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Non trova loco, torbida, inquieta,

Già buona pezza in dispettosa fronte

Torva il riguarda : al fin prorumpe all' onte.

Risposta d'Armida.

Ne te Sofia produsse, e non sei nato
Dell' Azzio sangue tù: te l'onda insana
Del mar produsse, e 'l Caucaso gelato;
E le mamme allattar di tigre ircana.
Che dissimulo io più? l'uomo spietato
Pur un segno non diè di mente umana :
Forse cambiò color? forse al mio duolo
Bagnò almen gli occhi, o sparse un sospir solo?
Quali cose tralascio, e quai ridico ?
S'offre per mio, mi fugge, e m'abbandona.
Quasi buon vincitor di reo nemico
Obblia le offese, e i falli aspri perdona.
Odi come consiglia ? Odi il pudico
Senocrate, d'amor come raggiona!

O Cielo! o Dei! perchè soffrir questi empj,
Fulminar poi le torri e i vostri tempj?

Våttene pur, crudel, con quella pace
Che lasci a me : våttene, iniquo, omai.
Me tosto, ignudo spirtó, ombra seguace,
Indivisibilmente a tergo avrai.

Nuova furia, co' serpi, e colla face

Tanto t'agiterò, quanto t'amai.

E s'è destin ch'esca del mar, che schivi

Gli scogli, e l'onde, e ch' alla pugna arrivi;

Là, tra 'l sangue, e le morti, egro giacente Mi pagherai le pene, empio guerriero.

Per nome Armida chiamerai sovente
Ne gli ultimi singulti: udir ciò spero.
Or qui mancò lo spirto alla dolente;
Nè quest' ultimo suono espresse intero,
E cadde tramortita, e si diffuse

Di gelato sudore, e i lumi chiuse.

LO STESSO, Canto XVI.

Goffredo.

O de' nemici di Gesù flagello,
Campo mio, domator de l'Oriente,
Ecco l'ultimo giorno: eccovi quello
Che già tanto bramaste omai presente.
Nè senz' alta cagion che'l suo rubello
Popola in un s'accoglia il ciel consente.
Ogni vostro nemico è qui congiunto
Per fornir molte guerre in un sol punto.

Noi raccorrem molte vittorie in una;
Nè fia maggiore il rischio, o la fatica.
Non sia, non sia tra voi temenza alcuna
In veder cosi grande oste nemica :
Chè discorde fra se mal si raguna,
E negli ordini suoi se stessa intrica,
E di chi pugni il numero fia poco:
Mancherà il core a molti, a molti il loco.

Quei che incontra verranci, uomini ignudi
Fian per lo più, senza vigor, senz' arte;
Che dal lor ozio o dai servili studi
Sol violenza or allontana, e parte.
Le spade omai tremar, tremar gli scudi,
Tremar veggio l'insegne in quella parte:

Conosco i suoni incerti, e i dubbj moti:
Veggio la morte loro ai segni noti.

Quel capitan che cinto d'ostro et d'oro
Dispon le squadre, e par si fero in vista,
Vinse forse talor l'Arabo o 'l Moro;

Ma il suo valor non fia ch'a noi resista.
Che farà, benchè saggio, in tanta loro
Confusione, e si torbida, e mista?
Mal noto è, credo, e mal conosce i sui,
Ed a pochi può dir: tu fosti, io fui.

Ma capitano i' son di gente eletta :
Pugnammo un tempo, e trionfammo insieme :
E poscia un tempo a mio voler l'ho retta.
Di chi di voi non sò la patria e' l seme?
Quale spada m'è ignota? o qual saetta,
Benchè per l'aria ancor sospesa treme,
Non saprei dir, s'è franca, o se d' Irlanda,
E quale appunto il braccio è che la manda ?
Chiedo solite cose: ognun qui sembri
Quel medesmo ch' altrove i' l'ho già visto ;
E l'usato suo zelo abbia, e rimembri
L'onor suo, l'onor mio, l'onor di Cristo.
Ite, abbattete gli empj, e i tronchi membri
Calcate, e stabilite il santo acquisto.
Che più vi tengo a bada ? Assai distinto
Ne gli occhj vostri il veggio; avete vinto.

LO STESSO, Canto XX.

Colombo a' suoi compagni.

DEL Ligustico Eroe derise i vanti Italia, allor ch'ei disse

Trovarsi ignoto un nuovo mondo al mondo,

E intrepido affermò, che nel profondo

Vast' ocean prefisse

Troppo vil meta Alcide ai pini erranti ;

Ma non si tosto al regnator Ibero

Apri l'alto pensiero,

Ch' egli ebbe, a scorno altrui, d'armati legni Opportuno soccorso ai gran disegni.

Già d'invitti guerrier carche le navi,
Quasi odiando il porto,

Pronte attendean del capitan gl' imperi:
Spiravano dal ciel venti leggieri,

E sol con dente torto

Mordean l'arene ancor l'ancore gravi;

Quando il gran duce in sulla poppa assiso,
Tutto di fiamma il viso,

Alla raccolta gioventù feroce

Sciolse in tal guisa a favellar la voce.

Compagni, eccoci giunto omai quel die, Che varcando quest' onde

Facciam di regni, e più di gloria acquisto :

Non sia, per Dio, chi sospiroso, e tristo
Lasci le patrie sponde,

E paventi solcar l'umide vie

Fia ch'a si bello ardir Fortuna arrida;
Scorta io vi sono, e guida;

Novella patria vi prometto, e giuro,
Sotto più ricco ciel, porto sicuro

Colà volgono i fiumi arene d'oro,
D'adamanti, e rubini

Mostran gravido il sen caverne, e rupi;
Germogliano del mar ne' fondi cupi

Coralli assai più fini

Di quei, ch' usan pescar l'Arabo e 'l Moro;
Son le spiaggie più inospite, e romite
Sparse di margherite ;

E si rivolga in quella parte, o in questa
Se non or, se non gemme il piè calpesta.
Vostre saran si preziose prede,

Voi primi il vanto avrete

D'acquistar novi regni al mondo, a Dio;
E forse anco avverrà, ch' il nome mio
Trionfando di Lete,

Sia di fama immortal non vile erede;
E Italia ai voti miei poco benigna,
Quasi invida matrigna,

Vedrò, ben ch'è da sezzo, un di pentita
D'aver negata al mio grand' uopo aita.

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Deh' tu l'ascolta; è voce

Cui nulla agguaglia. Ei forse è assai men reo
Anzi impossibil par, che in questo il sia:
Ma qual ch'ei sia, lo ascolta oggi tu stesso :
Intercessor farsi pel figlio al padre,

Chi più del figlio il può ? se altero egli era
Talor con gente, al ver non sempre amica,

' Carlo.

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