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Abbarbicarsi con tenaci amplessi,
E dal ceppo vedrai l'umor soave
Salir filtrato ed in foglioso ingombro
Lussureggiar diffuso, indi più puro
Nei diramati lagrimosi tralci
Delineare i grappoli nascenti;
Poi tondeggiarne i rubicondi grani
Pregni del buon liquor, ond'ebbro Apollo
La insipid' onda d'Ippocrene obblia.
Qui delle varie numerose piante,
Degli odorosi fior, delle utili erbe
Con occhio filosofico, col breve
Anatomico stil potrai sagace
Tutti espiare i più secreti arcani,
L'orditura dissimile, l'occulta
Non fallace virtù; l'indole, i nomi,
E s'oltre spingi curioso il guardo,
Il sesso ancora, e i maritali amori.

LE MÊME.

La Natura animata.

NE già solo sarai. Volgiti e mira, Qual vola intorno a te, guizza, e serpeggia Numero di viventi, onde son l'acque, Ond'è la terra popolata, e il cielo,

Non a te scarsi di piacer saranno

Se conversi con lor, siccome un tempo
Al frigio piacque favoloso Esopo,
Che col linguaggio, e col natio costume
Del fido can, dell'innocente agnello,
Del lupo ingordo, e dell'astuta volpe

Le umane menti umiliando istrusse.
La diversa in ognun, costante in tutti
Indol ne ammira, e il naturale istinto;
Sicura sempre e non mutabil guida,
Che i lumi in lor de la ragion compensa,
E spesso vince. Dei piumati augelli,
Pinti a vario color, odi il festivo
Indocil canto, e nei costrutti nidi
L'annua rimira inimitabil' opra
De gli artefici rostri. Osserva il cauto
Antiveder de le formiche erranti
Per l'inverno vicino, e dell'industre
Ingegnosa repubblica dell'api

passo:

Il governo, e i lavori. O se ami in vece
Scena natia, cui mal fingendo adombra
Sù fredde tele imitator pennello,
Lungo la sponda di quel picciol rio,
A cui gli acquosi salici fann' ombra,
E di cui l'onda in tortuosi giri
Mormora infranta su i minuti sassi,
Ond'è limpido il fondo, arresta il
O il fianco adagia sul fiorito letto,
E le pascenti intorno a te rimira
Lanute greggie, che sbrucando lievi
L'erbe nascenti, ad ora ad ora il muso
Alzano al suon de la silvestre avena,
Cui rispondon belando; indi lo sguardo
Sospingi e mira le montane capre
Sù l'erte balze della rupe opposta
Arrampicarsi, e dalla cima pèndere
Sù la valle soggetta, ove sdrajati
Stan ruminando i numerosi armenti,

O sparsi intorno erran mugghiando, mentre

L'innamorata immobile giovenca

Dimentica dei pascoli rimira

I sanguinosi assalti dei rivali

Tori gelosi, che soffrir non sanno
Di tálamo commun divisi amori.

LE MÊME.

Rustica Famiglia.

NE fia, che il piè talora entro le soglie Sdegni inoltrar de l'umili capanne,

Il colto orecchio ai sermon rozzi usando
Di rustica famiglia. Ivi non fredde,
O studiate accoglienze, onde col riso
Si maschera la noja, ivi non finto
O scaltro amor, non cortesie mendaci,
Non insultante orecchio; ma sinceri
Sotto ruvida scorza ingenui sensi
E simplici costumi, e non istrutto
Dall'arte a simular sembiante aperto,
E ospital core in povera fortuna.
Là t'assidi per poco, e dolce in vista
Anima in loro il timido rispetto,
E l'indole inesperta. Allor vedrai
Giovane, e appena all'imeneo matura,
La vergognosa forosetta il canto
Te presente sospendere, e modesta
Le native avvivar purpuree rose,
Che su le brune rotondette gote
Non arte nò, ma sanità diffuse :
E i fratelli minori, a cui sul volto

Ride lieta innocenza, a farti omaggio
Dalla madre chiamati, a te d'intorno
Formar corona, indi festosi incontro
Correre al padre, che ritorna stanco
Dai rustici lavori, e il lento passo
De gli aggiogati buoi stimola e segue.
Oh quale in lui non da mollezza o vizio
Affrettata giammai vigor conserva
L'età senile e veneranda spira

Dal bianco crin, cui riverente scopre
Innanzi a te ! come godrai, se i puri
Non finti mai religiosi sensi
Spirati ai figli, o se n'udrai le spesse
Proverbiali sentenze, e la nativa
Rozza eloquenza, o degli andati tempi
I memori racconti, ond'egli inganna
La fame intanto, a cui la fida moglie
La parca mensa a ministrar s'affretta,
Da digiun lungo, e dal lavor condita.

CL. BONDI. Le Conversazioni, poemetto.

DESCRIPTIONS.

L'Età d'oro.

ALLORA i Summi Dii non si sdegnavano
Menar le pecorelle in selve a pàscere,
E com' or noi facemo, essi cantàvano.

Non si poteva l'uom ver l'altro iràscere;
I campi eran communi, e senza tèrmini,
E'n copia i frutti suoi sempre fea nàscere.

Non era ferro, il qual par ch' oggi tèrmini L'umana vita, e non eran zizanie,

Ond' avvien, ch' ogni guerra e mal si gèrmini.
Non si vedean allor rabiose insanie;

Le genti litigar non si sentivano,
Perche convien che'l mondo or si dilànie.

I vecchi, quando alfin più non uscivano Per boschi, o si prendean la morte intrèpidi, O con erbe incantate ingiovenivano.

Non foschi o freddi, ma lucenti e tèpidi
Erano i giorni, e non s'udivan ùlule,
Ma vaghi uccelli, dilettosi e lèpidi.

La terra che dal fondo par che pullule
Atri aconiti, e piante aspre e mortifere,
Ond' oggi avvien, che ciascun pianga e ùlule,
Era allor piena d'erbe salutifere,
E di balsamo c'ncenso lagrimèvole,
Di mirre preziose e odorifere.

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