Per pietà non partir, non far che resti Vedova la consorte, òrfano il figlio; Nella torre t'arresta, e di ue genti Colà fa massa ove il silvestre fico Spande i suoi rami, ivi men aspra, ed erta La muraglia accessibile all' assalto Fà la cittade; ben tre volte Ajace, Tidide, Atride, Idomenèo fer prova Di quà salir, che un qualche Dio maligno Mostrò lor questo varco; ah non indarno, Potrian tentarlo; un tal periglio è degno Del tuo valore, altri combatta in campo, Tu la città, la sposa tua difendi. Sposa diletta, intenerito il guardo Così l'Eroe, ti rassicura, o degna Parte di me; tutto è mia cura, a tutto Io già vegliai, ma di si scarso merto Non s'appaga il mio cor; degg' io qual vile Contro la furia ostil farmi riparo
Di queste mura or che, colà nel campo Il fido popol mio versa il suo sangue, E lo consacra a me ? qual onta, o cielo ! Ah che diriano i Teucri, e le de' Teucri Donne calde d'onor, se tralignante De se stesso mirassero, e codardo Il loro Ettore? io della gloria in grembo Da' prim' anni nudrito, ognor fui primo Ne' cimenti onorati; in me riposa
Di Troja il nome, e della schiatta il vanto. Ma che ? dolce compagna, altra nel core Voce mi parla coll' onor concorde, La voce dell' amor; del puro, e sacro
Nodo che a me ti stringe, essa mi grida Di non tornar, di non depor l'acciaro Sinchè cacciati alle lor navi, e spersi Non ho costoro; anzi costretti al fine Nudi di speme, e di soccorso all' onde Fidar lor sorte, e via fuggirne; è questo L'acconcio istante, or che l'irato Achille Niega agli Achei del poderoso braccio La forte aita. Ah, lo confesso, o cara, Finchè ascolto tant' oste, e finchè scorgo Si da presso l'incendio, e Troja intorno Cinta di così orribile corona,
Pace non ho, non ho conforto, io tremo Sul destin nostro; immagini funeste Fanno assedio al mio spirto, e i sogni miei Turban orride larve; io veggo, ahi vista! Incenerita Troja, a terra stesa Ecuba, Priamo semivivo, e tratto Col crin canuto per la polve; immersi Nel proprio sangue, e l'un sull' altro ancisi Tutti i fratelli a te; te veggo, ah questo Più mi lacera il cor, fra pianti, e strida Regale schiava strascinata in Argo Attigner l'acqua di Messeide al fonte, Doma dall' inflessibile tiranna
Necessitade, o di padrona altera
Servir al fasto; e parmi udir chi dica Con pietade insultante: oh vedi, è questa, Questa è d'Ettor la sposa ; a una tal voce Sgorga dalle tue luci amara vena D'inessicabil pianto, ed io mi desto Fra palpiti di morte, ebbro di doglia.
Onnipossenti Dei, da noi stien lungi Siffatti orrori; Andromaca sia salva, E sul capo d'Ettor tutta si sfoghi L'ira del ciel : ma che ? respiro, e l'asta Tratta ancor questa mano, ella due volte Gli Achei respinse; omai si sgombri appieno Il nembo rio che ne funesta, aita Darà Minerva a' suoi divoti, io corro,
No non temer, per te combatto, o sposa, E vincerò per te. Così dicendo
Cupidamente ambo le bracchia stese
Verso il bambin; mise il bambino un grido, Ritorse il volto, e lo celò nel petto Della nutrice, impaurito al fosco
Lume dell' arme, ed al cimier che d'alto Con lunga cresta minaccioso ondeggia: Sorrise il padre a cotal atto, e a terra Deposto l'elmo, il pargoletto in collo Rècasi, e lo si bacia, e lo palleggia Tre volte, e quattro caramente, e in alto Lui sollevando ad ambe mani: o Giove, Eccoti il figlio mio, grida, tu guarda La sua crescente età, fà tu ch' ei regni Felice in Troja, e sia de' suoi sostegno, De' nemici spavento, e in rimirarlo Carco tornar delle sanguigne spoglie D'aspro nemico, ognuno esclami, ab questo, Questo le glorie anco del padre adombra; L'oda la madre palpitante, e un rivo Di dolcissima gioja il cor le inondi. Di nuovo il bacia, e nel materno grembo Ripone il figlio; ella sel guarda, e stringe
Con tristo gaudio, e un teneroso sorriso Spunta su gli orli al lagrimosó sguardo. A si dolce spettacolo pietoso
Ondeggia Ettor tra varj affetti, alfine Fatto più fermo: assai, le dice, o cara Diessi a natura, omai cessa col pianto Di turbar la mia speme. Alfin ripensa Che trarmi a morte anzi il voler del fato Forza umana non può; che in tetto, o in campo Tutti del paro un fatal punto attende;- Sia che può dunque, ed il dover si compia. Torna agli usati uffizj, io là m'affretto Dove il mio mi rappella; addio, rammenta Che sei moglie d'Ettòr, di me più degna Ti renda il tuo coraggio: Il fulgid' elmo Riprende, e frettoloso indi si toglie. Resta la sposa senza moto, e pende Col cor su i passi del suo caro, ei sparve; Lenta lenta s'avvia, ma spesso indietro Torna col guardo : alfin muta dolente, Giunge alla regia stanza, accorron tosto L'ancelle uffiziose, il mesto aspetto Della sposa regal diffonde in tutte Alta, e cupa tristezza, e a lei mirando D'Ettor vivente per istinto ignoto
Ogni volto, ogni cor, piange la morte.
CESAROTTI. Iliade d'Omero, lib. VI.
Danao, Ipermestra, Linceo, Plistene (amico di Linceo),
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