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Caratteristica al sommo grado è la Sferza degli Scrittori, pubblicata dal Lando collo pseudonimo di Anonimo d' Utopia. Che sia di Ortensio si rileva dalla lettera a lui diretta da Pietro Aretino, nella quale certamente si allude alla Sferza battezzandola fulmine de i poeti. Dalla qual lode lusingato e, forse, desideroso di mettersi a pari dell'Aretino stesso che si chiamava flagello dei principi, il Lando, fra gli Oracoli de' moderni ingegni, ne pose alcuni « dello flagello de' scrittori Anonimo di Utopia ». Nel Ragionamento poi fra un cavaliere e un solitario, quest'ultimo, sotto cui il Lando rappresenta sé stesso, interrogato dal cavaliere qual'è il suo nome, risponde: « Anonimo mi chiamo »3. Dal che apparisce chiaramente esser la Sferza degli Scrittori opera sua.

1 La sferza di scrittori antichi et moderni di M. Anonimo di Utopia alla quale, è dal medesimo aggiunta una essortatione allo studio delle lettere. Con privilegio. In Vinegia MDL.

2 Car. 51 t. 3 Pag. 167.

La lettera di dedica che precede la Sferza è indirizzata << al Signor Benedetto Agnello Imbasciatore del Duca de' Mantovani ». Dice in essa il Lando di aver sognato di ritrovarsi in casa di un suo amico; «e parvemi» continua, « che, veggendovi una copiosissima libraria, incominciassi alla pazzesca (come soglio) a flagellargli. Svegliato finalmente da longo e profondo sonno, diedimi a scrivere quanto sognato mi haveva »: e a voi dedico questo mio scritto « per raggioirvi la mente da importantissime occupationi quasi che del continovo ingombrata ».

Incomincia dunque a raccontare questo suo sogno immaginario, e si rivolge a un signor Toso rimproverandolo di accumular tanti libri e di empirne la casa. Se la moltitudine dei libri ci facesse doventar dotti, allora andrebbe bene; ma invece « confonde l'ingegno et indebolisce la memoria » (car. 3). Non ve n'è uno che non abbia mille difetti, sí per « l'instabilità et incertezza delle scientie » e sí per le « imperfettioni che sono ne gli istessi authori» (car. 3 t.). Da questo punto principia il Lando a passare in rivista prima gli antichi e poi i moderni, e davvero li flagella alla pazzesca, come egli medesimo dice.

Il primo ad essere malmenato è Platone, che Ortensio chiama favoleggiatore piuttosto che filosofo. Egli canzona « quelle sue mostruose Idee »; annovera molte Papolate da lui scritte, come, per es., « che le piante sieno sensate; che le moglie esser debbano communi et commune la figliuolanza; che le Anime stieno nel cerchio della luna e d'indi, come per un canalletto, infundersi ne gli humani corpi »; pone in

ridicolo << il libro delle diffinitioni di Platone da Speusippo scritto», dicendo: se voi lo leggete e « non smascellate dalle risa possa io scoppiare » (ivi). Vien quindi a parlare di Aristotile, il quale, dice, « non seppe distinguere i nervi dagli legamenti, non seppe se il Muscolo fosse carne, non seppe se le vene havessero lo principio dal cuore o dal fegato, non seppe donde ne trahessero i nervi l'origine loro » (ivi), e tante altre cose non seppe ed in tante altre sbagliò. Ippocrate ha tra i suoi Aforismi « alcuni falsi et bugiardi », altri « mirabilmente sciocchi, come sarebbe che dopo lo travaglio sia buono il riposo » (car. 4). Galeno è un gran Cicalone » ed « è poi sí smoderato vantadore che se io non sapessi ch'egli fosse Pergameno, crederei ch' ei fosse Portughese » (ivi). Nessuna utilità si ricava da Dioscoride e da molti altri filosofi; nessuna da Averroé. Che cosa infatti si potrebbe imparare da lui? « forsi quella unità dell' intelletto o quella sua vana copulatione dell' intelletto agente con l'intelletto possibile? ..... forsi ........... quella sua forma sostantiale sempre congiunta con la materia prima »? (car. 4 t.-5). Egli era ignorante in tutto, non sapeva neppure il greco: e tuttavia « hebbe ardire di voler isporre Aristotele che fu, per la sua molta oscurità, detto Sepia » (car. 5). Albumasar è un uomo << pieno di pazze imaginationi e piú vago di apparir dotto che di esser in effetto »; Algazel è simile « ad una zucca piena di vento »; Alessandro d'Afrodisia « piú studioso dell'elegantia che della verità, e рій del convenevole prolisso »>< (ivi).

.....

In tal modo Ortensio Lando strapazza molti altri

filosofi e matematici dell' antichità, fra i quali ultimi Euclide che, a detta sua,« propone le sue propositioni senza punto dimostrarle. E desiderasi in esso ordine men perverso, imperoché tratta primieramente della Geometria et poi dell'Aritmetica; né si avvede (lo sciocco) che la Geometria presuponga l'Aritmetica della quale indugia a trattarne sin' al settimo, all'ottavo et al nono: e se pure nel quinto ne tratta, ciò fassi in astratto e non particolarmente » (car. 6). Viene poi la volta d'Omero, di cui il bizzarro cinquecentista, divenuto censore e giudice di tutti i più grandi uomini, sa coglier bene il lato ridicolo, o, meglio, quel lato che, per non corrispondere piú alle condizioni della società e civiltà moderna, può facilmente prestarsi alla parodia. « Come è poi possibile» scrive, « che sofferir possiate, legendo Omero, quel tanto ripettere tòv · δ ̓ ἀπαμειβόμενος, τὸν δ ̓ ἀπαμειβόμενος, e ὡς ἔφατο, ὡς ἔφατο 19 Et a cui non sono moleste quelle tante imbasciate fatte sempre con le medesime parole? Come potete sofferir pacientemente tante sue inettie? Minerva haver gli occhi hor di bue, hor di civetta; introdure i cavalli di Achille a favellar col suo signore; lodar i Greci hor dall'esser ben instivallati e tall' hora d'haver la chioma longa: indure che Andromaca faccia la zuppa a' cavalli di Ettore suo marito; introdur che Achille (sí gran capitano) dirottamente pianga, per essergli tolto dal suo Re una vil feminella; scriver di più che gli huomini mortali feriscano gli Iddii immortali. Taccio

1 Il Lando non adopera mai le lettere greche. Cosi, in questo -caso, scrive: « Tondapamivomenos Tondapamivomenos e os ephato os ephato».

tante brutte similitudini, come sarebbe per essempio: egli era nero, come è il vino nero; Achille struggeva le squadre Troiane come l'Asino affamato gli poponi; et altre simili da far per istomacaggine uscir le pietre de' muri » (car. 6-6 t.). Neppur la magnifica similitudine dell'asino poté trovare grazia presso lo strano flagellatore!

Aristofane non è trattato meglio di Omero. In lui si desidererebbe « menor rabbia di maldire, ispetialmente verso di Socrate che santissimo fu dall'oracolo giudicato »; e invece questa rabbia era tale che « fu sforzato il magistrato di raffrenar con acerbo divieto la costui sfrenata bocca» (car. 6 t.). Inoltre, ei compone« vocaboli sí mostruosi che paiono piú tosto atti a scongiurare un cimitero anzi che ad esprimere alcun bel concetto. Siavi di ciò per essempio quel bel vocabolo σφραγιδονυχαργοκομήτης '. Taccio le sporeitie quai racconta nel Pluto, volendo dire che ogni cosa si faccia per il danaio. Plutarco fa comparatione di lui a Menandro, et afferma con diffuso sermone ch' egli usi un parlar sordido, buffonesco et odioso, e per tanto esser grato a gli ignoranti e spiacevole a' dotti. Fu costui etiandio il più avaro huomo che mai calcasse terra» (car. 6 t.-7), Licofrone è molto oscuro »; Euripide, a detta dello stesso Aristotele, non ha « buona dispositione nella sua Poesia, la onde per il suo perturbato ordine payiμslov i Greci lo chiamarono » (car. 7).

1 Questa parola, usata da Aristofane nelle Nubi al v. 332, il Lando la scrive erroneamente sfragidognicargocomite.

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