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leva acconsentirmi. Io allora ne parlai con una mia contadina, alla quale talvolta si recava, quando io non c'ero, la donna a fare una visita: e, combinato tutto con lei, un giorno mi nascondo in camera e, appena entra la gentildonna che veniva a vedere se ivi fosse la mia contadina, l'abbraccio strettamente. Ella non si turba punto, si mostra anzi lietissima dell' avventura, benedice questo giorno in cui potrà goder del mio amore. Poi, levatasi il cangiante e le pianelle, fatto nasconder me sotto il letto col pretesto che non fossi veduto, chiama la serva che era venuta con lei e l'attendeva all' uscio di strada e le dice che porti via quella roba perché essa ha voglia di dormire. Ma intanto, sotto pretesto di chiudere l'uscio per di dentro, si allontana dal letto ed esce d'un salto dalla camera; << ond' io restai uno stivale, una bestia insensata et uno sciocco »>, ed essa « con la solita allegrezza sua se ne andò ». Come si vede, i due racconti del Lando e del Doni sono press' a poco identici.

Novella terza 1. Un medico, Marsilio Coradello, assai attempato, ha in moglie una giovinetta, Fenice, figlia di Tolomeo Stella bresciano. Il marito la trascura per l'amore che porta ad una fanciulla colla quale passa abbastanza spesso la notte in casa di una certa Giannina Trecca. Allora Fenice pensa di abbandonarsi all'amore del giovane Vitelliano Barbisoni: il quale, ottenuti per danaro dalla Giannina gli abiti del

1 << In questa novella si narra una leggiadra beffa fatta da una giovane moglie ad un attempato marito, e s'impara che chi cerca di godere dell' altrui altri spesso gode del suo ». La novella è a pag. 208-213.

dottore, entra, vestito d'essi, nella casa di lui, non conosciuto dai servi, e si gode la bella Fenice. Questo giuoco si rinnuova piú volte. Finché una notte, mentre Vitelliano è con Fenice e Marsilio colla fanciulla, giunge improvvisamente alla casa di Giannina Trecca un suo figliuolo, il Traverso, pessimo soggetto, perseguitato dalla sbirraglia. Irrompe nell'abitazione, vede il medico che cerca i suoi panni per andarsene, e gli si fa furiosamente addosso col coltello. Marsilio, preso dalla paura, fugge via, cosí ignudo com'era, malgrado che piovesse e tirasse vento, e corre a casa dove chiede che gli aprano. Ma la moglie, fingendo di non riconoscerlo e di crederlo un disturbatore, gli dice molte villanie e gli scaglia contro una grossa pietra che per poco l'uccide. Il medico deve dunque tornarsene sconsolatamente indietro: e, per di piú, imbattutosi negli sbirri, è messo in prigione né rià i panni fino alla inattina seguente. Tornato poi a casa, deve succhiarși umilmente gli aspri rimproveri della moglie che lo biasima di passar la notte fuori, lasciando che ubriachi e uomini di mala vita vadano a bussare alla sua porta.

L'episodio del marito chiuso fuori di casa è comunissimo nelle novelle: sembra che la fonte primigenia (ma lo stabilir la fonte precisa è sempre cosa malagevole) sia un breve racconto del libro indiano del Pappagallo [Çukasaptati]1. Lo troviamo poi nel Romans de Dolopathos, nella Disciplina clericalis di

1 V. a questo proposito Novelle di Giovanni Sercambi, pubblicate da A. D'ANCONA. Bologna, Romagnoli, 1871 (Scelta di curios. letter. ined. o rare, Disp. CXIX), annotaz. alla novella VIII, pag. 281.

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Pietro Alfonso, nelle varie redazioni dei Sette savi1 e il Boccaccio ne forma l'argomento della novella quarta della settima giornata. In questa novella boccaccesca, Ghita moglie di Tofano, approfittandosi della passione del marito per il vino, lo fa spesse volte ubriacare: poi, messolo a letto, o introduce il proprio amante in casa o va essa stessa a trovarlo e a passar la notte con lui. Ma Tofano, insospettitosi, una sera fa vista di esser cosí ebbro che la moglie, senza farlo bere di piú, lo mette a dormire, e poi si reca dal suo amante e vi si trattiene fino alla mezzanotte. Il marito frattanto, reso ormai sicuro che Ghita lo tradisce, alzatosi da letto, la chiude fuori. Essa prega che le apra, ma egli dice che torni di dove è venuta. La donna allora ricorre a uno strattagemma: levando grandi lamenti, finge di gettarsi in un pozzo, e invece vi getta una gran pietra. Tofano che sente il rumore corre subito fuori di casa per aiutar Ghita, ma questa, non veduta, rientra, chiude fuori lui stesso, e, fattasi a una finestra, comincia a sgridarlo come ubriaco e libertino che passa la sera alle taverne « e poscia torna a questa otta ». Egli, dal canto suo, vedendosi beffato, replica e dice villanie alla donna; essa insiste; alle grida corrono i vicini e dan torto a Tofano; giungono poi i parenti della moglie e danno al marito una quantità

1 Per queste notizie, e per i rapporti fra le diverse redazioni del racconto e la novella del Boccaccio, v. LANDAU, Die Quellen des Dekameron (Zweite sehr vermehrte und verbesserte Auflage). Stuttgart, Scheible, 1884. Pag. 79, 92, 262-264. Vedi pure la tabella dei racconti contenuti nelle principali elaborazioni dei Sette savi: Uebersicht der in den wichtigsten Bearbeitungen der Sieben Weisen enthaltenen Erzählungen.

di busse: finché avviene la riconciliazione, e Tofano permette alla donna che faccia « ogni suo piacere »1.

Il Sercambi tratta nella novella ottava lo stesso tema de geloso et muliere malitiosa », differendo dal Boccaccio in ciò che, tornata la donna dopo la rappacificazione agli antichi usi, una sera il marito la colpisce con una scure alla testa e la uccide. Questo motivo, del marito chiuso fuori di casa, entrò anche nella drammatica. Andrea Calmo, per es., nella sua Rodiana, trae da esso l'ispirazione di un burlesco episodio, nel quale il vecchio Cornelio è tradito e beffato dalla propria moglie Felicita 2.

Il Lando introduce importanti novità. Abbandona la circostanza del restar chiusa fuori di casa, per la prima, la moglie, e getta tutto il danno e le beffe addosso al marito. Egli solo, in punizione del suo tradimento, trova sbarrata la porta di casa: e si noti che è nudo, e che di fuori fa un tempo indiavolato, e che, per colmo di sciagura, gli tocca ad andare in prigione. La moglie poi finge di non riconoscerlo, a differenza delle mogli delle altre novelle: lo grida sí e lo vitupera, ma, la sera, come un estraneo qualunque; e, la mattina, quando egli è ritornato dalla prigione, come marito ma unicamente perché, passando la notte fuori, la lascia sola ed esposta al pericolo di dover aprire a dei birbaccioni come quello della sera innanzi. La soluzione del Lando è più comica e piú spiritosa

1 Ho sott'occhio l'edizione di Firenze, Barbèra, 1871.

2 V. Rossi, Le lettere di messer Andrea Calmo. Torino, Loescher, 1888. Pag. XLIII.

di quella degli altri novellieri, restando il marito piú compiutamente e argutamente ingannato.

Novella quarta '. - Manfredi re di Navarra, per le sue crudeltà, eccita una ribellione nel popolo che incendia il palazzo reale, ed egli a fatica si salva col figlioletto Vitrio. Dopo molto peregrinare, giunge a Siena ed, essendo caduto infermo, viene ricoverato nell' Ospedale della Scala. Qui, prima di morire, svela l'esser suo, si pente de' suoi peccati e al figlio raccomanda queste quattro cose: che mai non lasci la via vecchia per la nuova; che non si accosti ad altra femmina che alla propria sposa; che non prenda moglie se non l'ha prima veduta e se non la stima di nobiltà pari alla sua; che non ferisca mai alcuno « se prima tre fiate il coltello non cavi e tre volte il rimetta». Muore Manfredi, gli son fatti splendidi funerali e Vitrio è condotto dal suo nonno materno, Severo re di Spagna. Questi lo accoglie come figliolo e, all' età di 16 anni, gli dà in moglie Cillenia figlia del re di Portogallo. Dopo non molto tempo, Vitrio, ammalatosi, fa voto di visitare il Sudario di Roma e Gerusalemme; e, ricuperata la salute, parte. Vicino all'isola di Cipri, è colto da una tempesta, la galea s'infrange sulle coste di Soría ed egli alla meglio si salva con molti compagni. Cammin facendo, egli arriva a due strade: una vecchia e spinosa, l'altra nuova ed ampia. Alcuni cavalieri, suoi compagni di viaggio, prendono questa

1 << In questa novella s'impara quanto dannosa cosa sia il non saper giustamente Signoreggiare, et appresso quanto giovevole sia l' ubbidire a' Precetti Paterni ». Pag. 214-223.

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