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rientrare nel suo primitivo corso attraverso il Mediterraneo. Il quale si può con sicurezza antivedere che tornerà ad essere in breve l' emporio massimo di tutte le negoziazioni fra le tre parti antiche del mondo. Ora qual paese può ripromettersi da un tal fatto maggiori utilità che la nostra penisola campata in mezzo a questo mare, mirabilmente acconcia come scala, transito, e mercato di tutte le nazioni? Ma se la fortuna ci presenta una opportunità così propizia, bisogna altresì che noi sappiamo e vogliamo approfittarne. E in ciò fa mestieri della perseverante e concorde opera di tutti i nostri governi. Perchè abbiamo a sostenere la concorrenza di altri popoli che già sono più avanzati e più potenti, i quali vorranno farne lor pro; e noi altra fidanza non abbiamo che nel senno e nell' operosità italiana. Che se in mezzo a tanta accortezza ed industria ci staremo neghittosi, beandoci del nostro sole e poltrendo nella mollezza, gli altri perciò non si staranno, ma seguirà a noi quello che la storia ci dimostra esser seguito a tutte le nazioni rimaste oziose e pusillanimi in mezzo a un grande commovimento civile, o commerciale: che non solo rimpiccioliscono rispetto alle altre, ma assolutamente decadono....

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ELOGIO

DI

ANTONIO SILVANI.

Discorso letto alla Società Agraria di Bologna
il giorno 26 gennaio 1851.

ELOGIO

DI

ANTONIO SILVANI.

οὐ γὰρ, ὡς Αἴσωπος ἔφασκε χαλεπώτατός ἐστιν ὁ τῶν εὐτυχόντων θάνατος, αλλά μακαριώτατος, εἰς ἀσφαλῆ χώραν τὰς εὐπραξίας κατατιθέμενος τῶν ἀγαθῶν, καὶ τύχῃ μεταβάλλεσα θαι οὐκ ἀπολείπων.

Imperocchè non è già (come diceva Eso

po) gravosissima la morte a coloro che sono in prosperità, anzi ell'è sommamente beata, mettendo in sicuro le belle operazioni degli uomini dabbene, e non lasciando più campo ai cangiamenti della fortuna.

PLUTARCO, Vita di Pelopida, § 34, traduzione di G. POMPEI.

Questa sentenza del gran filosofo mi è sovente tornata all' animo ripensando alla fine di un nostro illustre collega, Antonio Silvani. Perchè quando la fortuna aveva cessato di saettarlo, e reduce in patria confortato dalle dolcezze della famiglia e dall' affetto degli amici, riverito ed onorato nell' universale, restituito all' insegnamento nella sua cattedra, chiamato dal Principe ad eminenti uffici dello Stato, maturo d'anni ma verde di sanità, e quando potea promettersi ancora un lungo e splendido avvenire, allora appunto in sul finire del 1847 quasi improvvisamente moriva. E alle consolazioni private si aggiungevano in quel tempo le pubbliche, perchè era nata

in tutti una fiducia mirabile di vedere l'Italia, ricomposta a durevole tranquillità, procedere in concordia di Principi e Popoli verso migliori destini; delle quali cose più che altri prendeva allegrezza, come colui che molto aveva amato e molto patito per la comune patria. Fortunato! che i suoi occhi si chiusero prima che nuovi ed impensati eventi turbassero quei sereni principii, e travolgessero in fondo ogni più lieta speranza. Nè videro le sventure delle armi italiane, la licenza soverchiante, e l'occupazione straniera!

Ma queste rimembranze facevano tosto in me luogo al dolore della sua perdita, e al pensiero dei grandi beneficii che coll' opera e cogli scritti avrebbe potuto arrecare. Qualunque abbia conversato, anche per poco, con Antonio Silvani, dovette ammirare la perspicacia del suo intelletto, il lucido ordine delle idee, la forza del ragionare, dove invero era strenuissimo: ma non molti hanno potuto conoscere qual tesoro di cognizioni e di dottrina accogliesse nella sua mente, e non pure in giurisprudenza che fu il suo precipuo tèma, ma in tutte le scienze morali, ed eziandio in quelle della natura. Imperocchè la sua vita e in ispecie i quindici anni che trascorsero dopo il 1831 erano stati, dirò quasi, un tirocinio continuo ed un apparecchio a produrre grandi cose, le quali un fine precoce gli ha sventuratamente impedito di compiere. Ma io non dubito di affermare che le cose da lui fatte sono un piccolo cenno a quel tanto che avea potenza di fare.

Ora dovendo io oggi favellarvi, mi è sembrato opportuno riunire brevemente le notizie della sua vita, il che non è stato fatto finora in questa Accademia. Nè credo si disconvenga a me tale ufficio, nel quale è più mestieri di pietà che d'ingegno. Avvegnachè, sebbene io sia forse l'ultimo di tempo fra i suoi amici, dei quali mi veggo

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