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tichità riconobbe, furono poscia svolti e applicati in mille guise, onde apparvero nuove relazioni fra le cose, ed ebbero origine alquante scienze che dagli antichi erano ignorate o appena intravedute. Fra le quali, per citare un solo esempio, ma nobilissimo, v' ha la filosofia della storia, una delle più recenti e delle più sublimi investigazioni che abbia tentato l' umano intelletto.

Carmo. Oh, qui io vi prendo in parola! E poichè il primo tèma nella sua ampiezza sarebbe troppo vasto, e non acconcio a una conversazione, restringiamoci, se vi piace, a codesta novità della filosofia della storia. Della quale oserei dire che s'ella è pur qualche cosa fuor che un nuovo vocabolo assegnato a vieti pensieri, è un guazzabuglio, un'alchimia, una teorica fantastica ed inconsistente.

Eupronio. Io tengo l'invito, purchè non dimentichiate che io nominai questa scienza in esempio di quelle che incominciano a formarsi. Però di necessità ci scorgerete tuttavia alquanto di fluttuante, e campeggiarvi talora l'ipotesi; il che non toglie, a mio avviso, che possa chiamarsi vera e propria scienza. Perchè, se voi escludete al tutto le induzioni fondate sull' analogia, e l'uso savio e discreto delle ipotesi, non avrete per avventura scienza alcuna, anche là dove è assai più copiosa la suppellettile dei fatti ben osservati, che senza il sussidio di quelle rimangono come una serie di cognizioni disgregate fra loro. Ma veniamo al proposito, e ditemi qual metodo vi piaccia di seguire nel discorso.

Carmo. Non mi garbano le antiche forme di disputazione, ed ho sempre avuto per ottimo fra i modi quello che dal noto passa grado grado all' ignoto. Però, se non vi dà noia, io esporrò in breve le varie maniere di storia da me intese: poscia voi ci aggiungerete quelle nuove qualità, e quei contrassegni, per i quali possiamo es

sere capacitati che veramente v' ha una filosofia della storia.

Eupronio. Sia come vi aggrada.

Carmo. Tralascerò per brevità il nudo racconto dei fatti notati secondo il succeder loro, e quali ci appariscono meramente, com' è delle cronache, de' ricordi privati o pubblici, e di altre scritture di simil genere. Si potrebbe dire che la storia comincia là dove si manifesta il pensiero dello scrittore. Il quale dapprima esamina e discerne i fatti con savia critica, quindi gli coordina insieme secondochè si attengono per vincolo di cagione e di effetto, e infine vi aggiunge quelle sentenze e quelle riflessioni che stima poter essere utili ai lettori. La partizione più semplice della storia è in due specie, l' una contemporanea agli eventi, l'altra posteriore, la quale dalle storie contemporanee è ricavata, ovvero dalle cronache, dalle tradizioni, dai monumenti. Ma se si guarda al fine che lo scrittore vuol conseguire, questo fine essendo vario, varie pur sono le maniere di trattare la storia. Così alcuni intesero a celebrare le lodi degli eroi proponendoli alla imitazione dei posteri, altri alla patria ebbero vòlti gli affetti, e quella si studiarono di esaltare, e di mantenerne la gloria. Taluni, scevri da ogni parzialità di tempo e di nazione, mirarono solo ad innamorare gli animi della virtù, e mettere il vizio in esecrazione, scrittori anzitutto morali e religiosi. Finalmente molti storici, specialmente fra i moderni, poser mente nella vita civile al seguitarsi costante di certe cagioni e di certi effetti, e mostrarono come le repubbliche e i principati si debbano governare. Riducetevi a memoria le categorie descritte dal Botta nella sua prefazione al Guicciardini; le quali, sebbene io non tenga per esattissime, danno però luce all'argomento. E così stimo che qualunque vorrà dettare istorie, debba seguire l'esempio dei classici scrittori, e se giungerà ad

emulare Cesare, Sallustio, Livio, Tacito, ovvero Ero oto, Tucidide, Senofonte, credo che avrà toccato il supremo della perfezione nella sua arte.

Eupronio. Nè io vi contrasto la celebrità meritata da quei sommi, nè sono meno fervido di voi nell' ammirarli. Anzi deploro chi non intende e non sente le bellezze dei Classici latini e dei greci, che le nobili sentenze vestirono di tanta semplicità e leggiadria da farci disperare di superarli giammai. Imperocchè nel racconto de' fatti v' ha una parte letteraria, la quale appartiene alle arti del bello. E queste, come avverte il Giordani, tengono un misurato corso per giungere alla rappresentazione possibilmente perfetta del vero e dell' ideale (il quale è anch'esso un vero): e quando sono salite ad una certa perfezione, o vi pausano, o volendo mutare dechinano. Il che non si avvera della filosofia e della fisica, dove la materia degli studi non sarà mai esaurita. Perchè, chi può sapere quali termini sian posti alla potenza del pensiero? E sino a quanto l'uomo potrà conoscere e appropriarsi le forze della natura? Laonde l'ampiezza della scienza s'allarga sempre quanto più l'umano intelletto può coglierne, il che non avviene della bellezza e delle forme onde possiamo rappresentarla agli uomini. Siano dunque proposti ad imitazione i Classici greci e latini, e se taluno giungerà a dettare istorie che competano con le antiche, io me ne compiacerò come di una gloria immortale alla nostra patria. Ma non parmi questo il soggetto del presente discorso.

Carmo. Sì, è: perocchè fermandomi a quei grandi, io dico che non si può far meglio o diversamente. Nè vogliate citarmi come argomento in contrario le istorie, le quali comprendono insieme le vicende di molti secoli e di molte nazioni, o quella che chiamasi Storia universale. Avvegnachè, se in essa la vastità della materia

è maggiore, non muta però l'indole e l'essenza dell'arte.

Eupronio. Orsù, piacciavi di rispondere a questa mia dimanda. In qual genere di storia ponete voi i Discorsi del Machiavelli sulle Deche di Tito Livio?

Carmo. Codeste non sono istorie, ma ragionamenti di politica.

Eupronio. Ragionamenti di politica sono, ma ricavati dalle istorie: nè può essere altramente, che come il costante procedere delle cose, ossia le leggi della natura si traggono dalla osservazione dei fatti fisici, similmente il costante procedere degli uomini e le leggi delle società si traggono dai fatti della coscienza e della storia.

Carmo. Non voglio far questione di parole. E ad ogni modo io credo si posså utilmente continuare l'opera del Segretario fiorentino, e ben lo fece, se non erro, di recente il Sismondi nel suo Saggio sulle costituzioni dei popoli liberi. Ma questa non è la filosofia della storia, almeno, come la intendono i moderni.

Eupronio. Non è ancora, ma andiamo passo passo. Voi vedete adunque, che oltre la narrazione dei fatti abbellita da particolari considerazioni e sentenze, si può investigare sottilmente le origini e gli effetti di essi, e raffrontandoli fra loro trovarne le ragioni, il che è già un fare filosofico. Così lo scritto di Machiavelli diede occasione a quello di Montesquieu, il quale raccolse e ordinò, generalizzando, sotto alcuni capi principali, tutto ciò che riferivasi alla grandezza e alla decadenza dei Romani.

Carmo. Fin qui siamo d'accordo, salvo quest'avver tenza che quando si vogliono appropriare quei principii generali alle condizioni presenti, non bisogna dimenticare quanto siano mutate le qualità del viver socievole nei tempi nostri a riscontro degli antichi.

Eupronio. Orsù: io non voglio partirmi per ora dal

Machiavelli, che pur dee gradirvi. Porgetemi il suo libro, ed insieme notiamo alcuni brani che mi sembrano degni di considerazione. Ecco qui. Vedete nel cap. 2o del libro I dei Discorsi. Quivi egli descrive quali siano stati universalmente i principii di qualunque città, quali gli ordini e le leggi. E mostra che la prima forma di governo è sempre il principato elettivo che poscia diviene ereditario, dal quale si passa al governo degli ottimati, e infine allo stato popolare, donde si ritorna alla monarchia se qualche accidente di fuori non muta la condizione delle cose. << Gli uomini, dice egli, per potersi meglio difen>> dere cominciarono a riguardare fra loro quello che » fosse più robusto e di maggior cuore, e fecionlo come » capo e lo obbedivano.... Avendo di poi ad eleggere un

principe, non andavano dietro al più gagliardo, ma a » quello che fosse più prudente e più giusto. Ma come » di poi si cominciò a fare il principe per successione e > non per elezione, subito cominciarono gli eredi a de> generare dai loro antichi, e, lasciando le opere virtuose, » pensavano che i principi non avessero a far altro che » superare gli altri di sontuosità, e di lascivia, e di ogni > altra qualità deliziosa. In modo che cominciando il > principe ad essere odiato, e per tal odio a temere, e > passando tosto dal timore alle offese, ne nasceva » presto una tirannide. Di questo nacquero appresso i > principii delle rovine e delle cospirazioni e congiure > contro ai principi, non fatte da coloro che fossero ti» midi o deboli, ma da coloro che per generosità, gran» dezza d'animo, ricchezza e nobiltà, avanzavano gli » altri, i quali non potevano sopportare la inonesta vita » del principe. La moltitudine, adunque, seguendo l' au» torità di questi potenti, si armava contro al principe, » e quello spento ubbidiva a loro come a' suoi liberatori. » E quelli avendo in odio il nome di un sol capo, costi

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