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Par canti, e mova le lanose gote :

E dica ch'ella è bianca più che il latte,
Ma più superba assai ch'una vitella;

E che molte ghirlande le ha già fatte,,
E serbale una cerva molto bella,
Un orsacchin, che già col can combatte,
E che per lei si macera e flagella;
E che ha gran voglia di saper nuotare,
Per andare a trovarla in fin nel mare.

Duo formosi Delfini un carro tirano;
Sovr'esso è Galatea che'l fren correge,
E quei nuotando parimente spirano.
Ruotasi attorno poi lasciva gregge;
Qual le salse onde sputa, e quai s'aggrano,
Qual par che per amor giuochi e vanegge.
La bella ninfa con le suore fide

Di si rozzo cantar, vezzosa ride.

POLIZIANO.

Andromaca.

IVA da' muri a rintuzzar le avverse Schiere d'armi lucente Ettore in guerra; Nè ancor lasciata avea la patria terra, Quando Andromaca il figlio in lui converse.

Nel sen materno il fanciullin s'immerse, Temendo il ferro, in che l' eroe si serra, Che tratto l'elmo, e il pennon vasto a terra, Al le luci del figlio il padre aperse.

Quegli, cui rassecura allor la madre, Alzar si lascia a careggiar quel viso, Che d'altr'occhio vedean le greche squadre.

Mira Andromaca il figlio allegra, e fiso Pender dal collo del baciato padre:

Ridea; ma in pianto al fin proruppe il riso.

CARLO MARtello.

Atalanta Cacciatrice.

DELLA futura caccia,

Che, vegliando, tutt' or mi bolle in mente, L'idea, dormendo, io mi trovai presente.

Già mi parea d'intorno alla funesta

Calidonia foresta,

D'Eroi, di cacciatori,

Di ninfe, e di pastori in vasto giro
Popolato il terren. L'ascosa belva
Eccita ognun col grido,

Sfida, minaccia; e le minacce, e l'onte
Il bosco ripetea, la valle, e il monte.
Dall' uno all' altro canto

Scorre Atalanta in tanto,

Dispon, provede, ordina i moti, e l'ire;
Dove inspira prudenza, e dove ardire.
Quand'ecco all'improvviso.

Di rotti rami, e d'atterrate piante
Si sente rimbombar la selva intera,
E all'aperto cimento esce la fiera.
Da lungi, uscita appena,
Scorge Atalanta; in lei si fissa; e a lei
Furibonda si scaglia. Ognuno allora
Grida, ferisce; e cacciatori, e veltri
S'affollano ad opporsi a suoi furori ;
Ma i veltri, i cacciatori, i colpi, i gridi

Non cura ella, o non sente; il corso affretta,

Trattener non si lassa,

Urta, abbatte, calpesta, infrange, e passa.

Non ricusa l'incontro

L'intrepida Atalanta,

Che sicura parea de' suoi trofei,
Mentre ciascuno impallidia per lei.

Sola s'avanza; indi s'arresta; il colpo

Segna con gli occhi, e al fier cinghiale il dardo, Che dal braccio parti maestro, e franco,

Sotto l'omero destro impiaga il fianco.

Ne spicca il sangue; ei fra il dolore, e l'ira

Freme, vacilla, e cadde....

......

METASTASIO. Il sogno.

Annibal scuopre l'Italia.

FEROCEMENTE la visiera bruna
Alzò sull'Alpe l'Affrican guerriero,
Cui la vittrice militar fortuna

Splendea negli atti del sembiante altero.
Rimirò Italia, e qual che in petto aduna
Il giurato sull'ara odio primiero,
Maligno rise, non credendo alcuna
Parte sicura del nemico impero.

Indi col forte immaginar rivolto
Alle venture memorande imprese,
Tacito, e tutto in suoi pensier raccolto;
Seguendo il genio, che per man lo prese,
Coll'ire ultrici, e le minaccie in volto,
Terror d'Ausonia, e del Tarpeo discese.

FRUGONI.

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QUANDO la gemma al dito Annibal tolse,

Che di sua morte a lui serbò l'onore,
Tutte sul volto le virtù del core,

E le giurate a Roma ire raccolse:

E Trebbia, e Canne in suo pensier rivolse,
Lunga al Tarpeo memoria aspra d'orrore,
Nè degli Dei, qual chi contento more,
Nè de' cangiati suoi destin si dolse:
E fermo, e fiso nella grande immago,
Che di lui viva l'età tutte avranno,
D'un generoso pallor tinto, e bianco :

Il Tebro omai togliam, disse, d'affanno;
Finchè Annibal vivea, tutta non anco
Era ben vinta la fatal Cartago.

CARLO INNOCENZO FRUGONI.

Scipione esule.

QUANDO il gran Scipio dall' ingrata terra, Che gli fù patria, e'l cener suo non ebbe, Esule egregio si partia, qual debbe

Uom, che in suo sen maschio valor rinserra :
Quei che seco pugnando andar sotterra

Ombre famose, onde si Italia crebbe,
Arser di sdegno, e'l duro esempio increbbe
e della guerra.
Ai genj della pace,

E seguirlo fur viste in atto altero,
Sull' indegna fremendo offesa atroce,
Le Virtù prische del Romano impero :

E fin di Stige sulla nera foce Di lui che l'Alpi supero primiero Rise l'invendicata ombra feroce.

LE MÊME.

Roma sepolta sotto le sue ruine.

Qui fu quella d'imperio antica sede, Temuta in pace, e trionfante in guerra. Fu: perch' altro che il loco, or non si vede : Quella che Roma fu, giace sotterra.

Queste cui l'erba copre, e calca il piede, Fur moli al ciel vicine, ed or son terra. Roma che il mondo vinse, al tempo or cede, Che i piani innalza, e che le altezze atterra. Roma in Roma non è: Vulcano, e Marte La grandezza di Roma a Roma àn 2 tolta, Struggendo l'opre, e di natura, e d'arte. Voltò sossopra il mondo, e in polve è volta : E fra queste rovine a terra sparte,

In se stessa cadèo morta e sepolta.

2

GIROLAMO PRETI.

Roma Cristiana.

ROMA, cadesti, è ver; già le famose
Pompe del Tebro, e'l gran nome Latino,
E le glorie di Marte, e di Quirino
Co' denti eterni il Rè de gli anni ha rose.
Te, per le tombe, e le ruine erbose

Furono.

→ Hanno.

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