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Il più bel flor della speranza mia.

Fiera da te medesma disamata,
Augel di duol, non d'altro mai presago,
mille porte;
Tema, ch'entri in un cuor per

Se si potesse a te chiuder l'entrata,
Tanto il regno d'Amor saria più vago,
Quanto il mondo senz' odio, e senza morte.

L'Ozio.

LUIGI TANSILLO.

IL feroce destrier, che qual baleno
Scorrèa senza timor fra genti armate,
Se può ne' prati errar sciolto dal freno,
Perde l'ardor, e le sue forze usate :

L'amabil rivo, nel cui chiaro seno
Ogni Ninfa specchiò l'alma beltate,
Di fango, e canne, e di vil erba è pieno,
Se mai ristagna tra paludi ingrate.

Rodono i tarli le riposte antenne

Di Nave, che sprezzò del mar l'orrore,

E mille venti intrepida sostenne.

Volgi, o fanciul, a questi esempj il core, E sappi, che cosi tarpa le penne

L'ozio malvagio al bel desio d'onore.

GIAMBATTISTA VOLPI.

FABLES.

La Cornacchia.

QUANDO il consiglio degli Augei si tenne

Di nicistà' convenne,

Che ciascun comparisse a tal novella;

E la Cornacchia maliziosa, e fella
Pensò mutar gonella,

E da molti altri Augei accattò penne.
Ed adornossi, e nel consiglio venne;
Ma poco si sostenne,

Perchè pareva sopra gli altri bella.
Alcun domandò l'altro: chi è quella ?
Sicchè finalment' ella

Fù conosciuta. Or odi, che ne avvenne.
Chè tutti gli altri Augei le fur d'intorno;
Sicchè senza soggiorno

La pelar si, ch'ella rimase ignuda;

E l'un dicea or vedi la bella druda.

Dicea l'altro ella muda;

E così la lasciaro in grande scorno.

Similemente addivien tutto giorno
D'uomo, che si fa adorno

Di fama, o di virtù ch'altrui dischiuda ;
Che spesse volte suda

Necessità.

Dell'altrui caldo, tal che poi agghiaccia;
Dunque beato chi per se procaccia.

DANTE ALIGHieri.

Il Gallo e la Volpe.

ANDANDOSI la Volpe un giorno a spasso
Tutta affamata, senza trovar nulla,
Un Gallo vide in sù d'un alber grasso,
E cominciò a parer buona fanciulla,
E pregar quel, che si faccia più basso,
Che molto del suo canto si trastulla;
Il Gallo sempliciotto in basso scende;
Allor la Volpe altra malizia prende.

E dice e' par che tu sie cosi fioco
I'vo' insegnarti canto meglio assai;
Quest' è che tu chiudessi gli occhi un poco.
Vedrai che buona voce tu farài.

Al Gallo parve che fosse un bel gioco:
Gran mercè, disse, che insegnato m'hai;
E chiuse gli occhi, e cominciò a cantare,
Perchè la Volpe lo stesse a ascoltare.

Cantando questo semplice animale
Cogli occhi chiusi, come i matti fanno,
La Volpe, come falsa, e micidiale
Tosto lo prese sotto quest' inganno,

E dove poi mangiarsel senza sale :
Cosi interviene a quei che poco sanno.

PULCI. Morgante Maggiore, canto X, ott. 20.

I Buoi Sognati.

UN boghese non ti dico quale,
Di Buoi un pajo dormendo sognava
D'un suo vicin, che gli teneva cari,
E volevagli pur senza denari.

Anzi voleva pagarto di sogni ;
Colui dicea del mio gli comperai,
E cosi credo, che a te far bisogni,

Se non ch'al fin senza essi te n'andrài.

Mentre che par, che in tal modo rampogni,
Si ragunò d'intorno gente assai,

E non sapendo solver la quistione,
N'andorno di concordia a Salamone.

E Salamone, perch'era sapiente,
Con questi due sen' andò sopra un ponte,
E fevvi i Buoi passar subitamente,

E poi si volse con allegra fronte

A quel che gli sognò, disse: pon mente,
Vedi tutte le lor fattezze pronte

La giù nell' acque e l'ombra si vedea
Di que' Buoi, che colui sognati avea.

Disse colui: e' pajon proprio i Buoi
Ch'io vidi; e Salamon rispose il saggio:
Tu che sognasti, togli, che son tuoi;
Colui, che li pagò, de' aver vautaggio.
Non bisogna sognarli che son suoi;
Cosi sta la bilancia di paraggio.....

LO STESSO, C. XIII, ott. 31.

It Pero, e la Zucca.

Fu già una Zucca, che montò sublime In pochi giorni tanto, che scoperse

A un Pero suo vicin l'ultime cime.

Il Pero una mattina gli occhi aperse,
Ch' avea dormito un lungo sonno, e visti
I nuovi frutti sul capo sederse,

Le disse: chi sei tu? come salisti
Qua sù? Dove eri dianzi, quando lasso
Al sonno abbandonai questi occhi tristi?
Ella gli disse e'l nome, e dove al basso
Fù piantata, mostrogli, e che in tre mesi
Quivi era giunta accelerando il passo.

Ed io, l'arbor soggiunse, appena ascesi
A quest' altezza; poichè al caldo, e al gelo
Con tutti i venti trent'anni contesi.

Ma tu, ch'a un volger d'occhi arrivi in cielo, Renditi certa, che non meno in fretta,

Che sia cresciuto, mancherà il tuo stelo.

ARIOSTO. Sat. VIII.

Il monte della Luna.

NEL tempo ch'era nuovo il mondo ancora,

E che inesperta era la gente prima,

E non eran le astuzie che son ora;

A piè d'un alto monte, la cui cima Parea toccasse il cielo, un popol, quale Non so mostrar, vivea nella parte ima.

Che più volto osservando l'ineguale

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