A chi dunque ghirlande? a chi giammai Dal ver non torce, e dall' onesto i passi, Gode di perdonar, d'offender teme,
Nè à battaglia mai vien contra se stesso, Che se stesso non vinca. Ecco la prima Dell' arti, e la più eccelsa. Indi a chi l'alme Con preclare d'ingegno opre, e di mano D'alto piacer ferisce, o di natura
Svela gli arcani, e in sul morir più dotte, Che al nascer non trovò, lascia le genti. Ghirlande, a chi trar sà vivido un marmo; Sembiante, e voce dar quasi alle tele; O con poemi, con tragedie, ed inni Molcere i cori, e sublimar le menti;
pesar l'aere, misurar la terra,
La luce dispartir, reggere i fiumi, Disarmar della folgore le nubi,
Dell' acqua far due diverse arie, e d'ambe
La stess' acqua rifar, ministro il foco. Ghirlande a un Rafaello, il qual, volando Di là dal segno ancor della terrena Beltà ideale, colorire il Cristo Sul mistico Tabor nell' alto osava, Che l'uom dispar dalla sua faccia, e solo Tra rai di gloria vi si mostra il nume. Ghirlande a un Michel Angelo, che altera Mole innalzar potea, di pinte ornarla Figure; ornarla di scolpita; e, i fieri Scarpei, le ardite teste, ed i tremendi
Pennelli col Febèo legno mutati,
Farla risponder versi, uom di quattr' alme. Ad un Torquato, che tra i pioppi, e gli olmi, O alle spade per mezzo, ed alle frecce, Tale spirto infondea nelle silvestri Canne ineguali, o nell' eroica tromba, Che non v'ha lato dell' Europa, dove Gl' incliti sensi di Goffredo, e i dolci Sospiri non risuonino d'Aminta.
A un Galileo, che quell' eterne, e ignote Per cosi lunga età leggi, onde tutti La dedàlea natura i corpi move,
Scoverse primo; e non pria, nuovi in fronte Occhi a se pose, e li rivolse al cielo, Che Giove si cerchiò di quattro stelle; Tonda o bicorne, quasi un' altra luna, Venere apparve; e non più affatto terso, Che chè delle sue macchie or s'argomenti, Prese a rotar sovra se stesso il sole.
IL Divin Ludovico, il gran Torquato: Simile il primo a gran città, che mostra Con armonia discorde, uniti, e sparsi Là templi, e là teatri, e qui negletti Lari plebei, qui poveri abitanti; Là vasti fori, e spaziose piazze,
E qui vicoli angusti, onde risulta
Un tutto poi, che nelle opposte parti
Ben contrasta, e cospira, e vario, e grande,
E ricco, e bello, ed ammirando appare. Simile l'altro, a regal tetto altero, Dove tutto grandeggia, o l'atrio miri Star sù cento colonne, o in doppio ramo Sorger superbe le marmòree scale,
O l'ampie sale alzarsi, o in ordine lungo L'auguste stanze di cristalli, e d'oro Folgoreggiando, e raddoppiando il giorno, Formare un tutto, che grandezza spiri, Ovunque l'occhio ammirator si volga.
OGNI vate, e pittor pinge se stesso. Quale il Goffredo suo tal vedi il Tasso, Che pien di studio, e pien di cura, tutto Pensa, provvede, e sà. Mai non trascorre Tra l'audacia dell' animo, tra il sangue Delle stragi non turbasi, e trionfa Di sè come d'altrui. Sempre a se stesso Eguale in senno, ed in consiglio all' opra Move con legge, e con misura, o quando
Pien di Dio lo consulta, o quando l'armi
Per la causa più giusta impugna, o quando
Vittorioso il gran sepolcro adora,
E a' suoi partendo la sacrata terra In oriente fonda un novo impero.
Ad Orlando così l'altro è simile. Non sempre saggio, è ver; amore insano Pur lo suggetta, e gli travolve il senno: Allor và errando a caso, allora ei segue,
Come lo porta il folle ardor, non degni
Della grand' alma obbietti, e ignudo, e lordo Non par più desso; ma sano la mente Qual più saggio di lui ? chi non ammira L'alma sublime, e in se secura, quando Domator, vincitor d'ogni contrasto Non soffre inciampo, e ne' perigli cresce? A cui non arde il cor, se quel fedele E passionato core amor compunga; O se tra l'armi, e tra il tumulo esulta Fatto di se maggior, chi nol paventa ? Senti dal suo parlar l'anima tutta
Sovra se stessa alto levarsi, e senti
Che un Nume in lui favella, un Nume spira, E che il divino in lui valor mai sempre Le vulgar leggi, e la fatica ignora. Fortunato colui, che in se d'entrambi I diversi raccor pregi potesse,
E al disegno, e allo studio unir del Tasso 11 crear pronto, il colorire audace
Di lui che ancora delirando alletta!
CHI e' costui che d'alti pensier pieno Tanta filosofia porta nel volto?
E' il divin Galilèo, che primo infranse L'idolo antico, e con periglio trasse Alla nativa libertà le menti:
Novi occhi pose in fronte all' uomo; Giove Cinse di stelle, e fatta accusa al sole
Di corrutibil tempra, il locò poi, Alto compenso, sopra immobil trono. L'altro che sorge a lui rimpetto, in vesta Umil ravvolto, e con dimessa fronte, E cavalier, che d'infiniti campi Fece alla taciturna algebra dono.
O sommi lumi dell' Italia! il culto Gradite dell' Orobia pastorella
Ch' entra fra voi, che le vivaci fronde
Spicca dal crine, e al vostro piè le sparge. MASCHERONI. Invito à Lesbia.
Colombo, Cook; e varj dotti Viaggiatori.
NE quelli io biasmerò, che ignoti climi Cercando, isole ignote, arti, e costumi, Leggi, religion diero agl' interi Popoli stupefatti, e nuova vita;
E quei, che trovar fere, uomin lasciaro Ed anch' io spargerò due fior di Pindo Sulla tomba del Ligure Argonauta, Se la lode d'Europa espiar mai
Può d'Europa il delitto, allor che visto Fù con bianchi capei, co' ceppi al piede Uscir di quella nave, innanzi a cui Sorse dall' oceáno un' altro mondo.
Più giusti gli uomin fur col grand Britanno, Che l'età nostra ornò. Ma tu crudele Fosti a te stesso: ah! perchè tanta fede Porre in alme selvagge ? ecco i troncati Tuoi membri sparsi, e in parte sol raccolti, Le meste ricondur tacite vele,
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