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A straniero pensier. Lungi le cure,
Lungi i consigli della fredda sempre
E incomoda ragion. Solo qui regna,
E di tue leggi interprete presiede
Il desio di piacer, scaltro idoletto,

Che ogni donna ha nel cor, che nuove ognora
Meditando conquiste, ogni arte adopra
Onde abbellirsi, e si compiace, e cauto
Di natura i difetti emenda, o cela.
Cento ministri suoi, volan ronzando
Per l'aer sacro instabili, e leggeri
Variopinti Capricci, in varie cure
Occupati, e divisi. Altri d'un nastro
Suda intento al lavoro, e in mille guise
Variando lo emenda; altri dà forma

A enorme riccio, e incrèspalo; chi gli aghi,
E chi ministra i crin; uno si specchia

Nelle gemme brillanti, e giaccion altri,
Quasi nuvolo d'api in ampio nido,
Nel cavo seno d'una cuffia; e alcuno
Come augel nella frasca, in sulla cima
Siede di lunga tremolante piuma,
E l'alterno piegar del sottil gambo
Con tremule ali e timido seconda..
Pien del tuo nume il sacerdote intanto,
Di bianca cinto polverosa veste,
E di pettine armato, agile affronta
Le sciolte treccie, e con esperta mano
Pria le turba e disordina, poi dopo
Le raccoglie increspando, e le compone,
E il bipartito crin, non senza ajuto

D'ampio volume di straniere chiome,

Alza, e dà forma a la turrita mole.

CLEM. BONDI. La Moda, poemetto.

Il Mosaico.

O quanta gente, o quale! Ecco in un Coro
L'arti belle appressar. Ecco non lunge
L'altro venir delle scienze gravi,

Che s'accolgon qui tutte : io le conosco
Ai certi segni, ai non ignoti volti.'
Quel che le guida altero Nume, a cui
Fan festa intorno, e da' cui cenni ognuna
Pende qual da maestro: egli è pur questi,
Se mal non lo ravviso all' andar cheto,
Al mansueto riso, ai modi umani,
Alla bellezza naturale, al guardo
Penetrator, alla mediocre, e in tutto

Perfetta forma, onde ogni membro a giusta

Proporzion risponde, e spira ogni atto

Grazia, vigor, mirabile armonia.

Questi è il Buon Gusto. Egli per man mi prende,

O me beato, e già ver me soavi

Dalla bocca rosata escon parole

Che oltre l'uso mortal levanmi seco.

Qui vedi, ei dice, e nel suo dir sorride,
Qui vedi il regno mio, dove mi piace
Non pur albergo aver, ma reggia e corte.
Quanti qu vanno eletti spirti io nudro
Del mio favor; io nel lor petto ispiro
Tutta la mia divinità, nè nullo

Ricuso loro o di saper tesauro,
O d'ingegno valor. A me si deve

Quel che vedi fiorir santo dell' arti

Amor qui dentro, ed a mé quel, che quanti
Disperde il Ciel, quà e là, nobili ingegni,
Nel sen di Roma a ben formarsi aduna:
O piaccia a lei simili trar sembianti
Ai veri volti degli Eroi dal marmo,
O a diversi color ami lo spirto
Infonder con la vita, o su lisciate
Tavolette di bronzo, incida argute
Tenui figure, onde la carta impressa
Le moltiplichi a mille, e le diffonda;
Oppur con varie di color, di vena
Pietruzze intenta al degradar dell' ombre,
Intenta allo spiccar de' vivi tratti,

Or questo or qual giusta le tinte, e i nicchi
Sassolin scelga, e li congiunga in modo
Che facciano un sol piano, onde locato
Lontan l'obbietto, e vivo, e vero il creda.
Vedi quanta virtù! Sorgon di mille
Piccole, e ad arte ben disposte pietre
Or torri eccelse, ed or marmorei alberghi,
Or di mura ricinte ampie cittadi:

Là gonfia il mar l'ondoso grembo, e increspa
Le spumose de' flutti argentee cime,
Qui verdeggia la riva, e a poco a poco
Per sulla schiena del colle imminente
Cresce in virgulti, in alberi, e fà bosco,
Ove intravedi tra le frondi e l'ombra
Errar pascendo le panciutte vacche,
E il pastorel sotto l'ombrose frondi

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Intrecciar danze, ed animar zampogne.
Qual già Cadmo stupi, quando un armata
Dai seminati al suol viperei denti
Vide assediarlo intorno, e pria le punte
Spuntar dell' aste dal terren, poi gli elmi
Con le creste agitabili, poi ciuffi
Arruffati, indi fronti, indi visaggi
Torvi apparir, che traean seco unite
Le riquadrate spalle, i ferrei petti,
E via via tutto il corpo; ecco ad un punto
Fermo su piè, le lance in resta, ei vede
Un esercito a fronte, un popol starsi;
Tal vedresti apparir di que' minuti
Ben sparsi quadri le sembianze vive
D'uomini, d'animai, d'erbe, di piante,
Da far che al secol nostro invidia porti
L'antica etade, e che non vantin sole
Quelle colombe lor Plinio e Furietti'.

BETTINELLI. Dalla villa dell' Emin.
Card. Silvio Valenti.

Il Cane.

SERVE col corso il Can, serve col fiuto,

Caccia la fera, e ne investiga l'orme:

Guarda le Case, ed ha l'udir si acuto

Che sente, e quando ei vegghia, e quando dorme,
Porge al Signor anco co' morsi ajuto,

Nè lo puon spaventar ben folte torme :

1 Mosaico antico di due Colombe trovato da monsignor Furietti,

e ricordato da Plinio tra l'eccellenti opere antiche.

Se d'uopo anco è morir, morte non schiva,
Pur che'l Padron ne sia difeso, è viva.

E se sortito da Natura avesse

Questa altra dote ancor fra tante e tante,
Ch'ove, guarda le porte, ei conoscesse
Qual fosse del Padron oste, od amante;
Non credo che bramar l'uomo potesse
Più dolce compagnia, nè più prestante.
Gli altri animali son dell'uman seme
Servi, ma il can servo, e compagno insieme.
Nè s'è d'uopo di giogo, o di capestro,
Di pungolo, o di spron, perchè lo serva.
Ei serve per amore umile, e destro,

Nè scorgi in lui giammai voglia proterva:
Segueti per cammin piano, ed alpestro,
Per valli, e boscho; o geli il cielo, o ferva.
Nè tra via fera mai, ned uomo scontra,

Ch'a darten segno lor non latri incontra.

ERASMO DI VALVASONE. Della Caccia, canto IV.

Il Veltro.

FA ch' abbia larga faccia, ed occhio rosso :
Lunghe l'orecchie sian, pendan le labbia :
Il naso simo, e come a tauro grosso;
E toroso gli cresca il collo, ed abbia
Doppia la spina, che gli parte il dosso,
E spazioso il piè stampi la sabbia :

Le gambe setolose, e senza pondo

Raccolto l'alvo, e'l nasso abbia rotondo.

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Vuolsi anco aver non poco il guardo intento A quel color, onde gli luce il pelo;

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