Mille allegri, e piacevoli Pensieri, Pinti a vario color le instabili ale:
E in guardia ognor quasi volanti arcieri, Vegliano ad ogni porta, e sù le scale, E tengono lontan da quelle mura Ogni serio pensiero ed ogni cura.
Domandi in van, se la virtù là viva, Che
lei l'aria, ed è quel ciel non sano; E il buon Giudizio anch'ei, se pur v'arriva, Poco si ferma, e fugge via pian piano, La Modestia talor timida, e schiva
Vi si lascia veder, ma di lontano;
E rossa in volto, e vergognosa passa, E gli occhi al suol, per non vedere, abbassa. Ma il folle Riso eccheggiar fà l'immensa Corte rinchiusa, e la rotonda piazza : L'Allegrezza con lui si asside a mensa E di vario liquor colma la tazza ; Poi sazia ed ebbra a sollazzar si pensa, E gira intorno clamorosa, e pazza ; Nè vuol soffrire alcun tra quella gente Di faccia mesta, o d'animo dolente.
Pur spesso inoltra, nè saprei ben come Nel chiuso albergo, o per qual via, le piante Di quà di là, sotto mentito nome, Stuolo di spettri mascherati, errante. V'è il tacito Rimorso, irto le chiome, Bieco le luci, e pallido il sembiante;
E la piena d'umor Malinconia, Che va cercando solitaria via.
V'è il Duolo ancor, chi 'l crederà? ma preme
L'occulto affanno ed i sospiri ammorza:
D'oro, di gemme, e di fiorito argento; Ma una forma, un color solo non serba, Foggie, e color variando ogni momento, Qual nube al vento; e di colomba suole Quale il piumato collo in faccia al sole.
Sù morbido guancial giace, e sbadiglia Con occhio sonnolento, e or s'alza, or siede, Sui ricchi arredi ora girar le ciglia,
Or sulle tele di Tizian si vede; Desia, ma tra i desiri incerta pende,
Sospira, e i suoi sospir non bene intende. Ali nere ella veste, ond' è che invano I martir suoi da lei fuggono lunge; Corron le vele invan per l'Océano,
Corre invano il destrier, ch' ella il raggiunge, E con pallida faccia in sulla poppa
Siede al governo, e al destrier monta in groppa. LORENZO PIGNOTTI. La Treccia donata,
MENTR' io pascea dello spettacol novo L'avida vista, ecco sublime altera Sembianza d'uom veder mi sembra; quale Si vede nube da nebbiosa valle Sorger la sera, o quale in selva appare Allo smarrito pellegrin notturna Ombra, dal suo timor postagli a fronte. ́Su'l mar porgeva un piè, l'altro sul lido: Cedri odorati, ed auree spiche, ed uve Strignea nell' una man, l'oro nell' altra.
D'aspetto liberal facil benigno Nulla di truce avea, nulla d'altero, Fuor che l'eccelso gigantesco aspetto. A tai ben note insegne io lo conobbi, E con la mente inchina il nume amico Dator di gloria, e di letizia, autore Di, vera a l'uom felicità, custode De sacri patti, il comun padre, il fido Congiungitor de' popoli, il possente Commercio venerai. Bello a vedersi Era il gran corpo ben formato, i membri In ogni parte rispondenti, il vivo Color nodrito dal corrente sangue,
Onde muscoli, e nervi, e vene, e fibre, Per le spedite diramate vie
Concordemente, e senza ingiuria o fraude
Tutte a vicenda hanno alimento, e vita.
Chi non l'ammira, e pregia? Egli è quel desso
Che i varj frutti di diverse terre
Giusto, e fedel distributor comparte.
i ferrei scrigni armati,
E il mal rappreso, e mal racchiuso argento Discorrer fà. Qual duro core avaro
Non si fà molle al suo voler? Qual gente
E d'inospito lido, o d'alpe ignota
Il ruvido per lui genio feroce D'ingentilire, o d'ammansar ricusa ?
In van l'empia Discordia, il Lusso invano, E la Pigrizia, che all' altrui fatiche Invida aspira, come suol l'ignaro Popolo delle vespe all' api industri, A lui resiste in vano. Anzi per lui
L'aspre pendici, e l'infeconde arene Si rivestir d'ignote frondi, e dove L'alpigiano famèlico già un tempo Mieteva sol stento ed inopia, apprese Fatto solerte agricoltor con l'arte A vendicar de la natura i torti. Per lui montani frutti, erbe selvagge, Civil costumi per gentile innesto, E novi nomi in nove scole han presi. Al cenno suo volar ne' mari ignoti Le navi ardite, e riportaro in noi L'indiche gemme, e gli arabi profumi, I febbrifughi germi, e il don salubre Della gradita nereggiante pasta, Che a ricolmar le mattutine tazze Di farmaco febèo Messico manda.
DONNA vidi raminga in nuda arena Languida, ed arsa dal calore estivo, Pianta sorger di pomi, e frondi piena, E un Ruscello apparir limpido, e vivo: Ella assisa alla dolce ombra serena, Or de' pomi si pasce, or beve al Rivo; Spirto ripiglia, e ristorata appena, E quelli prende, e prende questi a schivo. Alfin superba in piè si leva, e poi Con atti oltraggia sconoscenti, e rei Il Ruscello, la Pianta, e i frutti suoi.
Seccansi, e l'acqua, e i rami in faccia a lei :
Pastorelle, scacciatela da voi;
L'iniqua Ingratitudine è costei '.
STA su l'erto ciglion d'alpestra rupe, Che in un' isola ignota al ciel s'innalza Cinta intorno di valli orride, e cupe L'ampia grotta scavata nella balza : D'orse di sotto, e d'affamate lupe, Ad or ad or, un ululato s'alza, Onde l'orror di que' silenzj aumenta, E il solitario lito si lamenta.
Sovra letto di spine ivi entre accoscia In veglia sempre il misero Rimorso; Cui sede in faccia una mortale angoscia, Cne i crin gli arruffa, e gli fà un ce ffo d'orso: Con le man spesso battesi la coscia,
Mentre va ripensando al tempo scorso,
Torva ha la fronte, il guardo errante, e scuro, Nè mai si crede per guardar sicuro. Che ad ogni lieve strepito di sterpi, O d'aura, la qual sibili da lunge, Crede che col staffil d'angui, e di serpi L'usata furia a flagellar lo giunge; O che d'al petto il fero cor gli sterpì, E sel divori omai tema lo punge, Perchè ad ogni ora con orribil forma Di spettri, e furie a batterlo è una torma.
Ved. Filosofia, pag. 250.
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