PER quel vago boschetto
Ove rigando i fiori
Lente trascorre il fonte degli allori,
Prendea dolce diletto
Con le compagne sue la bella
Chi violetta o rosa
Per far ghirlande al crine
Togliea dal prato e dall' acute spine:
E qual posando il fianco
Sulla fiorita sponda
Dolce cantava al mormorar dell' onda;
Ma la bella Euridice
Movea dansando il piè sul verde prato :
Quando (ria sorte acerba!)
Angue crudo e spietato,
Che celato giacea tra fiori e l'erba, Punsele il piè con si maligno dente, Ch' impallidi repente,
Come raggio del sol che nube adombri; E dal profondo core
Con un sospir mortale
Si spaventoso oimè sospinse fuore,
Che, quasi avesse l'ale,
Giunse ogni Ninfa al doloroso suono ; Ed ella in abbandono
Tutta lasciossi allor nell' altrui braccio: Spargea il bel volto e le dorate chiome Un sudor via più freddo assai che ghiaccio. Indi s'udio il tuo nome ',
Tra le labbra sunar fredde e tremanti,
E volti gli occhj al cielo,
Scolorito il bel viso, e i bei sembianti,
Restò tanta bellezza immobil gelo. OTTAVIO RINUCCINI. L'Euridice, dramma tragico.
TESSEVA un cerchio leggiadretto e lento, Che legge prescrivesse al vago crine, Quand' ei fra l'onde d'or ferendo il vento Ondeggia ed erra su le fresche brine, La vaga ninfa; ed ecco in un momento Le compagne gridar a lei vicine : Fuggi, fiamma gentil degna d'Orfeo, Fuggi da pastor fiero, ecco Aristeo.
Ella fuggendo, l'adorata pioggia, Con che'l grembo s'avea tutto dipinto Per bella poscia in disusata foggia
Ove rigando i fiori
Lente trascorre il fonte degli allori,
Prendea dolce diletto
Con le compagne sue la bella sposa,
Chi violetta o rosa
Per far ghirlande al crine
Togliea dal prato e dall' acute spine:
E qual posando il fianco
Sulla fiorita sponda
Dolce cantava al mormorar dell' onda;
Ma la bella Euridice
Movea dansando il piè sul verde prato :
Quando (ria sorte acerba!)
Angue crudo e spietato,
Che celato giacea tra fiori e l'erba, Punsele il piè con si maligno dente, Ch' impallidi repente,
Ella pur fugge, e chiede al rio soccorso, Quando all' uno d'eterni amari pianti Trovò cagione, all' altra diè di morso
Nel fior de primi suoi giovanil anni, Mentre fuggir d'amor credea gli affanni.
Di nuova spoglia e d'alto petto armato, Quasi spiando l'alta ripa, al sole
Fischiava un angue con tre lingue, e il prato Spargeva di veneno e le viole.
Questi, nol vedend' ella (ahi duro fato!) Al bianco piè, che anco mi pesa e duole, Avventandosi fè si dura offesa,
Che diede fine all' infelice impresa.
Che punta nel talon, come fior colto Langue repente e perde ogni vigore ; Cosi la bella Euridice nel volto Subito tinta di mortal colore
Cadde sull' erba, e le fu'l viver tolto E spento il gel dell' indurato core : Le valli empir di pianto, e gli alti monti Le ninfe vaghe e i vaghi amici fonti.
MOLZA. La Ninfa Tiberina.
Silvia dal Satiro a un arbore legata.
PRESENTITO avea Aminta (ed io fui, lasso! Colui, che riferillo, e che'l condussi ; Or me ne pento:) che Silvia dovea, Con Dafne ire a lavarsi ad una fonte : Là dunque s'inviò dubbio ed incerto, Mosso non dal suo cor, ma sol dal mio Stimolar importuno; e spesso in forse
Fu di tornar indietro; ed io'l sospinsi
Pur mal suo grado innanzi. Or, quando omai C'era il fonte vicino, ecco, sentiamo
Un femminil lamento, e quasi a un tempo Dafne veggiam, che battea palma a palma; La qual, come ci vide, alzò la voce : Ah correte, gridò; Silvia è sforzata. L'innamorato Aminta, che ciò intese, Si spiccò com' un pardo, ed io seguillo. Ecco miriamo a un' arbore legata La giovinetta ignuda come nacque, Ed a legarla fune era il suo crine; Il suo crine medesmo in mille nodi Alla pianta era avvolto; e'l suo bel cinto, Che' del sen virginal fu pria custode, Di quello stupro era ministro, ed ambe Le mani al duro tronco le stringea; E la pianta medesma avea prestati Legami contra lei; ch' una ritorta D'un pieghevole ramo avea ciascuna Delle tenere gambe. A fronte, a fronte Un Satiro villan noi le vedemmo, Che di legarla pur allor finia. Ella, quanto potea, faceva schermo: Ma, che potuto avrebbe a lungo andare? Aminta, con un dardo, che tenea Nella man destra, al Satiro avventossi, Come un leone; ed io frattanto pieno M'avea di sassi il grembo, onde fuggissi. Come la fuga dell' altro concesse Spazio a lui di mirare, egli rivolse
I cupidi occhi in quelle membra belle,
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