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grande coltura sotto la direzione di un solo intraprenditore che v'impiega grossi capitali, e nei manuali lavori servesi di giornalieri. Ivi la coltivazione procede più regolata e più provvida per la perspicacità e per l'interesse di colui che da se solo la dirige; i miglioramneti si compiono più agevolmente ed in minor tempo per la quantità dei capitali, per le macchine e per gli altri strumenti efficacissimi. Havvi risparmio nel numero degli edificii e nelle vie di comunicazioni, nei guernimenti e nelle difese dei campi; havvi più facilità e minore fatica nei trasporti, migliori e più perfetti si ottengono i prodotti, spedita e copiosa è la contrattazione delle derrate. Havvi insomma più frutto con minore spesa, e si accresce la rendita netta, che è il fine dell' agricoltura. Alla piccola ed alla mediocre coltivazione imputano i difetti opposti ai pregi sopraccennati: ignoranza e pregiudizi nei proprietarii; stimolo minore ai miglioramenti; mancanza di capitali ad intraprendere lavori di qualche conto; impossibilità di certe colture vantaggiosissime; un moltiplicarsi infruttuoso di case, di strumenti, di chiusure; tenue profitto con molta spesa. Altri non da queste considerazioni economiche traggono i loro argomenti in favore della grande proprietà, ma sì dall'ordine politico. Dicono questi che negli Stati i quali sono governati da un principe o da una aristocrazia è necessario mantenere una classe di uomini, i quali per lo splendore della nascita, pei privilegi, e per la copia delle ricchezze, conservino e difendano l'antica gerarchìa e l'autorità che sul popolo hanno acquistato. E pare loro che, tolto questo freno salutare, sia dato libero corso alle ambizioni ed alle licenze onde provengono i sovvertimenti e la ruina nelle nazioni. E veramente da queste considerazioni, o per meglio dire dallo stato materiale e politico dei tempi, non già da principii econo

MINGHETTI,

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mici, nè dal proposito di migliorare l'arte agraria, trasse sua origine la grande proprietà, la quale, favorita dalle istituzioni e dalle leggi, si è perpetuata per molti secoli in tutta l'Europa ed in alcune contrade vi dura tuttavia. Finalmente i difensori della grande proprietà prendono spavento dei pericoli del successivo dividersi dei poderi. Conciossiachè, ammesse le nostre leggi, par loro impossibile il porre un termine a questo rimpicciolire e minuzzarsi della coltivazione. Laonde penetrando col pensiero nell' avvenire immaginano un tempo in cui le migliori colture e le più proficue dovrebbero essere abbandonate, e per la esiguità dei fondi diverrebbe non adoperabile lo strumento più necessario, l' aratro breve, in cui saremmo risospinti all' infanzia e alla selvatichezza dell'agricoltura. E quale sarebbe allora, dicono essi, la condizione di questa innumerabile quantità di piccoli proprietarii?

A tali cose molti argomenti contrappongono coloro che preferiscono la piccola coltivazione. E primieramente bisogna considerare se l'aumento dei prodotti che secondo gli avversarii si ottiene colla grande coltura è assoluto e totale, ovvero relativo, cioè nella rendita del solo proprietario. Bisogna por mente ancora se la diminuzione delle spese da ciò principalmente provenga che si diminuisce il numero dei lavoratori ed il loro salario. Ma perchè questa quistione ha molta attenenza al patto dei giornalieri, io mi riserbo a trattarne laddove di questo terrò parola.... Ma poniamo per ipotesi che la grande coltura fosse veramente giovevole al progresso dell'arte agraria ed all' universale utilità. Può egli affermarsi che la grande coltura si colleghi necessariamente colla grande proprietà, e la piccola coi possessi scompartiti, per forma che dati questi sia impossibile operar quella? Certamente niuno vorrà sostenere questa asserzione. Avve

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gnachè come vediamo in alcuni paesi i possessori di vasti tenimenti dividerli in molti fondi, e separarne la coltivazione assegnandola a singolari famiglie; similmente possiamo concepire una associazione di piccoli proprietarii, i quali, mettendo in comune le parti spettanti loro di terreno, e con un solo metodo ed una sola amministrazione coltivandole, si partissero poi fra loro i beneficii nella proporzione del rispettivo valore da ciascnno messo nella Società. Intorno a che potremmo citare alcuni fatti, come simiglianti Compagnie fossero tentate con prospero successo. E non è da credere se oggi il principio di associazione incontra per tutto difficoltà e diffidenza, che non possa per l'avvenire maggiormente ampliarsi, e a nuovi oggetti rivolgersi. Pertanto se i vasti beni favoriscono la grande coltivazione, e i piccoli e divisi fondi le pongono intoppo, non è però questo accordo, e questo contrasto sì necessario che, riconosciuta la utilità, non si potesse ancora colla divisione dei possessi istituire la grande coltivazione. Ma se pur fosse provata la ripugnanza e la incompatibità di queste due se inoltre fosse evidentemente dimostrato che colla grande coltura si accresce la produzione, io non oserei certo di affermare essere questi bastevoli argomenti a concludere in favore della grande proprietà. Ma andrei piuttosto investigando la soluzione di questo problema nelle ragioni di un ordine superiore alle leggi economiche, ed ai risultamenti delle medesime. La istoria ci mostra che dove la proprietà, e con essa le ricchezze e la potenza, è in poche mani raccolta, quivi si fa stimolo ed incitamento al costume vizioso ed al soperchiare altrui. Perchè gli uomini salgono sempre da un' ambizione ad un' altra maggiore, e la copia dei godi

cose,

V. Rossi, Cours d'économie politique. Leçon 25.

menti genera in loro sazietà, poi ingordigia di nuovi piaceri cui non rattiene nè la santità delle leggi, nè la pubblica indignazione. Dicami ognuno di voi, o Signori, quando mai si vide che una classe venuta in dominio delle ricchezze e della potenza si temprasse dall' abusarne? Quando mai si vide che conservasse a lungo il senno ed il vigore che a ben reggere la somma delle cose si converrebbe? Per altra parte la moltitudine o si fa ministra ai vizi dei grandi, o rimane in una abbietta e schifosa povertà, e facilmente si commuove a sovvertire l'ordine dello Stato. Quindi nei pochi ricchi un continuo e trepidante sospetto, nei molti poveri una gelosia ed un odio generatore di gravi mali. Ma dove molti sono chiamati a partecipare della proprietà della terra, ivi parimenti l'istruzione, la moralità, la gentilezza si diffondono. Quel sentimento di perpetuità del proprio diritto, quell' aspettativa del futuro della quale abbiamo di sopra parlato, è cagione che gli uomini contentandosi di una temperata agiatezza acquistino previdenza, e dell'avvenire della famiglia si facciano solleciti curatori. Il proprietario, comechè piccolo, della dignità dell' umana natura grandemente si compiace; e se talvolta delle franchigie proprie o della libertà dello Stato mostra di essere geloso propugnatore, sente ad un tempo la necessità di conservare e difendere da qualunque turbazione l'ordine pubblico, il quale acquista ancora stabilità e sicurezza dalle relazioni più frequenti, più famigliari, più benevole dell' uomo agiato col povero. E che negli uomini che posseggono si supponga in generale più intelligenza e più rettezza di operare, ne fanno fede anche quelle leggi stabilite in alcuni paesi d' Europa per le quali ai proprietarii sono attribuite certe prerogative politiche che agli altri non si concedono. Nelle quali costituzioni la proprietà non è risguardata per se medesima come ca

gione sufficiente di quei diritti, ma come un segno ed una presunzione di maggiore sagacità ed indipendenza.

Che se taluno, per replicare a questi argomenti, ci venga rappresentando, a fronte dei beni sopra discorsi, i molti e luminosi pregi dei Governi aristocratici, la perspicacia nell'antivedere, la prudenza nel consigliare, la rapidità nell'eseguire, se ci mostri come le nazioni a questa forma governate salirono al più alto grado di potenza, noi risponderemo in prima coll'esempio di Roma e di Venezia dove non erano nè maggioraschi, nè sostituzioni, nè altre leggi per assicurare la immobilità dei beni, e che pure montarono al sommo dell'umana grandezza: diremo inoltre che non invidiamo la potenza e la grandezza acquistate per l'oppressione degli altri popoli, che ci spaventano le vendette terribili che nell'interno o al di fuori scoppiano tosto o tardi, e tanto più le profondano nell'ultima ruina quanto più per violenza e per fraude erano montate sublimi: porremo all'incontro lo spettacolo di una nazione non ambiziosa, non conquistatrice, ma pacifica, industre, dove sia una agiata e molto estesa mediocrità, e dove fioriscono le arti gentili, con tutto ciò che di più nobile e di più soave ha l'umana natura.

Finalmente possiamo noi ragionevolmente dubitare, che la divisione e suddivisione della proprietà, ajutata com'oggi è dalle istituzioni, dai codici, dal costume, addivenga soverchia, ed apporti una serie tristissima di mali? È egli possibile che i fondi siano minuzzati a tal punto da impedire l'uso dell'aratro, e rimanersi pressochè infruttuosi agli stessi proprietarii? Noi nol crediamo per più ragioni. E primieramente in quanto alle eredità, i patrimonii non si compongono di sole terre, ma altresì di capitali di mobili, e di altre cose pregevoli; cosicchè sovente incontra che non tutti gli oggetti materialmente

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