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Mu d'ogni cosa Archesilèo dubbioso.
Vidi in suoi detti Eráclito coperto,
E Diogene Cinico in suoi fatti

Assai più che non vuol vergogna, aperto :
E quel che lieto i suoi campi disfatti
Vide, e deserti, d'altra merce carco,
Credendo averne invidiosi patti.

Iv' era il curioso Dicearco,
Ed in suoi magisteri assai dispari,
Quintiliano, e Seneca, e Plutarco.
Vidivi alquanti ch'an turbati i mari
Con denti avversi, ed intelletti vaghi;
Non per saper, ma per contender chiari;
Urtar, come leoni; e come draghi
Con le code avvinchiarsi : or che è questo,
Ch' ognun del suo saper par che s'appaghi?
Carneade vidi in suoi studj si desto,
Che parland' egli, il vero e'l falso appena
Si discernèa; cosi nel dir fu presto.

La lunga vita, e la sua larga vena D'ingegno pose in accordar le parti, Che'l furor letterato a guerra mena.

Ne'l poteo far: che come crebber l'arti,
Crebbe l'invidia, e col sapere insieme
Ne' cuori enfiati i suoi veneni sparti.
Contra'l buon Sire che l'umana speme

Alzò, ponendo l'anima immortale,
S'armò Epicuro; onde sua fama geme;
Ardito a dir ch' ella non fosse tale;

Cosi al lume fu famoso, e lippo
Con la brigata al suo maestro eguale;

Di Metrodoro parlo, e d'Aristippo.
Poi con gran subbio, e con mirabil fuso
Vidi tela sottil tesser Crisippo.

Degli Stoici'l padre alzato in suso,
Per far chiaro suo dir, vidi Zenone
Mostrar la fama aperta, e'l puguo chiuso :
fermar sua bella intenzione,

E per

La sua tela gentil tesser Cleante;

Che tira al ver la Vaga opinione.

Qui lascio, e più di lor non dico avante. PETRARCA. Trionfo della Fama, capitolo III.

Lo stesso argomento.

DIVIN Poeta è raro dono in terra,
Concesso a qualche età; dono, che scende
Dal tesor degli Dei. Non io vo troppo
Tempi cercar lontani. Omero venne,
D'immensa poesia primo maestro,
Che meritò più patrie, e sonar alto
Fe' nell' epica tromba uomini, e Divi,
Troja distrutta, Argo vittrice, e nume
Vinti da numi in cielo, e al vivo tutte
Primier dipinse le memorie antiche.

Pindaro surse, e ai maggior modi tese,
Madre d'inni Febei, la Greca lira,
E ai vincitor d'Elide in fronte pose

Le corone di Pindo. In Tèo le Grazie

Nato educaro Anacreonte, ed egli

Mutò suono alle corde, e in dolci versi

Tutte le fèo sol ragionar d'amore.

Manto diede Marone ai di, che Augusto Rivolse in oro. Del Meonio carme

Marone emulator, dei nuovi fati

Del pio Trojano, e della nuova Troja
Nel contrastato in van Latino suolo
Empiè la tromba, ed uguagliò la Greca.
Die Venosa il buon Flacco, augel Latino,
Che pien di Febo, le Pindaric' ali
Primo raggiunger seppe, e tentar nuove,
Tutte nuovo splendor, liriche vie.
Sirmio Catullo diè, che sul Romano
Felice fiume col gentil Tibullo
In altri accenti fe' del Teio vate
Parlar la lingua le Latine Muse.

Properzio venne, e sollevò cotanto
La modesta Elegia, che duci ed armi
Grande osò risonar, però serbando
Sempre ad Amor le sue ragioni intatte.

FRUGONI.

La Cetra di Virgilio.

QUELLA cetra gentil, che'n sulla riva
Cantò di Mincio Dafni, e Melibeo,
Si, che non sò, se in Menalo o'n Liceo
In quella, o in altra età simil s'udiva;
Poichè con voce più canora, e viva
Celebrato ebbe Pale, ed Aristeo,

E le grand' opre, che in esilio feo
Il gran figliuol d'Anchise, e della Diva;
Dal suo pastore in una quercia ombrosa

Sacrata pende, e se la move il vento,
Par che dica superba, e disdegnosa;

Non sia chi di toccarmi abbia ardimento;
Chè, se non spero aver man si famosa,
Del gran Titiro mio sol mi contento.

ANGELO DA COSTANZO.

La Tomba di Virgilio.

CIGNI felici che le rive, e l'acque
Del fortunato Mincio in guardia avete,
Deh, s'egli è ver, per Dio mi rispondete :
Fra vostri nidi il gran Virgilio nacque ?

Dimmi, bella Sirena, ove a lui piacque
Trapassar l'ore suc tranquille, e liete?
Cosi sien l'ossa tue sempre quiete!

È ver che in grembo a te morendo giacque ?
Qual maggior grazia aver dalla fortuna
Potea? Qual fin conforme a nascer tanto?
Qual sepolcro più simile alla cuna?

Ch' essendo nato tra'l soave canto
Di bianchi cigni, alfin in veste bruna
Esser dalle Sirene in morte pianto.

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SE mai per qua t'aggiri, o cara in Gnido, Cara in Parnaso, ombra del sacro Vate, Che diè all'arte d'amor, alle mutate

Forme, ed a patrii Titi eterno grido :

'Scritto sopra la riva del Danubio.

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Dimmi in qual parte del deserto lido
Copre barbara terra, le onorate
Ossa, onde poi nella futura etade

Famos' al par ne sia la tomba e'l nido.

Che a quella intorno, mentre all' Istro in riva, Spenti gli sdegni, l'alma pace riede, Piantar vo' un ramo di Palladia oliva.

La sacra fronda fia, che ognora il piede D'armento, e di destrier quinci proscriva, E del tempo il livor, cui tutto cede.

IL MARCHESE LUCCHESINI.

Sovra il Sepolcro di Petrarca, in Arquà.

QUANDO rimbomberà l'ultima tromba, Che i più chiusi sepolcri invesce, e sferra, E ciascun volerà corvo, o colomba,

Nella gran valle a eterna pace, o guerra;

Primi udranno quel suon, che andrà sotterra,

E primi sbalzeran fuor della tomba,

I sacri Vati, che più lieve terra

Cuopre, e a cui men d'umano i piedi impiomba.
Ma tù, tu sorgi dalla vinta pietra
Primo tra i primi, luminoso ammanto
Volando al ciel con la pudica cetra :

E nel bel Coro, che circonda il santo
Giudice sommo dalla valle all' etra,
Di tutti più divin suona il tuo canto.

IPPOLITO PINDEMONTE.

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