Immagini della pagina
PDF
ePub

I nativi smeraldi, e i vaghi fiori.
Godon
per te gli orecchi in ascoltando
Il grato sussurar de l'api industri,

Mentre predando vanno ai primi albori
Da' fior le dolce ruggiadose stille.
Senso non ha chi l'odor tuo non sente,
Odor che la viola, il croco e'l giglio,
Il narciso e la rosa intorno sparge.
Piaccion le gemme agli occhi e piacé l'oro,
Ma non ne gode il gusto; il gusto poi
D'altre cose piacer talora sente,
Di cui nulla il veder diletto prende.
E cosi avviene a te, poi che non meno
L'occhio mi pasci tu di quel che faccia
Il gusto ed ogni senso io se desio
L'oro veder, del già maturo cedro
La spoglia miro, che s'assembra all'oro;
Se l'oro poi, che di rubin sia carco,
A la siepe mi volgo ove il granato
Maturo, e mezzo aperto i suoi tesori
Mi scopre se veder gli altri lapilli
Chieggio, ecco l'uve di color mature
Pendenti giù da pampinosi rami.
Ma qual altro diletto a quel s'agguaglia,
Che dà il veder sovra un medesmo tronco,
Sovra un medesmo ramo il pero, il pomo,
E la mandola, e'l pesco, e'l fico, e'l pruno:
Ed una sola pianta a si diversi

Figli somministrar madre cortese

Con novo modo il nudrimento e'l latte ?
Taccio tante altre gioje, e tanti beni,

Che mi vengon da te, car' orticello;

Ed a voi mi rivolgo, o Dei, ch'avete
Degli orti cura, e di chi agli orti attende.
Få dunque, Clori tu, che mai non manchi
Al mio verde terren copia di fiori.
Tu fà, Pomona, che de'frutti loro

Non sian de gli arbor❜mai vedovi i rami.

E tu che tante e si diverse forme
Prendi, Vertunno, il culto mio difendi
Or con la spada, se soldato sei,
Or col pungente stimolo, se i buoi,
Giunger ti piacer al giogo e tu, Priapo,
S'unqua gli altari tuoi di fiori ornai,

Con la gran falce, e con l'altre arme orrende
Spaventa i ladri, che notturni vanno
Predando ingiusti le fatiche altrui.

Crescete, erbette e fior; crescete liete,

Se'l ciel benigno a voi giammai non neghi

Tepidi soli, e temperata pioggia.

Berdrardino Baldi. Celeo, o l'orto Idillio.

L'Orto botanico.

ANDIAMO, Lesbia; pullular vedrai
Entro tepide celle erbe salubri,.
Dono di navi peregrine: stanno
Le prede di più climi in pochi solchi.
Aspettan te, chiara bellezza, i fiori
Dell' Indo: avide al sen tuo voleranno
Le morbide fragranze Americane,
Argomento di studio e di diletto.
Come verdeggia il zucchero tu vedi
A canna arcade simile: qual pende

Il legume d'Aleppo dal suo ramo,
A coronar le mense util bevanda.
Qual sorga l'ananas, come la palma
Incurvi, premio al vincitor la fronda.
Ah, non sia chi la man ponga alla scorza
Dell'albero fallace avvelenato,

Se non vuol ch'aspre doglie a lui prepari
Rossa di larghi margini la pelle.
Questa pudica, dalle dita fugge;
La solcata mammella arma di spine
Il barbarico cacto; al sol si gira
Clizia amorosa: sopra lor tras vola
L'ape ministra dell'aereo mele.
Dal calice succhiato in ceppi stretta
La mosca in seno al fior trova la tomba.
Qui pure il sonno con pigre ali, molle
Dall'erbe lasse conosciuto Dio
S'aggira, e al giunger d'Espero rinchiude
Con la man fresca le stillanti boccie,
Che aprirà ristorate il bel mattino.
E chi potesse udir de' verdi rami
Le segrete parole, allor chè i furti
Dolci fa il vento su gli aperti fiori
De gli odorati semi, e in giro porta
La speme della prole a cento fronde :
Come al marito suo parria gemente
L'avida pianta susurrar! che nozze
Han pur le piante; e zefiro leggiero
Discorritor delle indiche pendici
A quei fecondi amor plaude aleggiando.
Erba gentil (ne v'è sospir di vento)
Vedi inquieta tremolar sul gambo;

senta ?

Non vive? e non dirai ch'ella pur
Ricerca forse il patrio margo e'l rio,
E duolsi d'abbracciar con le radici
Estranea terra sotto stelle ignote,
E in Europea prigion bevere a stento
Brevi del sol per lo spiraglio i rai.

E ancor chi sà che in suo linguaggio i germi
Compagni, di quell'ora non avvisi

Che il sol da noi fuggendo, alla lor patria,
Alla Spagna novella il giorno porta.

MASCHERONI. Invito à Lesbia.

Le Mine.

QUANDO Superbo del la Spagna doma
Volse Annibal verso d'Italia i passi,
E da gli alpini gioghi assalto a Roma
Portò, spezzando inaccessibil sassi;
Non so a quanti sudar fece la chioma,
Nè se l'aceto a tanta opra bastassi :
Chè l'arte non avea, che rompe e spetra
Con poca polve ogni più dura pietra.

La negra polve del carbon, che pesto
Al nitro ed allo zolfo esca si mesce,
Che al l'appressar del foco arde si presto,
Che un lampo sembra che da'nuvoli esce;
Rompe ogn'inciampo, al rarefarsi infesto
De l'aer chiuso, e in infinito cresce
Il suo vigor, più che altri lo contrasta,
Nè scoglio o torre a quel furor non basta.
L'arte gran tempo ignota al mondo antico
L'ingegnosa Germania insegnò in prima,

Imitatrice del folgore obliquo,

Che i muri abbatte, ed arde i monti in cima:
Arte che l'uom contra se stesso iniquo
Volse a tal uso ond'altri a forza opprima;
Per aprir nove, e sconosciute porte

Alla

pur troppo inevitabil morte.

Ma se da sagre e colubrine accese,
Se da bombarde, e militar tormenti
Uscì con danno, e tante genti offese;
Abbia su i campi altri usi, altri argomenti :
Contro del masso altier che il campo prese,
Senza sangue versar, sue forze tenti.
Già scoperto si mostra ed eminente
Sopra il letto natio curvo e pendente.

Da quella parte ove una spalla stende,
O dove il basso fianco si ritira,
O dove men la mole alfin contende
(Chè alla più facil via sempre si mira.)
Un lo scalpel, altro la mazza prende,
Questa percuote, e quel si volge, e gira;
Risponde a pena il sasso, e immobil siede,
Che i futuri suoi danni ancor non vede.
Intanto quasi tarlo, che l'ingordo
Tacito dente a vecchio legno appicca,
Tale il ferro incisor penetra, e sordo
Rode la pietra, e più e più si ficca.
Al ferire, al voltar con vario accordo
Va in bianca polve ogni scheggia che spicca.
Stucco possente a saldar croste o bolle,
Mista con bionda pece allor che bolle.

Ma la fistola è omai forbita, e tersa,

Che un palmo, e più secreta entra nel sasso :

« IndietroContinua »