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dica o che si scriva »'. Manca pure il catalogo dei moderni adulteri, e la ragione che il Lando adduce è molto pratica. « Se io non temessi » egli scrive, « che mi fusse danneggiata la pelle, tratterei dei Moderni adulteri, percioché mi sento di havere ampijssimo campo di poterlo fare. Pure io il farò, ma terrollo celato fin che ito sia in luogo dove poca auttorità habbiano gli archibugi, le spade et i pugnali; né si perdonerà a Re, a Duchi, a Principi, a Conti, a Marchesi, a Papi, a Cardinali, a Vescovi, a preti et ad Arcipreti ». Anche il catalogo de' moderni ingiusti è omesso, e il Lando si sfoga con queste parole: « Riserbo questa parte ad altro tempo, che non vi saranno tanti interdetti né si chiuderà la bocca né si vieterà che l'huomo non scriva la verità. Lascisi stare di peccare, e non vi saranno riprensori »3. Allo stesso modo mancano altre serie di moderni che qui è inutile rammentare.

Interessante è una lettera del Lando a Lucrezia Gonzaga posta in fine al volume, sí perché ci mostra quale fosse il primo intendimento di Ortensio e come egli avesse orginariamente concepito il lavoro, sí perchè ci fa conoscere la vera causa di quelle tali mancanze di cataloghi di cui abbiam parlato. Ortensio voleva da prima << registrare solo i moderni »; poi, « per non parere satirico et mordace », vi aggiunse anche gli antichi. Ma sembra che, malgrado questo espediente, tanto satirico e mordace egli fosse riuscito, da non ottenere dal governo veneto il permesso di pubblicar l'opera nella sua integrità. Voi, scrive a Lucrezia, se

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qualcuno accusasse il mio libro di non esser completo e di non contenere « i scelerati moderni, gli ammazzatori, i disleali et altri tai peccatori », voi difendetemi « col dire che i Signori Vinitiani ciò non hanno voluto et hannogli fatti scancellare ». Interessante è pure questa lettera a Lucrezia Gonzaga, perché vi sono indicate le fonti di cui il Lando si serví nella compilazione di questo libro: « si come tolto haveva gli essempi vecchi dal Sabellico, dal Volterrano, dal Fregoso, dal Calphurnio, da Domitio, dal Bergamasco Cronichista, ultimamente dal Testore ..... cosí havea etiandio tolto dalla bocca de fedeli e veraci huomini la relatione de i moderni essempi ».

Dice Ortensio, nella lettera dedicatoria del secondo libro, al cavalier Pompilio Luzzago: « Scritto che io hebbi il primo libro de' miei cathalogi, subito lo diedi a leggere ad alcuni giuditiosi, i quali affermandomi con giuramento che tal opera sarebbe grata a chiunque la leggesse, passai più oltre e puosi mano al secondo libro, il quale, non essendo men grato del primo, presi partito di indirizzarlo a V. S. ecc. »1. Evidentemente, o il Lando s'ingannava o quei giuditiosi uomini gli avevan giurato il falso o nel Cinquecento si provava gusto a certe letture che sono per noi, non soltanto noiose, ma addirittura impossibili. Infatti, come si può leggere un catalogo di 563 pagine? Non si tratta qui di un libro dilettevole e, tanto meno, artistico, ma semplicemente d'un' opera di consultazione. E si noti che anche il consultarla riesce alquanto noioso e dif

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ficile per non essere punto ordinata, ma, anzi, disordinatissima e senza nessuna regola direttiva. Chi s'immaginerebbe, ad esempio, di dover cercare Lorenzo Valla nel catalogo dei moderni invidiosi? Eppure, proprio fra gl' invidiosi egli è compreso, perché « grande invidia portò costui al Poggio, né per lui mancò di non fargli tutto quello oltraggio ch'ei puoté fare e con la penna e con la lingua »1.

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Fra tutte le opere del Lando, quella piú ricercata dai bibliografi è la raccolta di Varii Componimenti 1. Questi componimenti sono: Quesiti amorosi con le risposte; Dialogo intitolato Ulisse; Ragionamento occorso tra un Cavalliere, et un huomo soletario; Alcune novelle; Alcune favole; Alcuni scroppoli, che sogliono occorrere nella cottidiana nostra lingua.

Dei Quesiti amorosi non parlo, perché, essendo compresi nei Quattro libri di dubbi, mi par piú opportuno esaminarli insieme a questi.

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Il Dialogo intitolato Ulisse è preceduto da una lettera di dedica « agli illustri Et honorati Signori il Sig. Giberto Pio e la Signora Isabella da Coreggio », nella quale dice che, quantunque la presente opera paia piccola cosa, « ella non ha però potuto conse

1 Vari componimenti di M. Hort. Lando, nuovamenti venuti in luce. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, e fratelli MDLII.

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guire la perfettione che le si vede havere, senza volger sossopra di molte carte ». L'argomento del Dialogo è il seguente: « Ulisse, dopo l'ispugnatione di Troia, andò venti anni peregrinando; tornato finalmente a casa, egli racconta a Thelemaco suo figliuolo tutte le cose memorabili ch'esso ha veduto ». Francamente, se c'è libro noioso e pesante è questo Dialogo del Lando: almeno tale è l'impressione che n' ho provato io, leggendolo. È infatti un componimento rettorico, artificioso, scritto coll' unico scopo di accumular notizie favolose e impossibili. Inoltre, è disordinatissimo; tanto disordinato che lo stesso autore fa dire a Telemaco: « Di una sola cosa mi rincresce bene, che, si come perturbatamente gli vedeste (tanti paesi), agitato dall' ira de' venti e da ferina rabbia impaurito, cosí siate anchora sforzato narrarmele con poco ordine »'. Si possono forse distinguer nel Dialogo tre parti: la prima dove Ulisse parla dei mari, monti, fiumi, laghi, fontane, ecc. che ha veduto nelle sue peregrinazioni; la seconda dove discorre dei varii costumi dei popoli da lui visitati; la terza dove descrive le singolarità e la « stravagante natura» di tutti gli ani mali che ha visto, e i monumenti e le cose piú maravigliose del mondo. Ma è una divisione meccanica, e quasi nascosta sotto l'ammasso di notizie di varia natura che si succedono senza ordine alcuno.

Quello solo che v'è di curioso in questo Dialogo è il contrasto fra il personaggio mitico di Ulisse e le parole che, in alcuni luoghi, il Lando gli fa dire. Ulisse,

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