Era l'infida, e mal secura destra D'ingiusto ferro armata. Primi s'offriro ai desiosi sg uardi Sovra l'estrema sp onda, Amor, gli aurei tuoi dardi: Psiche li tocca appena, e n'è ferita. Il volto, e l'ali; Amor conosce, ed ama; E cade il ferro, e la lucerna incauta Coll' ardente liquor l'omero impiaga. Te ritenne Citera. Ivi t'accolse L'offese della tua dolce nimica, Te richiamava lagrimando invano. Poscia il furor non tacque, E invocò morte, e si lanciò nel fiume: Cara un tempo ad Amore La rispettaron l'acque. Lei che raminga in traccia Del perduto signor scorrea le terra, Incoraggi soave La Dea, che al crin le bionde spiche allaccia; Racconsolando, e la compianse Giuno. Sola Venere altera Non calmò l'ire gravi, e sù l'afflitta Compier giurò la sua vendetta intera. Carcere, e i duri ufficj! Chi l'auree lane, e la difficil unda? Amor, dov' eri ? a te che tutto sai Della tua Psiche i guai ? Ella, come imponea la sua tiranna, Osò d'entrar per la Tenaria porta, E par vivendo il piede Ne' tristi regni della gente morta. Allo splendor dell' auro Lei l'avaro nocchier ponto raccolse, E varcò la palude. Latra Cèrbero invano, Le gole il cibo, e gli occhi il sonno chiude. Ella passa, e il soggiorno Tenta di Pluto, e il fatal dono chiede: Ricusa i cibi, e al giorno Da Proserpina riede. Deh, qual ti mosse femminil disegno, Psiche, ad oprir la chiusa urna fatale ? Era il più orribil pegno; Ed ecco un vapor nero Uscia, la cara a te luce togliendo, E rendea l'alma al mal lasciato impero. Ma vide Amor dall' alto, Vide, e pietate il prese, La conservò da morte. E volgea ratto al sommo Olimpo l'ali, E innanzi al Re, che i maggior Dii governa, E chiedea modo a tanta ira materna. Dolce a Psiche porgea. Ella bevve, e fu Dea. LODOVICO SAVIOLI, Bolognese. Ch'ogni lascivo in se rinchiude, e serra. - Ove prima abitasti ? In gentil cuore, Che sotto al mio valor presto s'atterra. · Chi fù la tua nutrice ? Giovinezza, E le sue serve accolte a lei d'intorno, Leggiadria, Vanità, Pompa, e Bellezza. - Di che ti pasci? - D'un guardar adorno. Non può contro di te morte o vecchiezza? Nò; ch'io rinasco mille volte il giorno. SERAFINO. 1502. Addio d'Ettore e d'Andromaca. Au dove corri, o troppo Nobile spirto! vittima vuoi farti Cercherån nella mischia, in te fien volti Scorreran nelle lagrime, più speme, Tebe superba, il furibondo Achille La fe' pasto alle fiamme; Achille uccise Che prò, se il merto tuo dal crudo ottenne |