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Da un sol cor Felicità.
Al vederla impaziente
Corre à lei l'uman desio;
Già s'ingolfa, ed al natio
Cieco istinto addietro va.
Facil sembra il primo calle,
Nè minaccia aperta frode,
Vola il piede, e correr gode
Sul cammino lusinghier.

Ma poi oltre avanza, e mira
Trasformarsi all' improvviso
In più bivj uguai diviso
Il moltiplice sentier.

Quanti son gli umani affetti,
Tante son le strade alterne,
Nè qual sia la dritta scerne

Il capriccio giovanil.

Ai mal cauti ospiti erranti,
Ben la timida Ragione

S'offre allor, ma in van s'oppone,

Porge in van l'amico fil.

Chi nol vede, o lo ricusa; Chi lo rompe, e in se confida : Chi cercando un' altra guida Crede semper alla peggior.

V'è chi dietro il piacer corre, v'è chi ha un vano onor per duce; Altri d'or desio seduce,

Seguon altri un folle amor.

Chi så dir fra i torti giri,
Onde il chiuso stuol vaneggia,
Come ferve, e dentro echeggia

Di tumulto il loco pien!

Chi si scosta, e chi s'appressa, Chi s'incontra, e chi si schiva, L'uno parte, e l'altro arriva, Questo innoltra, e quel rivien. Ma qual prò? se dalla meta Più disgiunti ognora vanno, E d'un, tutti, in altro inganno Perdon l'opra, e il lungo dì. Questo incontra un calle chiuso, Quel s'emenda, e poi travia; Altri dopo immensa via Là si trova, onde parti.

Lasso alfine ognun dispera, Vola il tempo, il piè si stanca, Langue il core, il giorno manca, Stendon l'ombre il fosco vel.

Vani sforzi, e stolte brame,

Pensier tristi, incerti affetti
Van stringendo i mesti petti,
Di mortale acuto gel.

Poi rimorso taciturno,
E i pensieri senza frutto,
Lunga noja, amaro lutto,
Smania inquieta, e cupo duol.
E la Dea felice intanto
Che invaghi gl'incauti cuori,
Qual fantasma ai primi albori,
Si dilegua in aria a vol.

Ahi che tardi allor!... Ma dove,

E per qual sentier funesto

Si lasciò da pensier mesto

L'estro facile rapir ?

Ah che in loco si ridente,
E con ninfa si gentile
Mal conviensi il grave stile
D'un Socràtico garrir!

Dal vol dunque immaginoso
A noi torni il canto omai:
Troppo a lungo io mi scordai
Del periglio ove ancor son.

Ecco invan m'aggiro, e stanco,
Chiedo aita, e tu la nieghi,

Nè pietà, nè vaglion prieghi,

Nè di versi offerto don.

Ma s'io n'esco... oh che mai veggio?

Qual mi scorge amico Dio?

Alla meta ecco son io,

Questo è il colle, il Tempio è quì.

Pur ti giunsi, e tuo malgrado,

Teco alfin, Licori, io sono;
Alla sorte ora perdono

Quanto il piede, e il cor soffri.

CL. BONDI.

L'Ingratitudine.

Ricco di merci, e vincitor de' venti Tirsi giunger vid' io al paterno lido; Baciar l'arene il vidi, e del finito Cammino ringraziar gli Dei clementi. Anzi, perchè leggessero le Genti Qualche, di tanto don, segno scolpito, In sù l'arene stesse egli col dito

Scrisse la storia di si lieti eventi.

Ingrato Tirsi, ingrato ai Cieli amici!

Poichè ben tosto un' onda venne, e assorti
Seco tutti portò quei benefici;

Ma se un di cangeransi a lui le sorti,
Scriver vedrollo degli Dei nemici

Non sù l'arena, ma sul marmo i torti.

LODOVICO ANTONIO MURATORI.

L'Ira.

VINCITORE Alessandro l'ira vinse,
E fel minor in parte, che Filippo ;
Che gli val se Pirgotele, e Lisippo
L'intagliar solo, ed Apelle il dipinse.

L'ira Tidèo a tal rabbia sospinse,
Che morend' ei si rose Menalippo :
L'ira cieco del tutto, non pur lippo
Fatto avea Silla, all' ultimo l'estinse.

Sal Valentinian ch'a simil pena
Ira conduce, e sal quei che ne more,
Ajace in molti, e po' in se stesso forte.

Ira è breve furor; e chi nol frena,

E' furor lungo, che'l suo possessore
Spesso a vergogna, e talor mena a morte.

L'Ambizione.

NON si veloci sulle lubrich' onde,

Cui lungo verno indura,

Striscian gli abitator dell' Orsa algente,

PETRARCA.

Come Fortuna, allor ch'è più ridente
Da noi s'invola, e fura,

E volgendone il tergo il volto asconde :
Toglie, allora che porge, e si vicine

Ai doni ha le rapine,

Che beato, e infelice in un sol punto

Tu perdi il ben, quando a gran pena è giunto. il Mondo ambizioso, avaro

E pur

Vuol che costei sia Diva,

E le sparge gli altar d'arabi fumi;

Come che possa infra i celesti Numi
Star Deità nociva,

Che'l dolce di quaggiù volge in amaro.

Saggio chi men le crede, e con tal legge
I suoi desir corregge,

Ch'a i varj giri dell' instabil rota

Sempre ha stabile il cor, l'anima immota.
Tu che vivi costà fra pompe, e fasti
Ove l'ostro, ove l'oro

Vermiglio splende, e pallido riluce,

Non t'invaghir della superba luce;

Sarai maggior di loro

S'a le grandezze lor col cor sovrasti.

Schianta dal sen, prima che cresca, il seme

Del desio, della speme;

Nè venticel che lusinghier t'inviti

Gonfi le vele tue lunge dai liti.

La Speranza omicida è di mortali, Che fin al Ciel n'estolle

Perchè maggior sia'l precipizio e'l danno.

O con che dolce, e dilettoso inganno
L'alma fastosa, e folle

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