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Pascendo ognor si và de' proprj mali !
Mille pensieri ordisce, e mille voglie,
Mille ne stronca, e scioglie:

Parla, e scherza con l'ombre; erra, e delira
Tormentata dal ben che più desira.

A lusingar le sonnachiose menti
Suol dalle porte eburne

De' Sogni uscir la favolosa schiera ;
E l'immagin del ben che più si spera
Par con ombre notturne

Che vivamente al cor si rappresenti.
Il Duce avvezzo a sanguignosa pugna
Sognando il ferro impugna;
Preme il nemico alla vittoria intento,
E di vane ferite impiaga il vento.

Il cacciator tutto anelante, e lasso
Per solitario lido

Di fuggitiva cerva incalza l'orme;
Stilla sudor dal crine, e se ben dorme
Pur rauco innalza il grido,

E del veltro fedele affretta il passo.
Vede l'Avaro in chiusa parte ascoso
Tesoro luminoso,

E mentre par che'l prenda, e che lo stringa,

Di preziosa froda il cor lusinga.

L'amante alla sua Dea con mille preghi

Narra i lunghi martiri,

Che narrarle vegliando il di non osa;
Questa par che l'ascolti, e che pietosa
A' suoi caldi sospiri

L'anima adamantina inchini, e pieghi;

Ond' avido in quel punto apr' ei le braccia,

E l'ombre fredde abbraccia,

Donando in vece dell' amato Nume
Vedovi baci all' insensate piume.

Ma non si tosto il sol di raggi adorno
Della gèlida notte

Sgombra l'atra caligine dal polo,

Che de' fantasmi il vaneggiante stuolo
A le Cimmerie grotte,

Onde prima parti, sen fà ritorno.

Tal sogliono i pensier dell' alma insana per l'aria vana:

Svanir

Chè le speranze fuggitive, e incerte
Sogni son di chi dorme à ciglia aperte.
Frate, godrai quaggiù vita serena
Se non t'ingombra il petto

Di grandezze, e d'onor cura mordace;
E forse quel ch'or più t'alletta, e piace,
E par dolce in aspetto,

Posseduto saria cagion di pena.

L'alma nel desiar qual Talpa è cieca;

Talor più duol le reca

Quel che più brama; e spesso avvien, che dove

Vita aver si credèa, morte ritrove.

Son gastighi del Cielo anco gli onori ;

A chi, per Dio, non sono

Le fortune di Mida, e i casi noti?
Con sordide preghiere, e avari voti
Dagli Dei chiese in dono

L'ambizioso Re pompe, e tesori;
Chiese di trasformar in auree masse
Tutto ciò ch'ei toccasse,

Ne contento d'aver tesori appresso

Di se stesso tesor fece a se stesso.

Toccò ruvido sasso, oro divenne; Toccò rosa vermiglia,

Folgoreggiò su la nativa spina:

Ma con la doglia ogni piacer confina;
Il cibo, o maraviglia !

Morso più s'indurò, più si ritenne.

E congelarsi in biondo ghiaccio i vini
Alle labbra vicini.

Bestemmiò l'oro, e dell' insania avvisto
Si maledi del suo dannoso acquisto.

FULVIO TESTI.

Il Ruscelletto.

RUSCELLETTO, che in queste amene, e care
Piagge t'aggiri tra l'erbette, e i fiori,
E che con l'acque tue limpide, e chiare
Specchio sei di donzelle, e di pastori;

Con tanta fretta, semplicetto, al mare
Non correr, nò. Dal natio letto fuori
Allegro uscendo, nell' Adriache amare
Onde speri tu aver sorti migliori ?

Folle! a tua voglia con veloci, o lenti
Passi qui giri, ond' è che ognun ti nome
Signor di questo verde, ed ampio prato.
Servo là di Nettun, sempre agitato

Sarài dai remi, o dal furor dei venti,
E perderài con le dolci acque il nome'.

PIETRO AGOSTINO ZANOTTI.

Ved. Allégories, Il Torrente.

Il Rio.

PIANTO del monte, e della valle lira, Vita del prato, e Specchio dell' Aurora, Anima dell' April, latte di Flora,

Per cui la rosa, e'l gelsomin respira;

Ben il tuo corso i campi, ovunque gira, Di vive perle, e di smeraldi infiora; Ma quel tuo chiaro andar più m'innamora, Di quanto in tua natura il mondo ammira. Quanto semplice, e schietto il tuo profondo (Come passar per vetro è l'occhio usato) Lascia mirar quanto si chiude in fondo!

Come ne vai sincero, o Rio ben nato!

O bella dote dell' antico mondo!
Perdella l'uomo, ed acquistolla il prato.

GIOVAN BATTISTA PASTORINI.

La Fortuna.

CHE speri, instabil Dea, dei sassi, e spine Ingombrando a' miei passi ogni sentiero ? Ch'io tremi forse a un guardo tuo severo? Ch'io sudi force a imprigionarti il crine?

Serba queste minacce alle meschine Alme, soggette al tuo fallace impero; Ch'io saprei, se cadesse il mondo intero, Intrepido aspettar le sue ruine.

Non son nuove per me queste contese; Pugnammo, il sai, gran tempo, e più valente Con agitarmi il tuo furor mi rese;

Che dalla ruota, e dal martel cadente,
Mentre soffre l'acciar colpi, ed offese,
E più fino diventa, e più lucente.

METASTASIO.

Il Tempo.

QUAL Vasto-fiume impetuoso, e fiero
Gonfia talora, e rompe argine, e sponda,
E le cittadi, e le campagne inonda,
E fassi ognor più tòrbido, e severo;
Per le ruine altrui s'apre il sentiero,
E di ben mille stragi in seno abbonda,
Fin che nel vasto mar giunga, e s'asconda,
Delle rapite spoglie onusto, e altero.

Tal muove il Tempo ingiurioso il piede,
Seco portando, ohimè! superbo ognora
Tante diverse gloriose prede.

E in van scampo s'attende, e in van si plora, Se de l'oblio nel mare, ov' ei sen riede,

Perde se stesso, e sue rapine ancora.

MARC-ANTONIO Mozzi.

La sola Virtù vince l'invidia del tempo.

SUPERBA nave a fabbricar intento

Dal Libano odorato i cedri tolga
Industre fabbro, e sciolga

Lucida vela di tessuto argento;

Sèriche sian le funi, e con ritorto

Dente l'ancora d'or s'affondi in porto.

Non per tanto avverrà, che meno ondose

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