamo nella lettera al Vettori del 10 ottobre 1513, e quella de' Discorsi nel cap. XXVII del libro III, ove egli dice che la città di Pistoia era divisa in Panciatichi e Cancellieri quindici anni sono; la qual divisione, anzi guerra civile, essendo degli anni 1300 e 1501, resulta che i Discorsi sono posteriori di circa tre anni, e scritti verso il 1516.

Del rimanente i suoi fondamenti politici sono in tutti i di lui scritti sempre uniformi e costanti, e i suoi principj, le sue vedute, le sue osservazioni sempre gravi, giuste e profonde. Senza stare a fermarsi sulle altre sue minute cose, che sono ugualmente piene di giudizio e di eleganza, una sola considerazione rimane da aggiugnersi in lode del Machiavelli, cioè che la sua abilità non si limitava soltanto alla teorica. Le Legazioni sono un monumento luminosissimo della sua destrezza nel maneggio de' più scabrosi affari. Vi si vede risplendere uno zelo illimitato per gl' interessi della sua patria, una facilità poco comune nel rappresentare e nel prendere il vero punto degli affari, una maniera efficace per insinuarsi, un'attenzione singolare nello studiare le persone con le quali trattava, e nel penetrare le loro occulte mire ed intenzioni. — Da simile operella, dice giudiziosamente il sig. proposto Ferdinando Fossi nella prefazione alla citatata sua raccolta delle lettere, si può meglio che da qualunque altro suo scritto elaborato e finito ricavare il vero spirito, carattere e abilità del Segretario, vedendovisi dappertutto, oltre la naturalezza dello stile, certa profondità di pensare, accompagnata da giuste riflessioni secondo l'occorrenza degli affari, che qualificano l'uomo grande anche senza studio e senza artificio.

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