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Che, come suole tremolare il latte

Ne' giunchi, si parean morbide e bianche:

E tutto'l vidi sfavillar nel viso.
Poscia accostossi pianamente a lei

Tutto modesto, e disse: o bella Silvia,
Perdona a queste man, se troppo ardire

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l'appressarsi alle tue dolci membra,

Perchè necessità dura le sforza :
Necessità di scioglier questi nodi;
Nè questa grazia, che fortuna vuole
Conceder loro, tuo malgrado sia.

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Ma disdegnosa e vergognosa a terra
Chinava il viso, e'l delicato seno,
Quanto potea, torcendosi celava.
Egli, fattosi innanzi, il biondo crine
Cominciò a svilupare, e disse intanto;
Già di nodi si bei non era degno
Cosi ruvido tronco: or, che vantaggio
Hanno i servi d'amor, se lor comune
È con le piante il prezioso laccio?
Pianta crudel, potesti quel bel crine
Offender tu, ch'a te feo tanto onore!
Quinci con le sue man le man le sciolse
In modo tal, che parea che temesse
Pur di toccarle, e desiasse insieme.
Si chinò poi, per islegarle i piedi,
Ma, come Silvia in libertà le mani
Si vide, disse in atto dispettoso :
Pastor, non mi toccar: son di Diana.
Per me stessa saprò sciogliermi i piedi.

Ei si trasse in disparte riverente,
Non alzando pur gli occhi per mirarla ;
Negando a se medesmo il suo piacere,
Per torre a lei fatica di negarlo.

Io, che m'era nascoso, e vedea il tutto,
Ed udia il tutto, allor fui per gridare :
Pur mi ritenni. Or odi strana cosa.
Dopo molto fatica ella si sciolse;
E sciolta appena, senza dire Addio,
A fuggir cominciò, com' una cerva;
E pur nulla cagione avea di tema,
Chè l'era noto il rispetto d'Aminta.

TORQUATO TASso. Aminta. Att. III, sc. I.

Galatea al fonte.

SUL compir de' quattro lustri

La vezzosa Galatea

Ai più candidi ligustri

Nel candore non cedea;

Colla gota rubiconda
Superava anche la rosa;
Risplendea la chioma bionda
Più dell' oro luminosa;
Ogni grazia in quel bel volto
La natura avea raccolto,
E la vaga pastorella
Conosceva d'esser bella.

Spesso a un chiaro ruscelletto
Ricorreva per consiglio,

Per dispor sul crin, sul petto,

La viola, il croco, il giglio,
E si bella si vedea

In quell' onde Galatea,

Che a quell' onde ad ogni istante

Curiosa ritornava ;

Di quel rio diceasi amante,
Di quel rio tanto parlava,
Che temè qualche pastore
Di veder su quella riva
Galatea (cangiata in fiore)
Avverar la fola argiva

Di colui, che al fonte appresso
Invaghissi di se stesso.

Presto accese il biondo Imene

Per costei l'amica face;

Cento ambian le sue catene,
E fra cento uno a lei piace;
Un pastor d'estranio lito

Che, compiuto il sacro rito,
Volge ratto alla sua sede,

Con si raro acquisto, il piede.

Galatea de' nuovi affetti
Tra la piena tutt' assorta,
Nel lasciare i patrii letti,
Non parti dolente o smorta;
Non si mosse a' mesti pianti
Degli antichi esclusi amanti;
E nel volgere le spalle

A quel bosco, a quella valle,
A quel prato, a quegli armenti,
A lei tanto un di graditi,

Con parole indifferenti
Salutò la greggia, e i liti.
Ma poi quando giunse accanto
A quell' acque a lei si care,
Ritornovvisi a specchiare,
Nè potè frenare il pianto;
E fra tanta indifferenza
Che mostrò nella partenza,
Diede un sol tenero addio,
E fu quel che diede al rio ;
Che mai più non si credea
Rivederlo Galatea.

Ma da un fosco velo è asco sa

La catena degli eventi :

Galatea felice sposa

In quell' ore di contenti,

Non può mai pensar che un giorno
A quel prato, a quell' ovile

Dovrà far mesto ritorno

In ammanto vedovile.

Pure il ciel cosi prescrisse!

Col consorte a cui s'uni

Quattro lustri appena visse,
Poi ria morte lo rapi.

Di singulti e di querele
Un tributo doloroso
Pagò vedova fedele

Alla tomba dello sposo :

Ma alle antiche sue dimore

Galatea tornando alfine

Senti il duol farsi minore,

Che anche il duolo ha il suo confine :

Buoni o rei, ne' nostri petti
Vanno a spegnersi gli affetti.
Giunta appena a quelle sponde
Del ruscello corse all' onde;
Ma nell' onde Galatea
Non rivide più la bella,
La vezzosa pastorella
Che vederci un di solea;
Ed attonita esclamò :
O pastori, il mio ruscello
Onde mai tanto cangiò ?
Onde mai non è più quello ?
Ove son le limpid' acque

Per cui tanto un di mi piacque ?

Agl' incauti suoi clamori
Non risposero i pastori :
Ma una certa sua nemica,
Una sua rivale antica

Gridò, si che ognun l'udiò;

Tu cangiasti, e non quel rio.

DE ROSSI. (Giov. Gherardo.).

Scherzi d'amore.

EUFROSINA.

La tempesta improvvisa,

Che jeri il ciel turbò, sorprese Amore
In qual parte non so. Frå i venti insani,
Frå i nembi ondosi, e la gelata pioggia
Lung' ora andò smarrito. Al fin di Cipro
Nella reggia fuggi. Stavamo a punto

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