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Che fuor del senno al fin l'ebbe condotto.
Il quarto di, da gran furor commosso,
E maglie e piastre si stracciò di dosso.

Qui riman l'elmo, e là riman lo scudo,
Lontan gli arnesi, e più lontan l'usbergo;
L'arme sue tutte, in somma vi concludo,
Avean pel bosco differente albergo.
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo
L'ispido ventre, e tutto l'petto e'l tergo:
E cominciò la gran follia si orrenda,
Che della più non sarà mai chi intenda.
In tanta rabbia, in tanto furor venne,
Che rimase offuscato in ogni senso.
Di tor lá spada in man non gli sovvenne,
Che fatte avria mirabil cose, penso.
Ma nè quella, nè scure, nè bipenne
Era bisogno al suo vigor immenso.
Quivi fè ben delle sue prove eccelse,
Chè un alto pino al primo crollo svelse.
E svelse dopo il primo altri parecchi,
Come fosse finocchi, ebuli o aneti;
E fè il simil, di querce e d'olmi vecchi,
Di faggi, e d'orni, e d'ilici, e d'abeti.
Quel ch'un uccellator, che s'apparecchi
Il campo mondo fa, per por le reti,
Dei giunchi, e delle stoppie, e dell'urtiche,
Facea di cerri, e d'altre piante antiche.

I pastor, che sentito hanno il fracasso,
Lasciando il gregge sparso alla foresta,
Chi di quà, chi di là, tutti a gran passo
Vi vengono a veder che cosa è questa.
Ma son giunto a quel segno, il qual s'io passo,

Vi potria la mia storia esser molesta :
Ed io la vo' piuttosto differire,

Che v'habbia per lunghezza a fastidire.

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ARIOSTO. Orlando furioso, canto XXXIII, st. 124-131.

La Corte.

QUANTE mascherate larve,

Quanti assediano il trono orridi mostri,
Ove tutto d'un sol l'arbitra voglia
Dispensa e regge! Dei palagi augusti
La bilingue Menzogna occupa ardita
L'impenetrabil soglia, e il passo chiude
A la modesta Verità. Più dentro
Striscia serpendo, e nell'orecchie soffia
La velenosa Adulazion, che larga
Di scaltre lodi al credulo Regnante
Lo trasforma in Eroe, plaudendo vile
Anco agli errori. L'Avarizia ingorda

La

segue al tempo, e de l'incauto Prence
Studia le voglie, le fomenta e adesca
Con torte mire, e suo privato censo
Få del pubblico danno. Ind ila Frode,
E la pallida Invidia, e la secreta
Cabala astuta, che in silenzio ordisce
L'altrui ruina, e le calunnie intesse.

CL. BONDI.

Le Conversazioni.

MA chi può di tante

Voci discordi, e gareggianti insieme
Pur un senso accoppiar? Tutti ad un tempo
Voglion la bocca aprir, e mille cose
Affastellano insiem. Quanti argomenti
A un punto sol! Altri di cuffie, ed altri
Di cavalli ragiona. Qui si ride,

Là si contrasta, e la question si cribra
Con ostinato replicare alterno

Di si è di nò. Di trenta voci acute
Stridule, rauche, reboanti, e gravi,
Dissonanti fra lor odi un confuso
Frastuono ingrato di parole, e d'urli,
Di tumulto, e di strida, onde la volta
Concava eccheggia, e rimbombando assorda.
La civile Modestia, ed il Buon Senso
Là in un angolo stringono le labbia,

E sterditi si turano gli orecchi.

Ma già si accheta a poco a poco, e manca
Lo strepito molesto ai lunghi sforzi

:

I polmoni e gli esofaghi già stranchi,
Cedono finalmente; or più dimesse
S'odon le voci, e con equabil suono
Si avvicendano i placidi discorsi.
Così stormo di pavidi colombi,

Scossi a fischio improvviso, alzano insieme
Il primo volo, e rapidi alternando
L'ali agitate, con rombazzo orrendo
Rompon l'aria cedente, indi solcando

Con più facile corso il ciel sereno,
Radono il sentier liquido, e veloci
Volan librati sù le immote penne.

Or tempo è d'ascoltar, se pur ti punge
Il desio d'erudirti. Oh! poco saggi

Color, che queste al piacer sacre e al gioco,
Ore notturne sù le dotte carte
Traggono meditando al picciol lume
Di languida lucerna, o sù le torri
Taciti e soli, a specular de gli astri
Erranti il corso de l'inverno al gelo
Prolungano le veglie, e al dolce sonno
Che dolcemente i lumi stanchi assale
Resistono ostinati. Ed a che tanto
Fra gli studj nojarsi? a minor prezzo,
E con diletto mercar puoi profonda
Multiplice dottrina. Qui s'insegna
Ciò che altrove s'ignora. E dove mai
Meglio saper si può l'ora precisa
De la notte e del di, se affretti o tardi
Il pubblico orivol, se il ciel si mostri
O piovoso o seren, se calda o fredda
Sia la stagione, e qual prometta a tempo
Scarsa messe o feconda, onde il valore
D'ogni prodotto calcolar? Qui s'ode
Quando il disco lunar cresce,
o vien manco;
E quanti gradi ciascun giorno saglia,
O discenda il baròmetro, nè mai
Batte scirocco l'umide sue penne
Cheto così, che non lo sentan tutti,
E l'accusino a gara. Alcun non osa,
Privo di queste nozion sublimi,

Esporsi incauto con profano piede
Al colto conversar, o se pur l'osa,

Solo in disparte, e inosservato siede

Condannato a tacer.

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LE MÊME. Le Conversazioni, poemetto.

La Natura muta.

IL denso velo

Osa squarciar, che questo a te ricopre
Meraviglioso natural teatro.

Del ciel contempla, e de la terra i ricchi
Natii tesori. E quai non offre, e quanti
Grato a la man cultrice il suol fecondo
Curiosi spettacoli non vani
Nell'ubertoso riprodur dei frutti,
Onde natura nel costante giro
Delle varie stagion s'innova e cangia,
E con annuo alternar more, e rinasce!
Qui della bionda Cerere ir lo sparso
Chiuso seme vedrai nei solchi aperti,
A poco a poco svilupparsi, e folte
Spuntar l'erbose cime, estender verde
Tapeto immenso, indi assodarsi in lungo
Nodoso gambo, e per canal secreto
Alimentarsi la feconda spica

Del latteo chilo, che in distinte buccie
Poscia granendo, di pungenti ariste
S'arma difeso dai rapaci rostri,

E biondeggiante a lungo sol matura.
Qui germogliar le pampinose viti,
Dono amico di Bacco, e ai mariti olmi

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