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però il Raimondi, invece di preporre il nome del vero autore, che è il Lando, prepose il nome suo proprio. Le sole differenze che mi è venuto fatto di avvertire confrontando le due edizioni (giacché non si può parlar di diverse opere ma di edizioni semplicemente) sono le seguenti: 1a, Dopo gli Oracoli di Giov. Salviati, il Lando riporta quelli di Giov. Arcimboldi, di Giov. Grimani, del cardinal Sfondrato, di Marco Vigero, di Giovanbattista Tosi, e poi quelli di Cola Maria Caracciolo; il Raimondi invece, saltando gl' intermedii, passa senz'altro dal Salviati al Caracciolo. 2a, Quelli che Ortensio dà come oracoli di Pietro Aretino il Raimondi li dà come proprii, ossia come Oracoli di Raimondo Bresciano del resto, li lascia tali e quali, meno il primo che nel Lando è « Dimandato Pietro Aretino, che età egli avesse, rispose: Sono sano », e che egli modifica sopprimendo semplicemente il nome di Pietro Aretino. 3a, Quelli che nel Lando sono attribuiti al dottor Maccasuola egli li dà pure come Oracoli del Dottore Raimondo Bresciano, modificando leggerissimamente solo il primo, « Deesi offendere Iddio men che si può, et giovare allo prossimo quanto si può », cosí: << Non deesi offendere Iddio, e giovare al prossimo quanto si può ». 4a, Quelli che nel Lando son dati come oracoli di Camillo Avogaro il Raimondi li dà come Oracoli di Monsignore Giovan Maria Poletti, lasciandoli però tali e quali. 5, Quelli che il Lando attribuisce a Giovan Battista Stra nel Raimondi son detti Oracoli di Giovan Battista Raimondi.

Come si vede, le differenze son pochissime e piccolissime, anzi minime addirittura: tanto poche e tanto

minime che si può dire, senza alcuno scrupolo, non esistere diversità fra l'edizione del Giolito del 1550 e quella dell'Anesi del 1630. Il Raimondi spinge a tal punto la sua sfacciataggine da non modificare neppure certi oracoli che sarebbe stato necessario. Cosí, fra gli oracoli di Cristoforo Madruccio ha il seguente: << Il medesimo mi disse una fiata; altro non esser la memoria nostra, che un Theatro di cose moleste ecc. »1, dove avrebbe potuto almeno levar quel mi. Parimente fra gli Oracoli di Otho Truxes Cardinal di Augusta c'è questo: « Lodando io la rara eloquentia della S. Alda Torella, dissemi: grande stromento di gloria fu sempre l'eloquenza ecc. »; e fra quelli di Giovanni Morville: << Dimandato se mi dovessi rallegrare d'haver conseguito gran gloria? Risposemi; Rallegrati piú tosto d'haverla meritata, anzi che d'haverla conseguita »3. Quasiché lui, Eugenio Raimondi, vivente nel seicento, fosse contemporaneo ed avesse relazione col Madruccio, colla Torella, col Truxes e cogli altri cinquecentisti!

1 Il Dottissimo passatempo, pag. 283.

2 Ivi, pag. 284.

3 Ivi, pag. 293.

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Gli autori dei Sermoni funebri1, come apparisce dalla Tavola che vi è premessa, sarebbero: Frate Cipolla, Bertolaccio, Frate Puccio, il Burchiello, il Cimarosto, il Piovano Arlotto, Ser Bertaccolone, Monna Fiore, Catosso, Monna Tessa e Monna Checca. Ma, alla fine del volumetto, c' è una « Apologia di M. Ortensio Lando ditto il Tranquillo, per l' authore », nella quale si dice che il Lando ha dato alla luce, « oltre queste funerali orationi, un commentario, ecc. »; e nei Sette libri di cataloghi, nell' elenco dei moderni « che di basso soggetto trattarono » si legge: « Hortensio Lando ha cantato la morte d'un cavallo, d'un cane, d'un pedocchio, d'una simia, d'una civetta, d'una gaza, d'un mergone, d'un gallo, d'una gatta, d'un grillo e d'altri vili animali »>2.

1 Sermoni funebri de vari authori nella morte de diversi animali. Con privilegio. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, MDXLVIIII.

2 Pag. 479.

L'opera è dedicata, con una lettera a cui manca la firma, al S. Nicolò delli Alberti da Bormo conte et cavaglier dignissimo ». In questa lettera il Lando dice all'Alberti che gli manda « undici Sermoni novamente ritrovati » perché lo « potranno alleggerire di quell' humore maninconico » da cui è spesse volte occupato, e perché « essendo tanto dotti, quanto po' comportar la materia, gli potranno insegnar qualche bella cosa ». Forse, dice, << il vostro Signor Suocero havrebbe voluto che vi havessi mandato libro più grave e piú convenevole alla professione cavalleresca; ma voi li direte da parte mia che, quando sarò in Tirano, li farò pienamente vedere che l'è piú utilità in questo libretto che non è in quel suo librone delle herbe ». E forse Ortensio Lando aveva ragione: non quanto all' utilità pratica, ché utilità pratica non c'è, né poteva esserci, nelle sue orazioni funerali; ma quanto al molto interesse letterario delle medesime.

Il primo sermone, di frate Cipolla da Certaldo, è in morte << del suo Asino detto Travaglino ». Incomincia col dire che gli uditori si maraviglieranno di lui che si appresta a lodare un asino, ma aggiunge che tale meraviglia cesserà quando avranno udito « le rare virtù et i singolari privilegi della spetie Asinina» (car. 3). Ed, annoverate queste virtú e questi privilegi, esclama: « Maraviglia adunque non vi paia se cosí volentieri ne favello anch' io, essendomi, meglio forsi che ad altri, nota l'asinesca natura: e dove posso io hoggimai andare che in qualche Asino non incappi et far non vegga qualche Asinina cortesia? » (car. 4 t.). Travaglino, continua, era figlio di Righetto,

<< cittadino di Arcadia », e di Fiorina Soriana. Righetto poi discendeva « da dui eccellentissimi Asinelli, li quali furono già pe' lor gran meriti portati in cielo; et sino al dí d' hoggi quelle due stelle che sono nel segno di Cancro chiamansi, da' Latini, Aselli » (car. 5). Io, dice fra Cipolla, vidi questo Travaglino, passando una volta d' Arcadia; e mi sembrò cosí dolce, gentile e accorto che me n'innamorai piú che avessi mai fatto per fanciulla « bella et avvenevole»: tanto che « se non havessi havuto danari per comprarlo, me stesso col cappuccio e col Breviario impegnato havrei, anzi che mancar di sí vezzoso animalino » (car. 5 t.). Acquistatolo e recatolo con me, ne ritrassi grandi vantaggi. Quando andavo alla cerca, « venivano le baldanzose e lascivette contadinelle, recandomi a gara pane, vino, cacio, burro, e sovente trahevansi il lino delle conocchie e me lo davano, sol perché acconsentissi che al lor piacere vagghegiassero et solletticando vezzeggiassero il mio bel Travaglino » (ivi). Tutti gli facevan festa, tutti i bifolchi e i pastori lo amavano più che un fratello. Qui seguono grandi lamentazioni per la morte di Travaglino che, certo, ora vive beato nel « paradiso delli Asini » ma che ha lasciato in amare angoscie lui e gli altri frati di cui era la consolazione e il sostegno. Ballava in un modo maraviglioso, era piú agile di un daino, di un capriolo e di un cervo: perciò non è da stupirsi se alcuni « volendo dire i Scrittori toscani, che alcuno destro sia, dicano: egli è isnello; quasi dir vogliano l'è come un Asinello, benché la parola sia alquanto corrotta, sí come in ogni lingua

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