E di quelli, e di questi Ingombrando la mente, Fà la vita parer trista, e dolente. Mille desir nojosi Mena la Notte sotto alle fosch' ali, Che turbano i riposi Nostri, e le spemi frali, Salde radici d'infiniti mali. Ma voi tosto che l'anno Esce col sole dal monton celeste, Si lagna, e d'allegrezza il di si veste : All' apparir del giorno Sorgete lieti a salutar l'Aurora, E'l bel prato d'intorno Spogliate ad ora ad ora Del vario fior, che'l suo bel grembo onora : E'nghirlandati il crine, Di più felici rami, gli arbuscelli Nelle piagge viciné Fate innestando belli, Ond' innalzano al ciel vaghi capelli. E talor maritate Ai verd' òlmi le viti tenerelle, Ch'al suo collo appoggiate, E di foglie novelle Vestendosi, si fan frondose, e belle. Poichè alla notte l'ore Ritoglie il giorno, del securo ovile La greggia aprite fuore, E con soave stile, Cantate il vago, e dilettoso Aprile. E'n qualche valle ombrosa, Ch'a i raggi ardenti di Febo s'asconde, Là, dove Eco dogliosa Sovente alto risponde Al roco mormorar di lucid' onde; Chiudete in sonni molli Gli occhi gravati; e spesso i bianchi tori Mirate per li colli, Spinti da' loro amori Cozzar insieme; e lieti a i vincitori Coronate le corna, Onde si veggion poi superbi, e feri E gir in vista alteri, Come vittoriosi cavalieri. Spesso da poi che cinta Di bionde spiche il crin la State riede, Con l'irta chioma avvinta Di torta quercia, il piede Vago movendo, con sincera Fede; In ampio giro accolti, La figlia di Saturno alto chiedete; E con allegri volti Grati, come devete L'altar del sangue a lei caro spargete. Sovente per le rive, Con le vezzose pastorelle a paro, Sedete all'ombre estive; E senza nullo amaro Sempre passate il di felice, e chiaro. A voi l'Autunno serba Uve vestite di color di rose, Pomi la pianta acerba, Mele l'api ingegnose, Voi, mentre oscuro velo Il vostro chiaro ciel nasconde, e serra; Mentre la neve e'l gielo A le piagge få guerra, Lieti de' frutti della ricca terra, Or col foco, or col vino, Sedendo a lunga mensa in compagnia, Sprezzate ogni destino; Nè amore o gelosia Dagli usati diletti unqua vi svia : Or tendete le reti A la grù pellegrina, alla cervetta ; Or percotete lieti Con fromba, o con saetta La fuggitiva damma, e semplicetta. Voi quiete tranquilla Avete, e senz' affanno alcun la vita; Ad altrui danni invita, Ma senza guerra mai pace infinita. Quanto t'invidio cosi dolce stato ! Ma veramente si può dir beato. BERNARDO TASSO. Lo stesso argomento. CARE selve beate, E voi solinghi, e taciturni orrori, A rivedervi i' torno! e se le stelle Di viver' a me stessa, e di far vita Io già co' campi Elisi Fortunato giardin de' Semidei, La vostr' ombra gentil non cangerei : Chè se ben dritto miro, Questi beni mortali Altro non son che mali : Men ha, chi più n'abbonda, E posseduto è più che non possiede : Richezze nò, ma lacci Dell' altrui libertate. Che val ne' più verdi anni Titolo di bellezza, O fama d'onestate, E'n mortal sangue nobiltà celeste; Tante grazie del cielo, e della terra, Qui larghi, e lieti campi, E là felici piaggie; Fecondi paschi, e più fecondo armento, Se in tanti beni il cor non è contento ? Felice pastorella, Cui cinge appena il fianco Povera si, ma schietta, E candida gonnella! Ricca sol di se stessa, E delle grazie di natura adorna; Che in dolce povertade, Nè povertà conosce, nè i disagi Ma tutto quel possede, Per cui desio d'aver non la tormenta. Nuda si, ma contenta Co' doni di natura, I doni di natura anco nudrica: Col latte il latte avviva, E col dolce dell' api Condisce il mel delle natie dolcezze : Quel fonte ond' ella beve, Quel solo anco la bagna, e la consiglia : Paga lei, pago il mondo. Per lei di nembi il Ciel s'oscura indarno, E di grandine s'arma, Che la sua povertà nulla paventa : Nuda si, ma contenta. Sola una dolce, e d'ogni affanno sgombra Cura le stà nel core: Pasce le verdi erbette La greggia a lei commessa, ed ella pasce De' suoi bei occhi il pastorello amante; Non qual le destinaro O gli uomini, o le stelle; Ma qual le diede amore. E tra l'ombrose piante D'un favorito lor mirtèto adorno, |