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>> tuivano di lor medesimi un governo, e nel principio > avendo rispetto alla passata tirannide, si governavano > secondo le leggi ordinate da loro, posponendo ogni » loro comodo alla comune utilità, e le cose private e » le pubbliche con somma diligenza governavano e con» servavano. Venuta di poi quest' amministrazione ai

loro figliuoli, i quali non conoscendo le variazioni » della fortuna, non avendo mai provato il male, e non > volendo star contenti alla civile egualità, ma rivoltisi » all' avarizia, all'ambizione, alla usurpazione delle don» ne, fecero che d'un governo d' ottimati diventasse » un governo di pochi, senza avere rispetto ad alcuna » civiltà; talchè in breve tempo intervenne a loro come >> al tiranno, perchè infastidita dai loro governi la mol>> titudine si fe' ministra di qualunque disegnasse in al>> cun modo offendere quelli governatori, e così si levò » presto alcuno che con l'aiuto della moltitudine gli » spense. Ed essendo ancor fresca la memoria del prin»cipe e delle ingiurie ricevute da quello, avendo disfatto >> lo stato de' pochi, e non volendo rifare quel del prin»cipe, si volsero allo stato popolare, e quello ordinarono > in modo che nè i pochi potenti, nè un principe vi » avesse alcuna autorità. E perchè tutti gli stati nel principio hanno qualche riverenza, si mantenne que>> sto stato popolare un poco ma non molto, massime » spenta che fu quella generazione che l'aveva ordi>> nato; perchè subito si venne alla licenza, dove non » si temevano nè gli uomini privati, nè i pubblici; di » qualità che vivendo ciascuno a suo modo, si facevano >> ogni di mille ingiurie; talchè costretti per necessità » o per suggestione d'alcun buon uomo, o per fuggir > tale licenza, si ritorna di nuovo al principato, e da

»

quello di grado in grado si riviene verso la licenza, >> ne' modi e per le cagioni dette. E questo è il cerchio

» nate

» nel quale girando tutte le repubbliche si sono goversi governano: ma rade volte ritornano nei go> verni medesimi, perchè quasi nessuna repubblica può » essere di tanta vita che possa passare molte volte >> per queste mutazioni e rimanere in piedi. Ma bene > interviene che, nel travagliare una repubblica, man> candole sempre consiglio e forze, diventa suddita di » uno stato propinquo che sia meglio ordinato di lei: » ma dato che questo non fosse, sarebbe atta una re» pubblica a rigirarsi infinito tempo in questi governi. » Pensieri molto simiglianti a questi esprime ancora nel principio del libro V delle Storie fiorentine, dove principalmente insiste sul variare che fanno le provincie dall'ordine al disordine; perchè, come le cose sono arrivate alla perfezione loro, conviene che scendano, e similmente, scese che sono e all'ultima bassezza pervenute, conviene che salgano; e così la virtù partorisce quiete, la quiete ozio, l'ozio disordine, il disordine rovina, e similmente dalla rovina nasce l'ordine, dall' ordine virtù, da questa gloria e buona fortuna. Il quale concetto entrava sì fattamente nel suo animo, che volle eziandio descriverlo nelle Poesie, come potete scorgere al cap. 5o dell' Asino d'oro. E se mi permettete ancora una citazione per ultima, io la toglierò pur dai Discorsi nel Proemio del libro II, là dove dice: « Io » giudico il mondo sempre essere stato in un mede» simo modo, ed in quello essere stato tanto di buono » quanto di tristo, ma variare questo tristo e questo > buono di provincia in provincia, come si vede per » quello si ha notizia di quelli regni antichi che varia> vano dall' uno all' altro per la variazione de' costumi, > ma il modo restava quel medesimo. Solo vi era que> sta differenzà, che dove quello aveva prima collocato » la sua virtù in Assiria, la collocò in Media, di poi in

>> Persia, tanto che la ne venne in Italia ed a Roma; » e se dopo lo imperio romano non è seguito imperio » che sia durato, nè dove il mondo abbia ritenuto la > sua virtù insieme, si vede nondimeno esser sparsa in » di molte nazioni dove si viveva virtuosamente, come » era il regno de' Franchi, il regno de' Turchi, quel del » Soldano; ed oggi i popoli della Magna, e prima quella >> setta saracina che fece tante gran cose ed occupò » tanto mondo, poichè la distrusse lo imperio romano » orientale. »

Carmo. Questa opinione, che assegna agli uomini egualmente in ogni tempo un tanto di bene e di male, ma ripartito diversamente di provincia in provincia, mi pare da noverarsi fra le bizzarrie di quel sommo ingegno: riguardo poi alle prime considerazioni, io non ci trovo che una verità assai trita e volgare, siccome quella della mutazione perpetua di tutte le cose. La quale fu da taluni raffigurata per via di similitudine, comparando la vita delle nazioni a quella dell' uomo colle sue diverse età, e in fra gli altri rispetto al popolo romano, apertissimamente da Floro nella sua Epitome. Imperocchè, se ben mi ricordo, egli pone la infanzia di Roma al tempo dei re; l'adolescenza dalla istituzione della repubblica all'epoca che ebbe soggiogato tutta Italia; la giovinezza di là sino a Cesare Augusto, quando il mondo intiero fu vinto e composto a tranquillità. L'età virile risponde per suo giudizio ai due primi secoli dello impero; poi Roma dechina rapidamente a vecchiezza, se non in quanto sotto Traiano par ch' ella si risenta, e quasi un nuovo alito di gioventù spiri nelle sue membra. Da questo confronto adunque, come dalle sentenze per voi citate, null' altro si può conchiudere, se non che le nazioni come tutte le cose umane nascono, crescono decadono, e muoiono.

Eupronio. Voi giudicate troppo severamente. Certo la vita degli animali e dei vegetabili ci apparisce tale: bensì tale a primo sguardo non si manifesta la società degli uomini. Nè qui è luogo ad esaminare sino a qual punto quell' analogia debba dirsi esatta; ma giova riflettere che dalla similitudine espressa da Floro alle considerazioni del Segretario fiorentino è immenso il trapasso. Che se pure a voi piacesse il ricercare quali fra gli antichi lo precorsero in questi pensieri, io v' inviterei a riandar piuttosto le opere filosofiche di Cicerone, e specialmente Polibio nei frammenti di quel mirabile sesto libro, dove ragiona delle varie forme di repubbliche e de' loro comuni eventi. Perocchè ivi troverete tutta la sostanza di quel Discorso che primieramente abbiamo citato, e vedrete come il greco storico dopo aver descritto le origini, i progressi, e la declinazione degli stati, conchiude con la seguente sentenza: « Questa è la rivoluzione delle re» pubbliche quasi in un cerchio, questo è il naturale or» dine per lo quale si mutano, si rivolgono e di nuovo » tornano nel medesimo stato. Le quali cose se alcuno » avrà diligentemente considerate, questi, predicendo l'av» venire delle repubbliche, potrà forse errare nei mo» menti dei tempi, ma rade volte s' ingannerà giudicando >> a che termine sia ciascuna di esse o di aumento o di » declinazione o di disposizione a mutamento. » (Polibii Reliquiae, lib. VI, § 10 e 11.) Sulle quali cose chi rivolga attento il pensiero, vedrà come Polibio e dopo di lui il Machiavelli dalle avvertenze particolari che risguardano la repubblica romana, e l'arte di governare lo stato, salissero a più alta veduta; e raffrontando le nazioni tutte, tentassero abbozzarne in pochi tratti l'andamento costante. Ed eccovi nata fra le mani la scienza di che parliamo la quale va indagando se fra mezzo alla diversità dei pensieri e delle opere, dei costumi, delle lingue, dei

governi, delle istituzioni, vi siano qualità e caratteri comuni a tutti i popoli, se certi avvenimenti abbiano luogo presso ogni società, e con qual ordine e con qual connessione; cerca insomma se in tutte le istorie particolari si può scorgere una istoria generale, e direi quasi ideale ed assoluta, la quale rimane nascosta dalla infinita varietà degli accidenti.

Carmo. Ma v'ha ella veramente questa istoria ideale ? Eupronio. Tale fu il pensiero che informò la mente di Vico quando intitolava il suo libro, Principii di una scienza nuova dintorno alla natura comune delle nazioni. Il filosofo napoletano, poco inteso e meno apprezzato dei suoi giorni, meditando nella solitudine, stima aver trovato l'ideale storico di tutte le nazioni. La filosofia e la giurisprudenza son le faci onde rischiara il suo cammino, e nelle etimologie della lingua, e nelle vicissitudini del diritto, trova argomenti a giudicare la storia e la mitologia. Egli immagina l' uomo selvaggio, di statura gigantesca, d'istinti brutali, che, atterrito dal fulmine, sente Iddio per la prima volta e si umilia dinanzi a lui. E ricoverato entro la caverna, trascinandovi seco a vivere una donna, crea la famiglia, la quale è il primo nocciolo della società, dove il padre è ad un tempo re e sacerdote. Sono le sue prime sollecitudini trarre gli auspicii, lavorare il campo, difenderlo dalle fiere e dai ladroni, accogliere gli uomini erranti che vengono implorando un asilo. Ma questi in prezzo dell'ospizio rinunziano alla libertà, e rimangono schiavi; se non che, dove prima vivevano senza Dio, senza leggi, a modo di bruti, ora riconoscono nel padrone l' interprete di un volere divino. Tali, secondo il Vico, sono le origini della vita sociale, che già nella stabilità del matrimonio, nella proprietà, nel culto sia pur superstizioso di un Ente supremo, nella onoranza dei morti ai quali si attribuisce un' esistenza

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