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Sia la potenza istessa,

Che passi a sostener tutte le forme;

E fin che torni al nulla, ov' ora giace,
Sempre legata, sia sempre fugace.

Ma per cui la grand' opra?

Per l'Uom, che poi di si bel dono indegno Farà con folle ingegno,

Che tua Giustizia, e tua Pietà si scopra.

Avrà d'Angiol la mente,

Avia de' Bruti il senso,

Misto di corruttibile, ed eterno.

Ed esso ubbidiente

Fia questo Regno immenso,

Ove le leggi tue non prenda a scherno.
Tutte le fere, o mansuete, o dome,
Avran dal suo voler le leggi, e' l nome.

Questa, che in si leggiadra

Forma qui ti dipingo a lui vicina,

Sembianza peregrina,

E della Morte, e de' mortai fia madre.

Oh di quai maraviglie,

Oh di quai vanti egregi,

Io voglio ornar quel femminil suo viso!

Alle future figlie

Trapassando i bei pregi

Usurperan gl'incensi al Paradiso.

Oh troppo al vero sol chiuse pupille,
Quanto v'abbaglieran poche faville!
Ma pur di bella arsura

Sò, che molte arderån Alme gentili,
Che sovra i sensi vili

S'alzeranno al Fattor della natura.

Quanto fia vago quello

Splendor, che in Ciel si crede,

Dirà d'alto stupor la mente ingombra,

Se così bello è il bello,

Che di quel bel fà fede,

Che splende in cielo, e di quel sole, è un' ombra ? »

La Dea qui tacque. Il suo consiglio abbraccia

Allora, e disse il gran Voler: « Si Faccia. »

Francesco de Lemene. 1700.

La Fortuna.

UNA donna superba al par di Giuno Con le trecce dorate all' aura sparse, E co' begli occhi di cerulea luce, Nella capanna mia poc' anzi apparse; E come suole ornarse

In su l'Euphrate bárbara Reina :

Di bisso, e d'ostro si coprìa le membra,

Nè verde lauro o fiori,

Ma d'indico smeraldo alti splendori

Le fean' ghirlanda al crine.

In si rigido fasto, ed uso altero

Di bellezza, e d'impero

Dolci lusinghe scintillaro al fine,

E dall' interno seno

Usciro allor maravigliosi accenti,

Che tutti erano intenti

A torsi in mano di mia mente il freno.

« Ponmi, disse, la destra entro la chioma, E vedrai d'ogni intorno

Fèan pour facèun (de facèano, ou facevano.)

Liete, e belle venture

Venir con aureo piede al tuo soggiorno :
Allor vedrai ch'io sono

Figlia di Giove, e che germana al Fato,
Sovra il trono immortale

A lui mi siedo a lato.

Alle mie voglie l'Ocean commise
Il gran Nettuno, e indarno

Tentan l'Inde, e il Britanno

Di doppie ancore, e vele armar le Navi,
S'io non governo le volanti antenne,
Sedendo in su le penne

De' miei spirti soavi.

Io mando alla lor sede

Le sonanti procelle

E lor stò sopra col sereno piede:

Entro l'Eòlie rupi

Lego l'ali de' venti,

E soglio di mia mano

De' turbini spezzar le rote ardenti;

E dentro i proprj fonti

Spegno le fiamme orribili, inquiete,
Avezze in Cielo a colorir comete.

Questa è la man, che fabbricò sul Gange

I regni agl' Indj, e sù l'Oronte avvolse
Le regie bende dell' Assiria ai crini;
Pose le gemme a Babilonia in fronte,
Recò sul Tigri le corone al Perso,
Espose al piè di Macedonia i troni.

Del mio poter fur doni

I trionfali gridi

Che al giovine Pellèo s'alzàro intorno,

Quando dell' Asia ei corse,

Qual fero turbo, i lidi,

E corse meco vincitor sin dove

Stende gli sguardi il sole.

Allor dinanzi a lui tacque la terra,

E fe' l'alto Monarca

Fede agli uomini allor d'esser celeste,
E con eccelse, ed ammirabil prove
S'aggiunse ai Numi, e si fe' gloria a Giove.
Circondaro più volte

I miei genj reali

Di Roma i gran natali;

E l'Aquile superbe

Sola in prima avvezzai di Marte al lume,

Ond' alto in sù le piume

Cominciaro a sprezzar l'aure vicine,

E le palme sabine.

Io senato di Regi

Su i sette colli apersi;

Mè negli alti perigli

Ebbero scorta, e duce
I Romani consigli:

Io coronai d'allori

Di Fabio le dimore,

E di Marcello i violenti ardori.

Africa trassi in sul Tarpeo cattiva,

E

per me corse il Nil sotto le leggi

Del gran fiume Latino:

Ne si schermiro i Parti

Di fabbricar trofèi

Di lor faretre ed archi :

In sù le ferree Porte infransi i Daci,

Al Caucaso, ed al Tauro il giogo imposi.

Al fin tutte de' venti

Le patrie vinsi, e quando

Ebbi sotto a' miei piedi

Tutta la terra doina,

Del vinto Mondo fei gran dono a Roma.

Sò che ne' tuoi pensieri

Altre figlie di Giove

Ragionano d'imperi,

E delle voglie tue fansi Reine;
Da lor speri venture alte, e divine:
Speran per loro i tuoi superbi carmi
Arbitrio eterno in sù l'età lontane :
E già del loro ardore,
Infiammata tua mente,
Si crede esser possente
Di destrieri, e di vele
Sovra la terra, e l'onde,

Quando tu giaci in pastorale albergo
Dentro l'inopia, e sotto pelli irsute :
Ne v'è chi a tua salute

Porga soccorso. Io sola

Tè chiamo a novo, e glorioso stato:

Seguimi dunque, e l'alma

Col pensier non contrasti a tanto invito;

Chè neghittoso, e lento

Già non può star sù l'ale il gran momento. »

Una felice Donna, ed immortale,

Che dalla mente è nata degli Dei,

Allor risposi a lei,

Il sommo impero del mio cor si tiene,

E questa i miei pensieri alto sostiene,

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