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ALESSANDRO.

In India Eroe si grande

E' germoglio straniero. In Greca cuna
D'esser nato il tuo Re degno saria.

PORO.

Credi dunque che sia

Il ciel di Macedonia

Sol fecondo d'Eròi? Pur sù l' Idaspe
La gloria è cara, e la virtù s'onora:
A gli Alessandri suoi l' Idaspe ancora.

ALESSANDRO.

Valoroso guerriero, al tuo signore
Libero torna, e digli

Che sol vinto si chiami

Dalla sorte, o da me; l'antica pace

Poi torni a' regni sui.

Altra ragion non mi riserbo in lui.

PORO.

Vinto si chiami? E ambasciador mi vuoi

Di simili proposte ?

Poco opportuno ambasciador scegliesti.

ALESSANDRO.

Ma degno assai. Si lasci

Libero il varco al prigionier '; ma inerme

Partir non dee. Questa, ch'io cingo, accetta2
Di Dario illustre spoglia,

'Ai Greci.

2

Si toglie dal fianco la spada, per dar la à Poro.

Che la man d'Alessandro a te presenta;
E lei trattando il donator rammenta.

PORO.

Vedrai con tuo periglio

Di questa spada il lampo,
Come baleni in campo
Sol ciglio al donator.
Conoscerai chi sono:
Ti pentirai del dono;
Ma sarà tardi allor

LO STESSO. Alessandro nell' Indie,

att. II, sc. XIV.

Cesare, Catone.

CATONE.

Cesare, a me son troppo

Preziosi i momenti, e qui non voglio

Perderli in ascoltarti :

O stringi tutto in poche note, o parti.

CESARE.

T'appagherò. (come m'accoglie!) Il primo
De' miei desiri, è il renderti sicuro

Che il tuo cor generoso,

Che la costanza tua.....

CATONE.

Cangia favella,

Se pur vuoi che t'ascolti. Io sò che questa
Artifiziosa lode è in te fallace;

E vera ancor, da' labbri tuci mi spiace.

Poro prende la spada da Alessandro.

CESARE.

(Sempre è l'istesso.) Ad ogni costo io voglio Pace con te. Tu scegli i patti; io sono

Ad accettarli accinto,

Come faria col vincitore, il vinto.

(Or che dirà?)

CATONE.

Tanto offerisci ?

CESARE.

E tanto

Adempirò, che dubitar non posso

D'un' ingiusta richiesta.

CATONE.

Giustissima sarà. Lascia dell' armi
L'usurpato comando; il grado eccelso
Di Dittator deponi; e, come reo,
Rendi in carcere angusto

Alla patria ragion de' tuoi misfatti.
Questi, se pace vuoi, saranno i patti.

Ed io dovrei?.....

CESARE.

CATONE.

Di rimanere oppresso

Non dubitar, che allora

Sarò tuo difensore.

CESARE.

(E soffro ancora. )

Tu sol non basti. Io so quanti nemici

Con gli eventi felici

M'irritò la mia sorte, onde potrei
I giorni miei sagrificare in vano.

CATONE.

Ami tanto la vita, e sei Romano!
In più felice etade agli avi nostri
Non fù cara così. Curzio rammenta,
Decio rimira a mille squadre a fronte;
Vedi Scevola all'ara, Orazio al ponte,
E di Cremera all' acque,

Di sangue, e di sudor bagnati, e tinti
Trecento Fabj in un sol giorno estinti.

CESARE.

Se allor giovò di questi,

Nuocerebbe alla patria or la mia morte.

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Tu credi più sicura in mano a tanti,
Discordi negli affetti, e ne' pareri ?

Meglio il voler d'un solo

Regola sempre altrui. Solo fra' Numi

Giove il tutto del ciel governa, e move.

CATONE.

Dov'è costui che rassomigli a Giove?
Io non lo veggo; e, se vi fosse ancora,
Diverrebbe tiranno in un momento.

CESARE.

Chi non ne soffre un sol, ne soffre cento.

CATONE.

Cosi parla un nemico

Della patria, e del giusto. Intesi assai :

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(Quanto sopporto!) Il combattuto acquisto

Dell'impero del Mondo, il tardo frutto
De' miei sudori, e de' perigli miei,
Se meco in pace sei,

Dividerò con te.

CATONE.

Sì, perchè poi

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