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ranei, essendo forza pertanto ricorrere alle congetture, noi pure ci appiglieremo a quella seguitata dallo Zeno, dal Tiraboschi, e dal Poggiali, i quali, notato il tempo in cui cessarono a un tratto di venire in luce nuovi libri del Lando, né piú se ne udí novella come d'uomo vivo, intorno a quel tempo medesimo stimarono dover esser stato il termine del viver suo. Senonché ingannati costoro dalla data apposta alla ristampa di qualche suo libro, che eglino per avventura non videro, reputandola da lui medesimo procurata, ne protrasser la vita fino al 59 o al 60 del secolo. Noi non seguiteremo in questo la costoro opinione; e poiché ci rendemmo certi, che ultima fra le cose stampate dal Lando è una lettera a Lucrezia Gonzaga de' 20 dicembre 1552 (In fine ai Cataloghi); che dopo quest'anno non comparve libro in cui questi avesse la menoma parte; e che le ristampe di opere sue venute fuori dopo il 1553 non presentano il piú leggiero indizio che l'autore fosse tuttavia tra i viventi, non dubiteremo di porre il termine della sua vita al 53 o poco appresso »'. Ed io, finché non venga fuori qualche documento a provare il contrario, accetto pienamente l'opinione del Bongi.

Ortensio Lando fu uomo stravagantissimo, volubile, paradossale, facile, com' egli stesso confessa, ad abbandonarsi allo sdegno, insofferente di servitú quando questa fosse, o gli sembrasse, troppo servile. « Per ubbidire a chi debbo » egli scrive

1 Loc. cit., pag. xx-xxII

nei Sette libri di Cataloghi « e chi meno di ogni altra persona me lo doveva commandare, registro questo solo [Hortensio Lando] fra i collerici et i sdegnosi. Costui, per la sua collera ardente, e subitana, è più volte caduto in gravissime infermità. Essendo, nella città di Napoli, molto vezzeggiato da chi non era egli degno di trargli le scarpette, per una sola parolina ruppe e spezzò una nobile amicitia che gli recava honore, utile e diletto. Molte altre amicitie sí di donne come anche d' huomini hassi gittato dopo le spalle, sol guidato dalla sua dannosa collera. Essendogli stato donato un buono et utile podere, per isdegno lo riffiutò. Tutte le volte ch' egli si adira con alcuno suo padrone o padrona, subitamente lor restituisce quanto mai ricevette di cortesia; e sia di qual prezzo si voglia, in lui può più lo sdegno che l'amore, che l'obligo e che non può la data fede. Credo io fermamente ch' egli non sia come gli altri huomini composto di quattro elementi, ma di ira, di sdegno, di collera e di alterezza »'. E altrove dice di esser pieno « d'ira e di disdegno, ambitioso, impatiente, orgoglioso, frenetico et inconstante »2.

2.

Qui, certo, egli carica le tinte, per quel ramo di pazzia che, indubitabilmente, aveva. Il qual ramo di pazzia è causa che, anche per l'aspetto fisico, egli ci dia di sé stesso un ritratto assolutamente mostruoso. Nei Sette libri di Cataloghi, parlando dei moderni brutti, scrive: « Di Ortensio Lando. Ho cercato

1 Pag. 99-100.

2 Confutaz. de'Parad., car. 3 t.

a' miei giorni molti paesi, sí nel Levante come anche nel Ponente, né mi è occorso vedere il più difforme di costui. Non vi è parte alcuna del corpo suo che imperfettamente formata non sia. Egli è sordo (benché sia più ricco di orecchie che un asino); è mezo losco; piccolo di statura; ha le labra di Ethiopo, il naso schiacciato, le mani storte; et è di colore di cenere, oltre che porta sempre Saturno nella fronte »1. Un Quasimodo addirittura, a cui manca solo la gobba! Né è possibile credere che egli fosse realmente quale si descrive: ma, siccome, in mezzo a tante stravaganze, un fondo di verità ci doveva pur essere, noi riterremo che egli fosse davvero piccolo di statura e debole di complessione. Ciò resulta da un altro ritratto che fa di sé medesimo, poco bello anche questo, ma assai più verosimile del sopra citato. « Egli in prima » fa dire al confutatore de' suoi Paradossi « è di statura picciola anzi che grande, di barba nera et afumicata, di volto pallido, tisicuccio e macilento, d'occhio corbido e poco acuto, di favella et accento lombardo quantunque molto si affatichi di parer Toscano »2. E nel Commentario delle cose d'Italia, scrive: « io mi ritrassi nel mio albergo [a Correggio] e, come piacque al Re del cielo, la seguente notte fui sovragiunto da una febbre assai più spiacevole di quello che havrei voluto e che sarebbe stato di bisogno a sí debol complessione »3.

3

1 Pag. 18.

* Confutaz. de'Parad.. car. 3 t.

3 Car. 19 t.

Poco bello, dunque, di corpo e d'animo: ecco quale ci apparisce Ortensio Lando dai ritratti che egli medesimo ci ha lasciato di sé. E, per l'animo, abbiamo un'altra testimonianza, quella di Giov. Angelo Oddone, che di lui cosí scrive a Gilberto Cousin: « Audies hic alterum aeque Ciceronianum, hoc est pietatis, Graecae linguae, ac disciplinarum contemptorem, qui edidit Dialogos revocati ac relegati Ciceronis. Ipse vero relegatus, ac non revocatus in Italiam; in qua tota, nedum in patria sua metuit agnosci, ideoque sibi conscius, nomen in frontispicio suppressit; sed nobis Bononiae intus et in cute cognitus est. Lugduni vero hoc nobis repetebat Apophtegma: alii alios legunt, mihi solus Christus et Tullius placet, Christus et Tullius solus satis est, sed interim Christum nec in manibus habebat, nec in libris: an in corde haberet, Deus scit. Hoc nos ex ejus ore scimus, illum cum in Galliam confugeret neque vetus neque novum Testamentum secum tulisse pro itineris ac miseriae solatio, sed familiares Epistolas M. Tullii. Hujus et fortunam tali vita dignam (quam tamen Dei revocantis plagam Phryx nondum sentit, utinam tandem sentiat) et levitatem et mollitiem, et mores minime religiosos paucis descripturi fueramus, nisi eadem improbitate ac petulantia esse sciremus omnes, quotquot hujusmodi propius nosse contigit, ex istis simiis Ciceronis »1. Noi non abbiamo il diritto di negare tutti questi difetti: sennonché, come, per ciò che il Lando afferma di sé

1 V. NICERON, loc. cit., pag. 115-116.

stesso, è chiaro, (l'abbiam già osservato), che egli esagera molto, cosí questa lettera dell' Oddone sembra ispirata da un mal animo, da un' inimicizia personale di lui verso il Lando medesimo 1; e quindi la leggerezza, la mollezza, la petulanza, l'improbità che gli rimprovera potrebbero esser benissimo un' accusa, in gran parte almeno, infondata. Del resto, qualche lato buono sembra esserci stato nel suo carattere. Quando rammenta i genitori, mostra affetto per essi; quando rammenta i maestri, usa a loro riguardo parole riverenti; la memoria del suo precettore Celio Rodigino lo sforza a piangere di tenerezza. A ciò aggiungasi indipendenza di giudizio e ripugnanza all' adulazione, come resulta da certe sue parole, alle quali non pos-siamo non prestar fede perché sono confermate dall'opere stesse di lui2: « Dimandato [Agostino Landi]

1 Ciò fu notato anche dal Bongi, il quale, a proposito delle parole Ipse vero relegatus ecc. scrive (loc. cit., pag. ix-x): « Le quali parole dell' Odone danno assai motivo di sospettare non egli nutrisse per avventura alcun malanimo contro il Lando; imperocché lasciando che il fatto dell' esiglio non è asserito, né pro-vato da veruno scrittore, certo è che egli spacciava il falso, quando asseverava che il Lando non sarebbe potuto tornare in Italia; mentre invece nell'anno stesso 1534, e cosí prima della lettera dell' Odone, egli vi era di nuovo, e ne percorreva le contrade a bell' agio senza disturbo o impedimento di sorta. Laonde il racconto dell' Odone è in questa parte smentito dal fatto, se pure non si abbia a creder falso anche nel rimanente ».

2 Fanno eccezione i Due Panegirici nuovamente composti, a proposito dei quali il Bongi (Ann. di Gabr. Giolito de' Ferrari, vol. I, fasc. III, pag. 363) scrive: « Il Landi lasciò di rado nei suoi libri sfuggire l'occasione di portare a cielo la marchesana della Padulla, cioè Maria Cardona, e Lucrezia Gonzaga; ma in questo opuscoletto tante e tali sono le lodi delle bellezze e delle virtù. loro, che se esse accettarono di buon cuore il cortese dono del

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