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E qual con nere fiaccole di pece,
Qual con sferza implacabile lo caccia,

E il ben che far non volle, e il mal che fece,
Con alte grida ognor gli getta in faccia :

Ei piange, e il sen si graffia; or sviene, or rece,
Or infuriando a ciocche il crin si straccia;

Ma il verme inesorabile non guarda
L'intempestiva Penitenza, e tarda.

Nè tregua ha mai che l'ostinato tarlo
Insaziabilmente, il sen gli cribra,
E quel suo dente eterno a divorarlo
Nel più vivo del cor sempre gli vibra:
Indarno ei vorria pur veder scemarlo,
Ma
per roder non manca nè una fibra ;
Ed anzi par che l'odievol esca,
Quanto si rode più, tanto più cresca.

La memoria del mal già già gli ficca
Il ferro in gola, e pur mai non l'ammazza ;
Il terror quinci, e quindi il foco appicca,
E con catene, ed urli, e tuon schiamazza;
A un trave qui Disperazion s'impicca,
La falsa al suol Contrizion stramazza,
E con le cure rabbuffate, e magre
Stan le Coliche atroci, e le Podagre.

Quivi son de' lascivi i Piacer lordi,
Quivi de' ladri i sanguinosi furti,
Quivi le frodi di mercanti ingordi,

Quivi l'usure son de' Giudei curti,

Quivi de' Drudi, in mal oprar concordi,

Sepolti infanticidj son ressurti,

Quivi, ma senza de' purpurei panni,

Vostre ingiustizie, o Giudici, e Tiranni.

La Notte, che del loco ha conoscenza,
E col Rimorso andar spesso si vede,
Apre quell' antro d'ogni lume senza,
E con le scarpe và di feltro ai piede;
La segue passo passo Penitenza,
E ajuto contra i peccator richiede:
Quei non risponde, ma il parlar le tronca
Il gemito, onde piena è la spelonca.
Ambe fuggendo via l'aure importune
Par che sentano anch' esse la paura;
I sogni lievi batton l'ali brune
Con lor uscendo dalla cava impura;
Terror, spaventi, e tristezze opportune,
Noje, omei, crepacuor sono l'oscura
Torma lugubre, che il Rimorso manda
Là dove Penitenza la dimanda.

BETTINELLI. Il Rimorso,

L'Adulazione.

CON lor vien spesso certa Damigella

Con una disinvolta affettatura,

Che parea dir, vedete se son bella,
Con gale, e nei, con finta conciatura;

La si conosce al molto liscio, ond' ella
Tutta dipinge la non sua figura,
E' l'Adulazion trista, e fallace,
Che tutti burla, ed a nessun dispiace.
Costei parla un piacevole idioma
Condito tutto di gentil bugie:

Ogni sposa per lei bionda ha la chiota,

Bianca la man, le luci accorte, e pie;

stanze.

Èmuli di Cartagine, e di Roma
I figli eroi per chiare profezie
Già venir fanno impallidita, e bruna,
Pria de' sponsali, l'Ottomanna Luna.

Mai del suo fianco non si san dividere,
Volando ognor per via diversa, e varia
I Complimenti, e tra scherzare, e ridere
Vengono, e van seguendola per aria.
Di lor penne, è il ronzio tale, e lo stridere,
Qual di zanzare a notte solitaria,

E tal per tutto scendono, e si cacciano,
Onde a se ingiuria, e noja altrui procacciano.
Vengono, e van sù le minute alette,

E ne' palagi, e dentro i templi, e in corte;
Da picciol archi, picciole saette
Intinte in mel, vibran con mani accorte;
Alle mense son folti, alle tolette,
Ma ne le sale inondano, e alle porte,
E le guardie alla reggia ognor veglianti
Da costor non difendono i regnanti.

Ve n'ha d'ogni maniera, e grandicelli,
E picciol come farfallette, e grilli,
E tristi, e gai, ed incoltetti, e belli,
Semplici, e astuti, indocili, e tranquilli;
Ma tutti adulatori tristarelli

Sian barbon vecchj, o giovani pupilli,
D'ogni età, d'ogni vezzo, e d'ogni pelo,
I Complimenti piovono dal cielo.

IL MEDESIMO. La Monaca, canto III.

Il Giuocatore.

Le cure intorno con il volto schifo
Volando al Giuocator fan l'aer bruno,
Che han di nottola l'ali, i piè di grifo,

E or questo, or quel van tormentando ognuno;
Colui si secco, e con si aguzzo grifo,
Che l'ossa mostra fuor, quello è il Digiuno,
L'Inedia in pelle diàfana qual vetro

Alle perdite ognor con lui vien dietro.
Per l'emicrania stå pallida in vista
La Vigilia con foschi occhi incavati :
S'alzi quel manto, ecco la frode trista
Con due volti, due lingue, e due palati:
Ha quattro mani, due che stanno in vista,
Due nascoste, e pendentile dai lati,

Ha carte false, ha zecchin falsi, e impuri;
Sotto l'ascella ha un vaso di spergiuri.
La Cupidigia da quell' altro lato

Vedi com' ha le dita curve, e attratte:
L'occhio, ove l'oro appare, ha spalancato,

L'orecchio, ove si numera, e si sbatte;
Ma l'uno, e l'altro ha chiuso, e suggellato
Se il creditor presentasi, o se batte :
Arido ha il labbro per la sete grande,
E l'idropico ventre il giro spande.
Qui la Disperazion più mazzi straccia,

E quivi la Disdetta il dito morde :

La Rabbia batte i piedi, e il ciel minacci

Facendo risuonar parole lorde.

Cento Maladizion dietro sua traccia

Tutte del bestemmiar toccan le corde;
Talor silenzj furibondi, e rei

I sospiri interrompono, e gli omei.

IL MEDESIMO. Il Giuoco delle carte,

canto III.

Il Ridicolo.

Di Pindo nelle sacre regioni
Havvi un Nume da Momo generato,
Ma da Febo per suo figlio adottato.

Il Ridicolo ha nome: egli in adorno
Palagio alberga, e mille lascivetti
Satiri a lui vanno scherzando intorno,
Che

ognor si pungon con amari detti:
V'è l'Ironia, che guarda con maligno
Occhio; e col labbro mezzo aperto il Ghigno.
Il Riso v'è, ch' ambi si tiene i fianchi,

Ed ha di liete stille pregni gli occhi;

Stringe un pennello il nume, e arditi, e franchi
Vibra sopra la tela, e brevi tocchi,

Che quantunque un po' storti, e contrafatti,
Miri pur troppo simili i ritratti.

Di quà la Mascheretta sua ridente,
E il vago socco la Commedia prende;
E la Favola il velo trasparente,

Che sulla nuda Verità distende;
Qui la sardonic' erba al fiel congiunge
La satira, e gli strali acuti n'unge.....

L'arme non è nè spada, nè coltello,
Nè alcuna delle tante armi guerriere,
Ma un àgil sottilissimo flagello,

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