Immagini della pagina
PDF
ePub

molti d'intorno, non fu però meno intrinseca e meno cordiale la nostra dimestichezza. E sotto la sua scorta ed i suoi consigli io segnava i primi passi nell'arduo sentiero della politica. E a me fu dato prestargli l'estremo ufficio e raccogliere le ultime sue parole.

Antonio Silvani nacque in Bologna il 16 marzo 1783, e tuttavia fanciullo ebbe la sventura di perdere il padre. I primi studi fece al Seminario bolognese, e poscia entrato nel Collegio Poeti die' tutto l'animo alle discipline letterarie e filosofiche. Pose grande cura nello studio del latino, e forse a ciò gli giovarono le amorevolezze e i conforti di Luigi Palcani, dotto uomo ed elegantissimo dettatore in quella lingua, della quale il Silvani acquistò sì profonda cognizione e tanta perizia da scriverla poi sempre con pari facilità all'italiana, e da usarla eziandio francamente parlando. Nè minore alacrità mostrò pel greco, e vi fece in breve tempo tale profitto da meritare che Clotilde Tambroni, la quale ne faceva pubblicamente professione nell'Archiginnasio bolognese, lo avesse suo aiuto e ripetitore. Di che io mi dolgo fortemente, pensando come lo studio di quei due maravigliosi idiomi sia al presente trascurato, e con esso venuto meno l'amore dei classici e della buona antichità. E stimo che nessuna altra disciplina possa farne le veci nella istruzione dei giovani. Perchè in quegli scrittori maravigliosi di semplicità, di verità e di bellezza s'apprende non solo la proprietà dei vocaboli, la eleganza dello stile, la facondia del discorso, la squisitezza del gusto, ma altresì la dirittura del raziocinio e la nobiltà degli affetti. E certo grandi pensatori e scrittori italiani ( dei quali pur troppo oggi è tanta penuria) dovettero in gran parte la eccellenza loro alla famigliarità contratta coi classici fino dalla puerizia.

Nutrito così di forti ed eletti studi, si dedicò alla

giurisprudenza, e vi mostrò tanta attitudine e tanta assiduità da sovrastare a tutti gli altri suoi condiscepoli, i quali solevano riunirsi presso di lui, e pregavanlo, quasi come maestro, di porgere loro mano appianando le difficoltà, chiarendo i dubbi, svolgendo i principii che avevano appresi nelle scuole. Finalmente nel 1802 diede l'esame, e ad unanimità di voti, e con plauso dei professori, fu insignito della laurea dottorale. Ma intanto che la sua vita era intesa agli studi della filosofia e del diritto, l'Europa tutta commoveasi quasi dalle fondamenta. Gli eventi inusitati e spaventosi della rivoluzione francese, e le guerre che vi seguitarono, non poteano per lui non essere soggetto di severa meditazione. Vide egli fin d'allora precipitare l'antico ordinamento sociale, e nel rapido e confuso avvicendarsi di fatti spesso ripugnanti, nascere ad un tempo idee vere e idee false, affetti nobili e passioni cieche, speranze ragionevoli e perverse utopie. Notò i pericoli che minacciavano la società, riconobbe che l'Europa non potrebbe essere ricomposta finchè gli Stati non si felicitassero pel reggimento rappresentativo, e le nazioni non si aiutassero per la scambievole indipendenza. Vedremo in appresso come la esperienza di quarant' anni (e quali anni!) gli confermasse da vecchio la fede abbracciata in giovinezza.

Uscito dalle scuole, fece la pratica legale nello studio di Luigi Alboresi e poscia di Carlo Zanolini, il quale gli pose tanta stima ed affetto che, nel 1809, gli diede in isposa la sua figliuola dalla quale ebbe questo Paolo, nostro collega ed amico, che fu il pensiero di tutta la vita, e il conforto di tutte le sue sventure. Quindi si diede all'esercizio dell'arte sua, e sino al 1831 prima come patrocinatore, poi come avvocato, molte cause sostenne nel fòro, con grande onore e con fortunato successo. Le quali cose, congiunte alla integrità e rettitudine,

gli procacciarono molta fama non pure nella città nostra, ma altresì nelle vicine provincie, e di là sovente fu richiesto di parere e di consiglio. Rimangono di lui parecchie allegazioni e scritture, le quali meriterebbero di essere riunite e date alla pubblica luce, come esempio di quel genere di orazioni. Tutte sono condotte collo stesso metodo. Stabilire precisamente il fatto, fermare i principii speculativi e del gius positivo sulla materia, trarne le deduzioni con una serie di ragionamenti serrati e lucidissimi, avvalorare il suo concetto colla istoria del diritto, colle interpretazioni dei comentatori, colle notizie di filologia che facevano all' uopo, servendosi della erudizione e delle autorità legali, come supplemento e sussidio, ma non mai surrogandole agli assiomi della ragione; tali sono i pregi che mirabilmente risplendono in tutti i suoi lavori. Lo stile vi è in generale conciso e nervoso, come di chi va dirittamente al fine senza brigarsi degli ornamenti, e diviene abbondevole soltanto dove ciò importi alla chiarezza del dettato, o si richiegga a indurre negli animi la persuasione di un difficile vero. Se nella lingua e nei modi potrebbe desiderarsi maggior purgatezza ed eleganza, non vi fa mai difetto la proprietà ed il decoro, ed in ciò ancora vince molti dei suoi coetanei; perchè l'usanza dello scrivere forense era pessima in quel tempo; le gonfiezze, le trivialità, le imitazioni forestiere deturpavano le scritture anche dei più valenti. Tantochè io udii raccontare che quando Pietro Giordani recitò nel 1809 per la milizia civile di Bologna quella stupenda Orazione, che io non dubiterei di porre fra le gemme più preziose della nostra letteratura, un dotto giureconsulto trovatosi fra gli ascoltatori dimandò, sorridendo, se fosse in italiano, o in qual lingua dettata. A quella guisa che nel dialogo attribuito a Cornelio Tacito, Marco Apro, tenero dell' eloquenza dei suoi dì,

sdegna i prischi oratori, confessa che a certi antichi non può tenere le risa, a certi altri il sonno, e descrive loro imitatori dinanzi ai Giudici che non li attendono non gli ode il popolo, appena li patisce la parte.

Oltre alle private cause che avvocò nel Fòro bolognese, tenne il Silvani alcuni pubblici uffizi, prima di consulente alla Prefettura del dipartimento del Reno, poi di assessore camerale, e di giudice del Tribunale criminale, i quali uffizi dopo breve tempo rassegnò: più lungamente si compiacque di essere patrocinatore e avvocato dei poveri. Finalmente nel 1824 fu nominato professore di testo civile nella nostra Università, e poscia membro del Collegio legale.

Nè soltanto versavasi nella giurisprudenza, ma era sovente consultato dai Presidi della provincia sopra materie amministrative. Partecipava alla direzione di varii Istituti di pubblica beneficenza, e non rifiutava il consiglio e l'opera sua in ogni impresa, che avesse per fine la pubblica utilità.

È degno di maraviglia lo studio diligentissimo e la rara sua perizia nelle materie idrauliche, e specialmente riguardo al corso dei fiumi nel territorio bolognese, di che nelle sue carte ho potuto vedere spogli, annotazioni ed appunti con infinita cura raccolti. Ed ebbe opportunità di mettere a profitto queste cognizioni quando fu chiamato consulente della Commissione del Reno, e suppli al Pretore per due anni nel giudicare molti affari civili risguardanti le valli e le risaie.

Sedette eziandio nel Consiglio comunale e fra gli anziani. Ci ricorda anche al presente la bella aringa che fece, circa al panificio, contro coloro che volevano restaurare l'antica tariffa del pane, volgarmente detta il calmiere. Nella quale sostenne francamente i principii della buona economia pubblica, e dimostrò vittoriosa

mente che la tariffa favoreggiava il monopolio dei produttori a danno dei consumatori; ondechè solo mercè la libera concorrenza si può ottenere il pane di miglior qualità, e di maggior peso possibile, che è il fine desiderato a beneficio comune.

Non ultima ad ascriverlo fra suoi membri fu questa nostra Accademia, poichè grandemente dilettavasi delle cose campestri, ed era versato nelle scienze e nella pratica agraria. Ed egli ben meritò della medesima leggendo, nel 1825, una Memoria sul riso cinese, detto anche secco, la quale mi par degnissima di menzione. Imperocchè egli fu il primo a sperimentarne la cultura e a diffonderne la cognizione in questa provincia, e le sue osservazioni circa le qualità della nuova pianta e i vantaggi che se ne potevano ricavare, abbenchè contraddicessero in parte a quel che altrove si era scritto, furono pienamente confermate dalla successiva esperienza. Discorre adunque il Silvani come questa specie nuova di riso altro non fosse che una varietà del riso fin allora coltivato, non differendo dal medesimo che per qualità accidentale, vale a dire per la mancanza dell' arísta, e per alcune diversità nella dimensione del granello. Essere improprio il chiamarlo secco, perchè sebbene non richiedesse una continua immersione, però era d'uopo irrigarlo copiosamente e frequentemente. Di che poi venivano due sconci assai gravi: l'uno, che le erbe, di cui il terreno racchiude i germi, nel periodo asciutto si svolgevano, e rendevano necessarie più spesse sarchiature; l'altro, che la maturità delle spighe, non avvenendo simultaneamente, ma a riprese, esigeva perciò una mietitura in più volte. Sperimentato questo riso alla foggia ordinaria, ottimamente vegetava, e mostrava nelle spighe un rudimento d'arísta; la quale osservazione conforta il supposito che sia una varietà del riso comune educato a diversa ma

« IndietroContinua »