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altri due introduce un Ferecrate, Ftiota, vecchio, nato da Deucalione, il quale dice: Niente esser l'animo, ed esser questo un nome tutto vano, male animali, e animanti addimandarsi, nè nell' uomo esser animo, o auima, nè nella bestia. E tutta quella forza, oude operiam qualche cosa, o sentiamo in tutti i corpi essere egualmente diffusa, nè separabile dal corpo, come quella, che è niente, nè altro vi ha se non corpo uno, e semplice sì figurato, che per temperazione della natura si avvivi, e senta.

7. Che dirò di Dicearco, il qual dice niente esser l' animo?

8. Dicearco con Aristosseno suo eguale e condisce polo (tralasciando noi i dotti uomini), de' quali uno sembra nè pur dolersi, che non abbia animo, l'altro si compiace de' suoi canti in modo, che di tradurli si sforza a queste cose. Ma noi possiam conoscere l'armonia dagl' intervalli de' suoni, de' quali un vario comporre fa pure molte armonie: il sito de' membri, e la

» conosca quello, ch'è in lui essere un'anima dal » corpo distinta. E verissimo, ch' ei nol sente, nol » conosce, che ragionando ». Mi dia licenza il valentuomo di fargli riflettere, che qui Cicerone non ragiona contra Dicearco, ma riferisce la di lui sentenzia. Le parole = Quorum alter ne condoluisse quidem unquam videtur qui animum habere non sentiat significano, che Dicearco sì acremente sostenne non aver l'animo, che sembrasse non averne dolore. Così Pearcio (not. 41. ad Cic. l. c.): Sensus est: Dicaearchus ita acerrime disseruit, se animum non habere, ut ne condoluisse quidem, quod eum non haberet, videretur.

efficit membrorum vero situs, et figura corporis vacans animo, quam possit harmoniam efficere, non video. Sed hic quidem, quamvis eruditus sit, sicut est, haec magistro concedat Aristoteli, canere ipse doceat. Bene illo proverbio Graecorum praecipitur:

Quam quisque norit artem, in hac se exerceat.

9. Catervae (16) veniunt contra dicentium, non solum Epicureorum, quos equidem non despicio (17) sed nescio quomodo doctissimus quisque contemnit : acerrime autem deliciae meae Dicaearchus contra hanc immortalitatem animorum disseruit. Is enim tres libros scripsit, qui Lesbiaci vocantur, quod Mytilenis sermo habetur, in quibus vult efficere animos esse mortales.

i. Tenemus ne (18) quid animns sit? ubi sit? denique, sitne, an, ut Dicaearcho visum est, ne sit quidem ullus?

ta. Animae (19) vero, inquit, intereant. Nam quod cum corpore nascitur, cum corpore intereat necesse est jam superius dixi, differre me hunc locum melius, et operi ultimo reservare, ut hanc Epicuri persuasionem, sive illa Democriti, sive Dicaearchi fuit, et argumentis, et divinis testimoniis redarguam.

if Immortales (20) esse animas Pherecydes, et Plato disputaverunt: haec vero propria est in nostra religione doctrina. Ergo Dicaearchus cum Democrito erravit, qui perire cum corpore, ac dissolvi argumenta

tus est.

(16) Si è copiato da Cicer. l. c. cap. XXXI. p. 328. (7) quos equidem non despicio). Il senso: Gli Epicurei sono dispregiati da ogni uomo dotto; io però non gli ho a vile: ma Dicearco, uomo da non dispreggiarsi 8c.

figura senz' animo qual armonia possa fare io non veggo. Questi però tutto che erudito com' è, lasci ciò trattare. al suo Maestro Aristotele, egli insegni a cantare. Si dice bene in quel proverbio de' Greci:

» Quell'arte, che abbia ciascun apparato, in quella si eserciti ».

9. Vengono già le schiere di coloro, che la sentono all' opposito, non degli Epicurei solamente, che io al certo non dispregio, ma non so come ogni uomo dotto gli ha a vile. Dicearco però, mie delizie, pertinacemente dissertò contra questa immortalità degli animi. Egli tre libri ne scrisse, che si chiaman Lesbiaci (perchè il discorso si ha in Mitilene), ne' quali vuol provare gli animi esser mortali.

10. Sappiamo noi cosa sia l'animo? ove sia? Finalmente se vi sia, o piuttosto, come a Dicearco piacque, che non ve ne abbia alcuno?

11. Le anime, disse, periscono. Imperocchè quello col corpo, che nasce bisogna col corpo perire. Ma io ho sopra detto differire meglio questo luogo, e all'ultima opera serbarlo, affinchè ivi questa persuasione di Epicuro (o fu di Democrito, o di Dicearco) con argomenti confuti, e con le divine testimonianze.

12. Ferecide, e Platone essere immortali le anime disputarono questa e propria dottrina di nostra Religione. Erro adunque con Democrito Dicearco, il quale argomentò perire col corpo, e disciorsi.

(18) Si è copiato da Cicerone Academ. cap. XXXIX. T. 2. p. 67.

(19) Si è copiato da Lattanzio Div. Instit. lib. III. cap. XVII. T. 1. p. 236. ediz. Lutetiae Paris. 1748 =

=

(20) Si è copiato da Lattanzio l. c. lib. VII. de Vita Beata T. 1. p. 537. ediz. c. s.

ty. In eadem (21) sententia fuit etiam Pythagoras antea, ejusque praeceptor Pherecydes, quem Cicero tradit primum de aeternitate animarum disputavisse. Qui omnes licet eloquentia excellerent; tamen in hac duntaxat contentione non minus auctoritatis habuerunt, qui contra hanc sententiam disserebant, Dicaearchus primo, deinde Democritus, postremo Epicurus (22): adeo ut res ipsa, de qua inter se pugnabant, in dubium vocaretur. Denique et Tullius, expositis horum. omnium de immortalitate, ac morte sententiis, nescire se quid verum pronuntiavit.

to. Plurimis (23) vero argumentis colligi potest aeternas esse animas. Plato ait: Quod per se ipsum movetur neque principium motus, neque finem posse habere. Auimum autem hominis per se semper moveri, quia sit ad cogitandum mobilis, ad inveniendum solers, ad percipiendum facilis, ad discendum, capax, ut qui praeterita teneat, futura prospiciat, multarum rerum, et artium scientiam complectatur, immortalem esse, si quidem nihil habeat in se terreni ponderis labe concretum. Praeterea ex virtute, an voluptate intelligitur acternitas animae ? Voluptas omnis communis animalibus, virtus solius est hominis. Illa vitiosa est, haec honesta. Illa secundum naturam, haec adversa naturae, nisi anima immortalis est, virtus enim pro fide, pro

(21) Si è copiato da Lattanzio lib. VII. de l'ita Beata cap. VIII. p. 539. 540.

(22) Pietro Bayle (Dictionnaire art. Dicearque ) rapportando questo passo, accusa Lattanzio di anacronismo nel dire, che Dicearco fosse il precursore di Democrito quando non fiorì, che assai dopo. Al· lude Bayle alle parole – Dicaearchus primo, deinde Democritus, postremo Epicurus = • Altro non dice

13. Nel medesimo avviso fu pure antecedentemente Pitagora, el precettore di lui Ferecide, che Cicerone narra, essere stato il primo, che delle eternità delle anime disputasse. I quali, tutto che fossero in eloqueneza eccellenti, tuttavia non minore autorità in questa sola contesa ebbero chi contra ne dissertavano, Dicearco il primo, poi Democrito, finalmente Epicuro: in modo, che si poneva in dubbio la cosa stessa per la quale piativano. Finalmente Tullio, esposti dell' immortalità, e della morte i pareri di tutti costoro, disse, non saperne niente di vero.

14. Da molti argomenti si può capire esser eterne le anime. Platone dice: ciò che per se stesso si move non poter avere nè principio del moto, hè fine. L'animo però dell' uomo sempre moversi, perchè essendo mobile a pensare, sagace a ritrovare, facile a percepire, capace ad apparare, come quello, che del preterito si ricorda, il presente comprende, il futuro prevede e abbraccia la scienza di molte cose, e arti, fa d'uopo, che sia immortale, se al certo niente ha in se stesso di macchia mista di peso terreno. Innoltre, donde si comprende l'eternità dell' anima dalla virtù, o dal piacere? Il piacere tutto è comune agli animali, la virtù è propria dell' uomo. L' uno è vizioso, l'altro onesto. Quello conviene alla natura, questa n'è contraria, eccetto se l'anima sia immortale; perciocchè la

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Lattanzio, che in autorità furon riputati in primo luogo Diccarco, poi Democrito, finalmente Epicuro. Di fatto qui appresso Falsa est igitur Democriti, et Epicuri et Dicaearchi

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(23) Si è copiato da Lattanzio, ivi, c. 70. Div. Instit. p. 84.

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