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Sfortunato, ho detto, anche nella fortuna, Ortensio Lando: ché non gli valsero né gli studii dei dotti né l'inno del poeta. E in questo nostro secolo, cosí pieno di critica, cosí fecondo di ricerche, cosí benevolo, forse anche troppo benevolo, per i dimenticati, è ancora un ignoto, un Carneade: non potendosi chiamar conoscenza quella nozione, per lo più unicamente bibliografica, che hanno di lui gli eruditi.

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La maggior parte delle opere del Lando sono stampate anonime o con nomi finti: ma, poiché egli stesso ci offre quasi sempre il mezzo d'indovinarne l'autore, cosí possiamo, senza molta fatica, ristabilire, il piú delle volte, la verità. Questo è precisamente il caso dei due dialoghi su Cicerone1, i quali portano in fronte la seguente dedica: « Pomponio Trivultio H. A. S. D.

<< Posteaquam mihi nunciatum est amplitudinem tuam morbo implicitam esse, existimavi, pro mea in

1 Cicero relegatus et Cicero revocatus Dialogi festivissimi. Impressum Venetiis per Melchiorem Sessam: Anno domini MDXXXIIII. A questa ediz. si riferiranno le mie citazioni. I due dialoghi furono pubblicati per la prima volta a Lione nel medesimo anno 1534. Del resto, per la bibliografia di questi, come delle altre opere del Lando, non avendo io nulla di nuovo da aggiungere, rimando al Tiraboschi, Fontanini, Zeno, Poggiali, Bongi e, in modo particolare, al BRUNET, Manuel du libraire et de l'amateur de livres, Paris, Firmin Didot, 1860-'64, e GRAESSE, Trésor de livres rares et précieux ou nouveau dictionnaire bibliographique, Dresde, Rudolph Kuntze, 1859-'69.

te Trivultiumque nomen singulari observantia, non alienum me facturum, si de allevando isto tuo morbo cogitarem. Mitto itaque hasce facetas narrationes, quas si eo verborum splendore non exornavimus, ut par erat, pro tua incredibili facilitate ignosci pervelim. Vale »'.

Arrigo Luigi di Abin (Castanaeus Rupipozaeus),forse interpetrando, come suppone il Fontanini, le lettere H. A., Hieronimus Aleander, attribuisce i dialoghi a quest'ultimo, ponendoli fra le varie operette exilis argumenti che dice aver egli scritto. Il Fabrizio, nella sua Bibliotheca latina, si mostra dubbioso là. dove scrive che il dialogo de Cicerone relegato et revo-· cato è « Hortensii ut volunt Landi », e dove trova una conferma del dubbio nella lettera dell' Oddone al Cou-sin 3. Pare a lui che l'Oddone distingua l'autore dei dialoghi da Ortensio Lando, ma, per verità, tale di-stinzione è semplicemente un parto della fantasia del Fabrizio. Abbiamo già riportato della lettera dell'Oddone il passo dove, senza rammentarlo e indicandolo

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1 Car. 1 t.

2 Nomenclator sanctae rom. ecclesiae cardinalium ecc. Lutetiae Parisiorum, apud Isaacum Mesnier, anno MDCXVI, pag. 131. Quelle lettere H. A. S. D. il Fontanini le interpetra Hortensius Anonymus scriptor Dialogorum, ma lo Zeno, in nota, lo corregge scrivendo: Ogni grammaticuccio, ogni scolaretto vede da sé, che quelle due ultime lettere iniziali S. D. sono la solita antica formula, né altro significava, se non, Salutem Dicit. L'interpretarla col Fontanini diversamente, Scriptor Dialogorum, è una sofisticheria, e una di quelle sottigliezze, che piacciono, a chi ancor nelle cose piú trite cerca misterj, e gitta polvere negli occhi altrui, per parer sin-golare» (II, 116).

3 Jo. Alberti Fabricii Bibliotheca latina, sive notitia auctorum veterum latinorum. Venetiis, MDCCXXVIII. Apud Sebastianum Coleti. Tomo I. pag. 159.

solo col titolo di ciceronianum, fa il ritratto di Ortensio Lando; terminato il quale, cosí continua: « Hic igitur nos deduxit ad inauspicatam avem (cioè a Stefano Doleto). Ante cubiculum strepitus ac pedor puerorum, Alphabeta opinor discentium. Hinc, ut scis, ejecti victum Tyranni quaeritare solent. Intus non memini, quid librorum esset exsuli. Inter loquendum protulit locum ex orationibus suis, ubi de Erasmo nescio quid agebat, non admodum acerhe ut visum est. Atque hunc recitari voluit ab Hortensio Lando, ne videlicet pronunciatione Gallica offenderemur »'. Non si vede proprio perché mai questo Hortensio Lando che legge le orazioni del Doleto non possa esser la stessa persona con quel ciceronianus che appunto a visitare il Doleto condusse Giov. Angelo Oddone.

L'errore poi del Rupipozeo lo confutò il Fontanini portando varie giustissime ragioni e rivendicando il dialogo al nostro Ortensio. Noi, per non indugiarci troppo su opinioni evidentemente sbagliate, citeremo solo un passo del Paradosso XXX che rende impossibile qualunque incertezza: «Non dubito certamente che molti non si habbino da maravigliare che anchora fatto non habbia la pace con M. Tullio, qual già sono poco meno di dieci anni ch' io mandai con suo gran scorno in esiglio ..... mi è paruto anchora ben fatto di dargline un' altra risciacquata, ritrovando nuovi errori che all' hora non havea ben avertito quando scrissi il dialogo intittolato Cicerone relegato ».

1 NICERON, loc. cit., pag. 116.

Incomincia a car. 2 il dialogo o, meglio, l'introduzione del dialogo. « Bellinzonam concesseramus » narra l'anonimo scrittore, ossia il Lando, « ego et Julius Quercens a cuius latere, ob excellens ingenium eximiamque doctrinam, ne latum quidem culmum aequo animo discedere possum », quando ci furon portate lettere di Filocalo colle quali egli ci annunziava che il nostro amico Filopono era infermo. Allora noi, invece di rimanere in campagna, come avevamo stabilito, ritornammo alla città e ci recammo alla casa del malato per fargli visita. E, appena entrati nella stanza, vedemmo seduti intorno al letto dell' infermo dottissimi uomini: Giovanni e Antonio Seripandi, Antonio Caimi, Geremia e Bassiano Lando, Cesare Casati, Gaudenzio Merula, Girolamo Garbagnani, Guglielmo Seva, ed altri; i quali tutti, al nostro apparire, si alzarono in piedi e ci fecero tanto onore come « si Deus aliquis e caelo in terra illapsus fuisset » (car. 3). Dopo i saluti e le oneste accoglienze, l'infermo, che sembrava già alquanto sollevato dal male, voltosi a me, si rallegrò del mio pronto ritorno e mi chiese che novità portassi. Io risposi che non portavo altra novità praeter Ciceronis libros de Gloria et selectiores aliquot orationes castigatissimas » (car. 3 t.). Ma, mentre credevo di far piacere a tutti con tale notizia, invece, contro la mia aspettazione, nessuno si rallegrò: e Geremia Lando, a cui chiesi ragione della cosa, rispose che si sarebbe bensí rallegrato se avessi portato meco qualche libro di teologia che lo infiammasse alle cose divine; mentre dei libri di Cicerone, aggiunse, « nihil posse pestilentius legi arbitror » (ivi). Allora Filopono

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